Elezione Trump, gli ‘americani’ brianzoli: “Negli Usa c’è rabbia e paura”

14 novembre 2016 | 10:26
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Elezione Trump, gli ‘americani’ brianzoli: “Negli Usa c’è rabbia e paura”

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha messo in subbuglio anche chi ha vissuto o vive tra la Brianza e gli Usa. A loro Mbnews ha chiesto un commento a quattro testimoni privilegiati. Dominano timori e scetticismo.

Nel gioco del lotto la paura fa 90. E molto spesso si tratta del numero su cui scommettere dopo la visita in sogno di un parente o amico deceduto. In questo caso, invece, la paura ha le fattezze corpulente ed un tempo atletiche di Donald Trump. Il 70enne imprenditore miliardario è diventato il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, ma è anche lo spauracchio di milioni di americani e di ancora più cittadini nel resto del mondo. Tra questi anche i 56 cittadini statunitensi residenti a Monza (dati dell’Ufficio statistiche del Comune, Ndr). E coloro che hanno vissuto o vivono tra la Brianza e gli Usa. MBNews ha raccolto le loro opinioni e, soprattutto, i loro timori di fronte all’ascesa di un personaggio come Trump, che, dal 20 gennaio 2017, avrà l’onore e l’onere di guidare la prima potenza economica del pianeta.
“Trump è una persona che ha dimostrato di avere idee sessiste e di avere in passato legami con il Ku Klux Klan – afferma Debora Mauri, educatrice alla Scuola primaria “G. Puecher” di Monza, sposata con un americano, John, dopo aver vissuto 4 anni tra Massachusetts e New York – in più ha svariati problemi con il fisco e, tra le altre cose, è accusato di aver perfino minacciato i suoi creditori”.

Gli elementi negativi circolati sul conto del tycoon statunitense, in effetti, si sprecano. In questi giorni e nei mesi dell’accesa campagna elettorale si è detto di tutto. Eppure Trump è stato in grado di battere prima lo scetticismo ‘amico’ del Partito repubblicano, poi la sua avversaria, la super Katefavorita democratica, Hillary Clinton. Per farlo il magnate di New York ha alzato i toni dello scontro, a livelli mai visti prima nella storia degli Stati Uniti. Con posizioni discutibili su temi cruciali come l’immigrazione, il commercio internazionale, la politica estera, le donne e l’assistenza sociale. Ha promesso posti di lavoro e un deciso taglio delle tasse. E, alla fine, l’America rurale, bianca, mediamente acculturata e più sofferente per la crisi economica, gli ha consentito perfino di sconfiggere i molti sondaggisti ed analisti che lo davano nettamente perdente. Un’altra parte di americani, però, numericamente di poco superiore, ha scelto la Clinton. Ma, per effetto del sistema elettorale americano puramente maggioritario, che assegna i delegati Stato per Stato, l’ex first lady è uscita sconfitta dalle urne.

Tra chi ha dato il suo voto ad Hillary c’è Kate Widman, una giovane donna bianca americana, con una formazione culturale a livello universitario e un grande amore per l’Italia. Kate, infatti, oggi vive e lavora nell’area di Philadelphia nelle Risorse Umane della compagnia assicurativa ‘The Guardian Life’. Ma, per migliorare la sua conoscenza della lingua italiana, è stata più volte nel nostro Paese. Sia prima del diploma scolastico sia durante il periodo universitario. Nel 2011 ha vissuto anche a Milano e frequentato spesso Monza. E, ancora oggi, coltiva il sogno di trovare un lavoro che la riporti in Italia. Magari anche per allontanarsi dall’America di Trump. “Negli Usa c’è molta rabbia e paura – spiega – mi rendono triste le divisioni nella popolazione, generate da queste elezioni e l’odio, l’arroganza, l’egoismo e la disattenzione presenti nei commenti di Trump. I suoi giudizi degradanti sulla donna, le persone non bianche e con disabilità – continua – sono spaventose”.

Le ragioni che hanno reso possibile l’inaspettata vittoria del miliardario di New York possono essere tante. L’analisi, comunque, resta difficile. “Sicuramente ha pesato lo scandalo delle e-mail della Clinton – afferma Debora – secondo me, però, ha contato anche la scelta dei democratici di candidare un personaggio considerato lontano dal cambiamento. Casale-ostacoli-mb (Copia)Anche mio marito, che non ha mai votato e da sempre è anti-establishment – continua – stavolta avrebbe dato il suo consenso al Partito democratico se avesse scelto Bernie Sanders e non la Clinton”. Proprio Sanders a lungo ha rappresentato l’alternativa all’ex first lady nelle primarie democratiche. “Quest’estate sono stata anche a Washington D.C. e in South Carolina ed ho parlato tanto con i familiari di mio marito, che vivono in Arizona – racconta l’educatrice della scuola Puecher – da sempre democratici, hanno fatto fatica a votare Clinton. Loro, come molti americani, vedevano in Sanders il miglior rappresentante di una visione più progressista e radicale – continua – qualcuno in grado di rispondere ai bisogni delle persone e di rendere la Casa Bianca più coerente con una società in fermento e soggetta a forti cambiamenti”. Non tutti, però, vedono un pericolo nella presidenza dell’imprenditore miliardario. “Sinceramente penso che sarebbe stato peggio se fosse diventata presidente Hillary – spiega Nicolò Casale (foto in alto), oggi specializzando in Management internazionale, una branca della facoltà di Economia e Commercioa Reims, nel Nord-Est della Francia, ma per un anno studente a Vernonia, vicino Portland, in Oregon – l’ex first lady ha gestito la politica estera americana degli ultimi 15 anni e si è assunta gran parte delle responsabilità di quanto accaduto in Nord Africa. La Clinton è una persona un po’ sporca – continua – vedremo quello che Trump farà e gli lasceranno fare”.

Archiviati i risultati delle elezioni, a questo punto non resta che guardare al futuro. E ai quattro anni del mandato di Trump. “La mia speranza è che ora noi americani possiamo riconoscere le nostre paure e ansietà – afferma Kate – bisogna supportarsi a vicenda e lavorare insieme per muovere il nostro grande Paese in una direzione positiva”. Tra le prospettive possibili sembra farsi largo anche quella del trasferimento di molti americani in Canada. Un primo segnale è già arrivato il giorno delle elezioni, l’8 novembre. Mentre la Brunovittoria del tycoon di New York diventava sempre più certa, il sito dell’immigrazione canadese è andato in tilt per due ore. Troppe le richieste di informazioni da parte dei cittadini statunitensi.

Chi in Canada ci vive già è il monzese Bruno Klopf (foto a destra). Iscritto alla Northern British Columbia, ha casa a Prince George, una città a nord dell’omonima provincia del Paese del trifoglio e frequenta la facoltà di Ingegneria ambientale. “Dove mi trovo io difficilmente si avvertirà un eventuale esodo di americani, immagino che nel caso preferiranno trasferirsi a sud, vicino al confine – afferma Bruno – sinceramente, visto il mio indirizzo di studio, sono molto più preoccupato che Trump non sappia nemmeno dell’esistenza del riscaldamento globale“. Il timore del giovane studente brianzolo, che fino a giugno ha corso per l’Atletica Monza, è più che legittima. Tra i punti da realizzare nei primi 100 giorni di governo, infatti, il neo inquilino della Casa Bianca ha inserito anche l’eliminazione delle restrizioni all’estrazione di idrocarburi, il via libera all’oleodotto keystone  e l’abolizione di miliardi di contributi all’Onu per i programmi contro il climate change. Se così fosse, l’eredità verde di Obama, costruita negli otto anni del suo mandato, sarebbe cancellata. Pericolosamente.