Ritorno al futuro

5 gennaio 2007 | 01:00
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Ritorno al futuro

Cresce il numero degli anziani, ma la terza età non è un limite alla qualità della vita

Cresce il numero degli anziani, ma la terza età non è un limite alla qualità della vita

In forma e sorridenti, così ci appaiono gli anziani in tv, nelle trasmissioni d’intrattenimento e negli spot pubblicitari. Una vecchiaia edulcorata che poco ha a che vedere con la realtà che molti si trovano a fronteggiare. Quella di un’età che inesorabilmente si allunga portando con sé conseguenze sul piano demografico, sociale, politico e anche più strettamente familiare. Gli anziani sono sempre più numerosi, ma non è solo una questione di numeri: la parola stessa “anziano” sta perdendo significato. Anziano quanto? È una definizione valida per un uomo di 65 anni? E per un centenario? Si possono mettere sullo stesso piano le necessità e i problemi di entrambi? Dalla risposta a questa domanda dipende il loro futuro e quindi il nostro.

Monza è una città da sempre attenta alle esigenze della terza età e con una solida tradizione volontaristica che nel corso degli anni ha dato risultati invidiabili, anche su scala nazionale, con la creazione di strutture ad hoc per le diverse fasi della vita dell’anziano. Mai abbastanza, però, perché la richiesta è altissima. Gli ultrasessantacinquenni residenti in città al 31 dicembre 2005 erano 25.782, cioè il 21,14% della popolazione (uno ogni quattro residenti), ma se si considerano solo i residenti italiani il dato arriva al 22,53%. Se confrontiamo questi dati con quelli disponibili a livello provinciale, regionale e nazionale, notiamo che a Monza la percentuale è sempre superiore: l’1 gennaio 2005 erano il 20,43% della popolazione in città, il 18,28% in provincia di Milano, il 18,22% in Lombardia e il 19,49% in Italia. La tendenza è verso un progressivo invecchiamento: si stima che nel 2021 gli ultrasessantacinquenni monzesi saranno il 25% del totale della popolazione, con un incremento progressivo anche degli over 85.

L’allungamento della vita media in Lombardia, secondo le previsioni Istat, dovrebbe arrivare nel 2010 a 78 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne. Attualmente a Monza la speranza di vita è di 77,3 anni per gli uomini e 83,1 anni per le donne.

I dati mostrano l’aspetto quantitativo del fenomeno demografico, ma non possono bastare a capire quali siano le situazioni che le famiglie si trovano a fronteggiare sempre più frequentemente. Non esiste “l’anziano” come categoria a sé. Ormai l’aspettativa di vita per un sessantacinquenne può essere di venti, trenta, persino quarant’anni e ogni fascia d’età comporta esigenze e necessità differenti dalle altre, diversi gradi di autonomia e autocoscienza, diverse necessità di assistenza, relazione, e cure sanitarie. Su queste differenze possono innestarsi poi quelle legate a eventuali patologie come il Parkinson o l’Alzheimer, rendendo estremamente complessi e variegati i bisogni della singola persona.

Per rispondere a una domanda di cure e assistenza sempre più pressante, già trent’anni fa era nato un gruppo di volontari e amici della parrocchia di San Biagio, che con il tempo è progressivamente cresciuto dando vita alla cooperativa La Meridiana. “Nel 1976 eravamo un gruppo di ragazzi e volevamo fare qualcosa di concreto per gli anziani soli che vivevano nelle case di ringhiera del quartiere – racconta Roberto Mauri, direttore del Centro Geriatrico Polifunzionale “Residenza San Pietro” – Abbiamo cominciato da cose molto semplici, come portare il carbone e la legna ogni settimana direttamente a casa delle persone che non potevano muoversi e organizzare gite e incontri. Da qui le iniziative sono progressivamente aumentate. Nel 1982 ci siamo resi conto che il semplice intervento di volontariato non era più sufficiente per contrastare il problema della solitudine e siamo andati in Comune a chiedere la villa di Costa Bassa, nel Parco, che era una costruzione abbandonata. Da lì è cominciata la fase più professionale della nostra attività. Abbiamo ristrutturato integralmente la villa trasformandola in un centro diurno e il Comune oggi si trova ad avere innanzitutto un’esperienza pilota che fa fare bella figura alla città e poi, gratuitamente, una struttura mantenuta nel tempo. Il bene pubblico è rimasto al servizio del pubblico e non è andato in malora come invece altri edifici”.

Nel corso degli anni La Meridiana si è ritagliata uno spazio significativo: “Noi oggi veniamo richiesti da tante amministrazioni pubbliche o private per la gestione di altre strutture – spiega Roberto Mauri – ma non ci interessa. La nostra logica non è mai stata quella di creare un modello e replicarlo in diversi posti, che era l’unico sistema per guadagnare. Altre strutture sono sorte dopo di noi e sono diventate delle potenze, noi no, piuttosto chiudiamo i bilanci a fatica, ma facciamo il possibile per far star bene la gente che lavora qui, perché se si pretende che l’anziano sia trattato con tutte le attenzioni possibili non si può non mettere sul piatto della bilancia anche la soddisfazione del personale. Portiamo avanti una politica di attenzione nei confronti dell’anziano ma anche di chi qui lavora”.

La Residenza San Pietro, inaugurata dalla cooperativa nel 2001, è un mondo a sé, che funziona secondo ritmi nuovi rispetto a quelli cui gli ospiti erano abituati in precedenza. Qui si formano piccole comunità e ognuno ricrea un proprio habitat fatto di abitudini e relazioni sociali. L’età media degli ospiti della struttura è di 86 anni. Sono persone con un livello di compromissione psico-fisica anche grave; poche quelle tra loro che conservano un certo grado di autosufficienza, di autocoscienza e comunque delle capacità comunicative: non più del 20% su un totale di 140.

Qui sono assistite anche persone in coma, altre con Alzheimer grave e in generale con disturbi del comportamento legati alle fasi più avanzate della vita, anziani che hanno assolutamente bisogno di assistenza continua, in tutte le funzioni della vita quotidiana. “Una volta che le situazioni, pur gravi che siano, risultano essere stazionarie – spiega il direttore – le persone vengono dimesse dagli ospedali e hanno bisogno di essere accolte in strutture idonee”.

La Residenza San Pietro ospita soprattutto monzesi. “L’ideologia di qualche anno fa secondo la quale bisogna tenere a casa gli anziani è spesso impraticabile – commenta l’animatore del centro Luca Pozzi – non si può tenere a casa una persona con gravi problemi clinici a meno di ribaltare tutta una struttura familiare, ma quanti anziani possono permetterselo? Quelli che arrivano dal domicilio qui migliorano, soprattutto da un punto di vista igienico-sanitario, perché sono seguiti come se fossero in ospedale, oltre che dal punto di vista alimentare e relazionale. Queste strutture rappresentano un “purtroppo”, ma si stanno attrezzando per aiutare la persona negli ultimi anni di vita, dagli 80 in avanti, in modo che la sua situazione sanitaria si stabilizzi e migliori la qualità di vita”.

“La scelta che stiamo facendo – afferma il direttore Roberto Mauri – è verso persone estremamente compromesse. Per le altre è possibile trovare soluzioni alternative a questa struttura. Abbiamo avuto anche tre casi di sclerosi avanzata paragonabili a quello di Piergiorgio Welby”. A gestire situazioni tanto difficili sono chiamati 150 operatori che lavorano su 140 anziani, cui si aggiungono i volontari, a completamento di un’assistenza che comunque dev’essere necessariamente professionale.

La retta media è di 62 euro al giorno, con punte più alte per pazienti che necessitano di cure particolari. Si raggiunge quindi una retta media di 1.800-2.000 euro al mese, che in parte sono coperti da contributi del Comune, in funzione del reddito, compreso quello dei familiari, della pensione e della casa di proprietà. La priorità è data ai monzesi, seguiti da chi risiede nel territorio della Asl e poi i residenti esterni. Ci sono però anche altri parametri come la gravità delle condizioni, la capacità di supporto da parte della famiglia e “l’urgenza sociale”.

Nonostante la retta non sia certo alla portata di tutte le famiglie, ci sono ben 160 persone in lista d’attesa, più del totale dei letti disponibili e ogni settimana arrivano in media dieci nuove richieste. Chi è stato ammesso usufruisce di una struttura che, nonostante fornisca un’assistenza comparabile per tipologia a quella di un ospedale, riesce a mantenere un volto quasi familiare. Gli spazi comuni sono arredati con mobili simili a quelli di una normale abitazione: librerie, mensole, cassettiere, soprammobili che rendono l’ambiente più accogliente. Le pareti delle camere sono tappezzate di quadri e fotografie, come quella di C.G., 85 anni, per 30 anni ha lavorato nella sede storica di Montedison in Foro Bonaparte a Milano. “Ora leggo un po’ – racconta con un sorriso – guardo la tv e canto nel coro”. “Il processo di recupero della memoria è più facile se passa attraverso le canzoni della loro giovinezza”, spiega Luca Pozzi, pianista dei lunedì musicali del centro. Molto frequentato è anche il laboratorio di cucina che sforna ogni venerdì, piccolo strappo alla dieta di tutti, prelibatezze casalinghe come strudel, salami di cioccolato e dolcetti vari, complice la passione culinaria dell’animatrice Adele.

“Il Gruppo Meridiana è composto da due cooperative – spiega il direttore –, Meridiana e Meridiana Due. Questa struttura, frutto della collaborazione con la Fondazione Opera Diocesana San Vincenzo, è gestita da Meridiana Due. Qui quarant’anni fa c’era una struttura che accoglieva persone diversamente abili, con ritardi mentali, poi non più utilizzata. A distanza di tanti anni è stata ristrutturata e aperta il 20 gennaio 2001. Fa parte di una rete di servizi: abbiamo attivato più centri a Monza e non solo. Dal 2006 abbiamo aperto anche un centro a Bellusco, una situazione a metà strada tra la casa e la casa di riposo. Oggi in Italia abbiamo un buco nella rete di servizi: mancano strutture intermedie per l’anziano che non è più autonomo tanto da poter stare da solo, ma neanche così non autonomo da entrare in strutture come la Residenza San Pietro. In questi casi di solito si ricorre alle badanti, che non sempre però sono in grado di rispondere alle esigenze di una persona se questa si trova in un momento critico. In altri casi l’anziano viene ricoverato in una struttura residenziale – una casa di riposo –dove la sua qualità di vita spesso decresce. È per questo che stiamo facendo due sperimentazioni: la prima è l’Oasi San Gerardo e la seconda è quella di Bellusco, pensata per un anziano un po’ più compromesso, che comprende un centro diurno integrato, una comunità alloggio, dieci mini-alloggi e un servizio di riabilitazione”.

L’Oasi San Gerardo prevede una serie di appartamentini protetti in cui l’ospite è ancora in grado di vivere autonomamente se lo vuole, mangiando al ristorante, andando al bar, usufruendo di una serie di servizi aggiuntivi. Sorge in quella che anticamente era proprio la casa di San Gerardo, che lui stesso attrezzò ad ospedale per i bisognosi monzesi nel 1200. Oggi è stata ristrutturata e comprende 30 monolocali e bilocali. Il costo da sostenere è quello dell’affitto, che va da 400 a 600 euro al mese, ma l’anziano ha a disposizione una serie di altri servizi, in caso di necessità, come la pronta reperibilità di un operatore 24 ore su 24, uffici per le questioni amministrative, saloni di aggregazione, una palestra e attività infermieristiche e riabilitative. Tutti gli appartamenti sono dotati di cucina, ma gli ospiti possono sempre pranzare nel ristorante – aperto anche al pubblico – che si trova all’interno del complesso, al costo di 5,80 euro. “Questo è diventato insieme a Bellusco uno degli esperimenti pilota che la Regione sta monitorando per trovare una nuova unità d’offerta, cercando di capire pro e contro di queste due gestioni – conclude Roberto Mauri – Si parla di insostenibilità dello Stato sociale, ma se vogliamo evitare che questo problema ci scoppi in mano siamo obbligati a trovare soluzioni più leggere, meno costose e più qualificate possibili per un dato momento dell’anziano. Abbiamo avviato anche un nuovo progetto: selezioniamo alcune persone e ci facciamo carico di tutti loro problemi; qualsiasi cosa accada noi interveniamo. È un percorso nuovo, sperimentale”.

Il progetto si basa anche su un aspetto telematico: un kit con una serie di sensori che può essere attivato a domicilio, collegato al cellulare di un parente o alla centrale operativa dell’Oasi San Gerardo. La sperimentazione è attualmente in corso e si arriverà alla piena operatività a febbraio. Ormai non si può più pensare, in modo semplicistico, a un servizio unico per un periodo della vita che spazia dai 70 ai 100 anni. Il diritto a vivere una vita piena, compatibilmente con le possibilità di ciascuno, si deve poter esercitare anche nella terza età, nella quarta e oltre.