
Successo di pubblico preannunciato anche per Umberto Galimberti, uno dei più noti e importanti filosofi italiani.
Successo di pubblico preannunciato anche per Umberto Galimberti, uno dei più noti e importanti filosofi italiani.
Professore ordinario di filosofia della storia e di psicologia dinamica all’Università di Venezia, membro ordinario dell’International Association of Analytical Psycology. Venerdi 19 gennaio, il teatro S. Giuseppe di Brugherio non ha potuto ospitare tutti: decine, le persone rimaste fuori ad aspettare. Galimberti, facendo riferimento al suo ultimo articolo “L’ansia di sapere chi siamo davvero” apparso su Repubblica, affronta il tema cruciale della nostra identità in un’epoca di grande cambiamento.Tema già precedentemente sviluppato da Eugenio Scalfari sull’Espresso del 18 gennaio. Secondo il filosofo la nostra identità è messa a dura prova dall’indebolimento di tutte quelle appartenenze culturali, religiose, sociali, ideologiche, sessuali e territoriali che un tempo la caratterizzavano. La globalizzazione e i processi migratori hanno determinato quelle de-territorializzazioni in cui è presente la libertà individuale, la convivenza allargata. Le appartenenze hanno subìto così un vero e proprio sradicamento, si sono smarginate, contaminate. La maggiore libertà, che ne è derivata, ha favorito l’annullamento o la caratterizzazione di quelle identità che via, via si costruiscono proprio come si fa con la cultura del consumo. E’ evidente che questo crea un collasso di strutture abituali, di territorialità, di appartenenze, di codificazioni che obbligano a ricominciare sempre da zero senza punti di riferimento che non sia il presente. La cultura americana, per esempio, non ha affatto appartenenze. Il modello è quello dell’eccellenza, l’eccellenza finalizzata all’efficienza, che è il valore supremo. Sei necessario se diventi funzionale, se concorri al profitto. La nostra è l’epoca delle passioni tristi e i giovani sono le vittime di questo nostro tempo. Siamo i primi in Europa per consumo di psicofarmaci, con una percentuale del 57%. Si investe nel presente perché il passato non garantisce più niente e il futuro appare una minaccia. E ancora, consumiamo l‘80% delle risorse del pianeta: è una situazione che non può reggere. La distribuzione della ricchezza più equa avverrà per necessità. In uno scenario simile, poi, la mondializzazione di uno Stato come tale crea molti nemici. Nessuna parte può diventare il tutto. I colpi di potenza determinano necessariamente una contropotenza. E poi, il Cristianesimo che ha assegnato al tempo un senso con la grande cultura del dolore. «La fede scambiata per la verità mi innervosisce – dice il filosofo – se tu credi vuol dire che non sai. Tutti i monoteisti mi sono intolleranti per definizione.» E, sul concetto di fede, la conferenza termina in un tripudio di applausi.