Cambia il tempo… ma noi no

1 febbraio 2007 | 01:00
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Cambia il tempo… ma noi no

Aumentate di 1 grado le temperature medie stagionali: cresce la preoccupazione dell'agenzia per la protezione dell'ambiente

Aumentate di 1 grado le temperature medie stagionali: cresce la preoccupazione dell'agenzia per la protezione dell'ambiente Strano inverno questo. Oramai lo dicono proprio tutti e da più parti si cerca di capire cosa potrà mai accadere nel corso dei prossimi anni.Il problema del cambiamento del clima dovuta a cause antropiche (derivanti dall’uomo come l’incremento della CO2) e naturali è all’ordine del giorno nelle pagine dei quotidiani e delle riviste nazionali e internazionali. Si conta che in Italia l’aumento della temperatura negli ultimi 45 anni (circa 1 °C) è stato superiore alla media globale e nello stesso periodo il numero medio di notti tropicali (temperatura minima >20°C) è aumentato di circa il 50% e il numero medio di giorni estivi (temperatura massima >25°C) è aumentato del 14%. I dati sono dell’Apat, Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, ma le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: temperature primaverili ci hanno accompagnato fino a settimana scorsa. Ora le temperature si stanno adeguando alle medie stagionali, ma quali sono le conseguenze delle bizze del clima sulla nostra città? Andiamo a vedere quali problemi crea a Monza l’innalzamento della temperature e la diminuzione di precipitazioni (che nella nostra zona sono diminuite negli ultimi 20 anni da 1000mm l’anno a 800). Le conseguenze sul nostro ecosistema in realtà sono molteplici e toccano diversi aspetti della vita quotidiana. Dal punto di vista sanitario, ad esempio, la mancanza di freddo favorisce lo sviluppo delle infezioni e non blocca la proliferazione delle attività microbiche; molti tipi di allergie, essendo stravolto il ritmo di fioritura delle piante, non sono più circoscritte a periodi definiti dell’anno ma si anticipano anche nei mesi cosiddetti “freddi”. Se si verifica l’assenza inoltre, manca la neve in montagna e le sorgenti dispongono di meno acqua da mandare a valle. Senza considerare che il livello di inquinamento cresce notevolmente con la mancanza di precipitazioni e l’afa estiva. Noi, però, ci limiteremo a considerare l’aspetto più caratteristico per la nostra città. Il miglior indicatore, nel nostro caso, è il Parco di Monza con i suoi 685 ettari, 110mila alberi ad alto fusto e le sue infinite specie vegetali. In particolare le scarse precipitazioni degli ultimi anni hanno danneggiato notevolmente il polmone verde monzese. Tutto questo è peggiorato da una scarsa educazione e abitudine nei confronti delle tematiche ambientali. “L’aumento delle temperature provoca conseguenze in diversi campi – afferma il geologo Mino D’Alessio – e senza dubbio contribuisce, insieme ad altri fattori a rendere molto difficile la vita della vegetazione urbana e, in modo maggiore, dato il numero di piante, a quella del parco”. La mancanza di acqua, dovuta alla scarsità delle precipitazioni causa un impoverimento del suolo che non riesce più a produrre le sostanze nutritive necessarie per la vita delle piante che così sono più esposte agli attacchi dei parassiti. In particolare gli alberi che soffrono di più di queste condizioni climatiche sono la quercia, i faggi, i carpi e le farnie. Soprattutto d’estate l’acqua derivante dalle rare precipitazioni evapora in fretta dato il gran caldo e alle piante non resta molto. Questo fa si che le piante si ammalino più facilmente e muoiono. Pare chiaro che in qualche modo bisogna correre ai ripari per questa situazione che rischia di degenerare in fretta. Quali le soluzioni? “Il problema – spiega D’Alessio – è che manca una regolazione della gestione delle acque e manca un piano di gestione agronomico forestale che detterebbe delle regole per lo sviluppo delle politiche del parco che necessita di una pianificazione continua”. Un piano del genere permetterebbe di gestire anche le specie da piantare a seconda del cambiamento delle condizioni climatiche. “Una soluzione potrebbe anche essere quella di favorire una transizione ad una vegetazione meno esigente che possa resistere meglio a condizioni climatiche più difficili”. L’Acer campestre ad esempio è una pianta capace di adattarsi a qualsiasi tipo di condizioni, ma anche il Celtis è in grado di resistere in condizioni di aridità. Il sottosuolo del parco non è così ricco di risorse idriche. Inoltre dei pozzi del parco solo 2 sono pubblici: quello di viale Cavriga che “è abbastanza inquinato e praticamente non fornisce acqua” e quello dei boschetti che invece “è buono”. Gli altri pozzi sono di proprietà del Golf (3) e dell’Autodromo (2). Se ci fosse un piano di gestione delle risorse idriche si potrebbe migliorare anche il corso delle rogge del parco. Ad oggi l’unica roggia dove scorre dell’acqua è quella dei Mulini Asciutti e si sta tentando di recuperare la Pelucca. Il sistema delle rogge, oggi molto poco sfruttato, potrebbe essere ripristinato tenendo sempre conto che comunque molte zone non potrebbero essere irrigate per la presenza dei visitatori. La carenza di umidità e di materiali in decomposizione a terra fa scarseggiare anche la presenza dei funghiche i che crescono vicino ai tronchi degli alberi, di fondamentale importanza in quanto servono a fornire acqua agli alberi stessi. Questa la situazione del parco ma, soprattutto in questi ultimi anni si sente l’esigenza di ripensare l’approccio che abbiamo avuto finora nei confronti del verde pubblico (nel parco e in città) e nella gestione urbanistica ad esso connesso, tematica troppe volte sottovalutata.