
La Cassazione riconosce il diritto della città di governare nell'interesse di tutti
La Cassazione riconosce il diritto della città di governare nell'interesse di tutti
Un'immensa distesa verde, un prato che si estende a perdita d'occhio, su una superficie pari a quella di 80 campi di calcio messi insieme. Si chiama Cascinazza, si trova nei confini del Comune di Monza ed è uno dei luoghi più contesi della Lombardia. La ragione? Strategica.
Quest'area immensa di 550mila metri quadrati è una delle pochissime rimaste inedificate in una zona, quella della Brianza, di cui presto Monza sarà capoluogo, in cui le case si vendono a peso d'oro. È però anche uno dei pochi polmoni verdi rimasti a compensare i gas, le polveri, le emissioni inquinanti di una delle aree più industrializzate del Paese. Sulla Cascinazza, per queste ragioni, da più di quarant'anni è aperta una pesante partita tra il Comune e la proprietà. Partita che, negli ultimi 14 anni, si è giocata nei tribunali, a colpi di carte bollate, sentenze, ricorsi, appelli e ordinanze, tra il Comune che vuole farne un parco agricolo e il privato proprietario dell'area, che vuole edificarne una buona fetta, 388mila metri cubi per la precisione. E lo vuole a tutti i costi, tanto da intentare una causa civile nel 1993 chiedendo un risarcimento di 600 miliardi di lire. Il privato non è uno sconosciuto: è l'Iei, ex Istedin (Istituto per l'Edilizia Industrializzata) di proprietà di Paolo Berlusconi.
Una settimana fa, il colpo di scena. La Corte di Cassazione ha respinto tutte le richieste della società immobiliare, accogliendo in tal modo le osservazioni del Comune di Monza. Nessun indennizzo dovuto al privato, né pagamento di danni, né aree da restituire e non c'è stato alcun indebito arricchimento da parte del soggetto pubblico. "Una pietra tombale su tutta la vicenda", nelle parole dell'Amministrazione. Il Comune, si afferma nella sentenza della Cassazione, ha agito secondo i propri poteri sia per quanto riguarda la riduzione delle volumetrie sia in merito alle presunte espropriazioni. In virtù della convenzione firmata negli anni Sessanta, infatti, il privato realizzò 100mila metri quadrati di capannoni e ricevette dal Comune 270 milioni di lire per i terreni su cui sono stati realizzati il depuratore e il centro sportivo di via Rosmini. E la convenzione, affermano i magistrati, è ancora pienamente valida, poiché nessuno ne ha chiesto la risoluzione. Il risarcimento di 600 miliardi di vecchie lire chiesto da Istedin, a questo punto, si volatilizza.
La storia prende avvio nel lontano 1962, con una convenzione tra Comune e privato in cui si concede la possibilità di edificare 1,6 milioni di metri cubi (un quarto di Monza, per chiarire le proporzioni) a fronte di cessioni di aree per usi pubblici. Attraverso successive riduzioni delle volumetrie nel 1971 si arriva ai 388mila metri cubi previsti nel Piano Regolatore ormai noto come Piano Piccinato. È però negli anni 80 che si apre il contenzioso giudiziario. La proprietà in questi anni è passata dai Ramazzotti all'Istedin di Paolo Berlusconi, che avvia una causa davanti al giudice ordinario supponendo un inadempimento del Comune.
"Il privato sosteneva questo – afferma Ercole Romano, l'avvocato che ha assistito l'Amministrazione – A fronte della cessione all'ente pubblico di alcune aree, tu Comune mi dovevi dare più di un milione e mezzo di metri cubi da edificare, ma non me li hai dati. In realtà il Tribunale di Monza ha stabilito che non c'è alcun evento espropriativo di cui il Comune sia responsabile e che non è neppure inadempiente. Quindi non è tenuto a restituire nulla". E non solo. "La Cassazione afferma in questa sentenza – continua l'avvocato Romano – che il Comune ha potere pianificatorio per l'esercizio di una funzione tale da poter modificare i contenuti della preesistente convenzione di lottizzazione e che è innanzitutto preposto alla tutela del territorio pubblico. Questo vale sia per il 1971 sia per oggi. Si tratta di atti di pianificazione che si devono adeguare alle esigenze collettive sopravvenute".
Quelle esigenze collettive che hanno guidato l'operato dell'Amministrazione, secondo il sindaco Michele Faglia: "Questa sentenza sancisce anche la piena titolarità del Comune nel perdurante potere di pianificazione territoriale. Questo dà legittimità alle Amministrazioni comunali (circa 20) che hanno espresso volontà di tutela di quell'area. Cade del tutto l'ipotesi avanzata da alcuni per lo spostamento di quelle volumetrie ad altre aree comunali da sacrificare a presunti diritti edificatori".
"Qualcuno dovrà ristampare in fretta e furia i programmi politici già stampati, perché non c'è alcun diritto della proprietà", ha aggiunto il vice sindaco Roberto Scanagatti.
"Abbiamo anche presentato richiesta in Regione per il riconoscimento del valore storico-paesaggistico dell'area – conclude Michele Faglia – che così si collegherebbe al parco reale e alle fasce verdi intorno al Lambro, fino al parco del medio Lambro in via di costituzione".
Tutto risolto, dunque? Non proprio, perché la partita si sta giocando anche su un altro fronte: quello del Pgt (Piano di governo del territorio), che da giovedì 15 febbraio torna in discussione in Consiglio Comunale.
"Ci avviamo a discuterne serenamente", chiosa il sindaco, ma i toni del confronto in aula nei mesi scorsi non lasciano presagire nulla di buono, come i ventimila emendamenti ostruzionistici presentati dalle minoranze. Né d'altra parte la via giudiziaria si è chiusa del tutto. La proprietà, che interpreta la sentenza in modo molto diverso, ha dichiarato che intenterà una nuova causa presso il Tribunale di Monza. "Abbiamo già dato mandato agli avvocati di procedere per il periodo successivo al 1993 – afferma Antonio Anzani, responsabile della società immobiliare, perché è quello in cui è più facile dimostrare l'intenzione dell'Amministrazione comunale di non rispettare la convenzione. Ci fa piacere che siano stati riconosciuti i nostri diritti edificatori per la cubatura di 388mila metri cubi prevista dal piano regolatore vigente, anche se il giudice ha ritenuto che non ci siano danni. Noi non condividiamo questa tesi, perché il danno c'è, e non nella cubatura non edificata, ma nel tempo lunghissimo in cui le amministrazioni non hanno mai preso alcun atto definitivo sulla Cascinazza. L'area è edificabile".
Dal canto suo l'avvocato Ercole Romano ribadisce: "Qui non c'è alcun riconoscimento di diritti all'edificazione. Al più implicitamente legittime aspettative che devono combinarsi alle esigenze di pianificazione territoriale. Oggi ci sono esigenze sopravvenute della collettività ed è per questo che non è stato accolto il risarcimento del danno". Il Comune, per ora, festeggia. Ma non è detta l'ultima parola.
Per saperne di più: www.cascinazza.info
Proprietario… ma quale?
Alcune porzioni dell'area risultano già di proprietà del Comune
L'ultima puntata dell'affaire Cascinazza si è arricchito pochi giorni fa di un "particolare" inatteso. Si è sempre parlato dei diritti – veri, presunti, contestati – del proprietario. Ma qualcuno si è mai chiesto chi abbia veramente in mano le chiavi dell'area? In questi mesi in Comune, andando a scavare tra faldoni e scatoloni, sono stati ricostruiti una serie di passaggi interessanti, tanto da poter quasi affermare che: parte dell'area della Cascinazza appartiene al Comune! La Convenzione dei primi anni Sessanta, infatti, a fronte delle volumetrie date al privato comportava la cessione di aree "standard" (cioè non edificabili) dal proprietario al Comune, per un totale di più di 282mila metri quadrati. Queste aree, per effetto di quella convenzione, risultano cedute all'ente pubblico. Allo stesso tempo l'accordo prevedeva che queste sarebbero rimaste nella disponibilità del privato fino a quando il Comune non ne avesse fatto richiesta, per realizzare le opere urbanistiche necessarie (le strade, per esempio). Questo non è mai avvenuto – sinora – e il privato ha continuato a sfruttare queste aree, legittimamente, e a versare l'Ici come se gli appartenessero. Ma ci sono porzioni dell'area della Cascinazza che appartengono al Comune e non si trovano in un angolo defilato: "Sono perse a macchia di leopardo su tutto il territorio", fanno sapere dal Comune. …vuoi vedere che adesso ci toccherà anche risarcire l'Ici già versata?
Gli operatori commentano: «La città diventerebbe invivibile»
Quello che sarebbe potuto accadere sull'area Cascinazza ha sempre lasciato perplessi se non contrariati gli operatori nel settore edilizio monzese. Le ragioni di questa loro posizione sono facilmente spiegabili: l'intervento prefigurato da Paolo Berlusconi avrebbe definitivamente chiuso ogni altra possibilità di operare sul territorio cittadino che in quel caso diverrebbe completamente saturo. Senza per altro dimenticare le disastrose conseguenze sulla viabilità, i servizi, e la qualità ambientale della nostra città. Abbiamo interpellato su questi temi diversi operatori del settore, ma solo due di essi hanno voluto esprimersi. Altri hanno preferito, per ragioni di opportunità, tacere trincerandosi dietro un laconico "no comment" .
Giovanni Montefusco, responsabile di Cifra Due S.r.l.
C'è una discreta domanda, ma i tempi di vendita si sono allungati perché i prezzi sono aumentati in maniera notevole negli ultimi tre anni. Le zone più interessanti sono quelle che attualmente hanno una destinazione artigianale-industriale, come nella zona dell'Ospedale vecchio. Le zone del centro storico sono sature, come anche – quasi del tutto – Triante, San Giuseppe e Parco.
Se davvero si costruisse nell'area della Cascinazza, questo avrebbe conseguenze sul mercato dell'edilizia monzese?
Un intervento puramente speculativo sarebbe sicuramente da evitare. Se invece se ne facesse uno mirato a dare servizi e spazi non solo residenziali, ma che includano parchi gioco, asili, scuole, strutture ricettive che oggi a Monza mancano, allora si potrebbe fare.
L.M., amministratore unico di un'impresa di costruzioni edili di Monza
C'è un problema di concessioni edilizie che non vengono date da parecchi anni. Assistiamo a una rarefazione delle aree. I prezzi degli stabili bene o male continuano ad aumentare, anche perché di aree belle non ce ne sono più, sono andate esaurite. Questo piano regolatore, poi, doveva rimettere sul mercato le aree dismesse, ma per ragioni che non si capiscono bene non è stato approvato e siamo ancora fermi.
Un intervento così esteso potrebbe cambiare il mercato monzese della casa?
Potrebbe portare una regolamentazione. Se si immettono sul mercato tutti quei metri cubi – sono 400 appartamenti o 500-600 se sono piccoli – questo determinerebbe senz'altro un calmieramento del mercato. Di riflesso non si riuscirebbe ad arrivare più da nessuna parte a Monza, perché il traffico diventerebbe ancora più caotico. Ci sarebbe un quartiere in più a gravitare su questa povera città, che diventerebbe invivibile.
Mosca: "I pericoli non sono finiti"
La sentenza della Cassazione non scrive la parola fine alla vicenda, né rasserena gli animi. Parola di Giampietro Mosca, che guida il movimento Insieme per Monza: "Non è una pietra tombale e mi preoccupa questa interpretazione, perché chi la dà evidentemente non ha a cuore l'effettiva destinazione a parco pubblico di quell'area, che resta nella disponibilità del privato. Un domani un'altra Amministrazione potrebbe renderla edificabile oppure questa stessa ripetendo l'operazione che ha già fatto sul Rondò dei Pini oppure quell'area potrebbe essere ceduta a un altro proprietario e anche questo potrebbe renderla edificabile, come per il piano di lottizzazione Mazzucotelli. Ma è possibile che nessuno si ponga questa domanda: se cambia l'Amministrazione e la prossima rende quell'area edificabile? Il Pgt, nel caso fosse approvato, non è una destinazione definitiva a verde di quell'area. L'unica vera possibilità è l'acquisizione alla proprietà pubblica attraverso lo scambio di aree". Sulla posizione che IpM prenderà in Consiglio Comunale riguardo al Pgt Giampietro Mosca è possibilista: "Abbiamo presentato solo 40 emendamenti, quindi un numero molto modesto, e non sono ostruzionistici. Attendiamo di avere una risposta su questo, dopodichè decideremo se astenerci o meno".