Mario Luzi: i veri poeti non muoiono mai del tutto

22 febbraio 2007 | 01:00
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Mario Luzi: i veri poeti non muoiono mai del tutto

20070222-poesia-luziSi è spento due anni fa, a Firenze il 28 febbraio. "La dolcezza, l'altro volto della forza". Luzi in una intervista a Mario Specchio.

20070222-poesia-luziSi è spento due anni fa, a Firenze il 28 febbraio. "La dolcezza, l'altro volto della forza". Luzi in una intervista a Mario Specchio.

Mario Luzi  è nato nel 1914 a Castello di Firenze e si è spento a Firenze il 28 febbraio del 2005. La sua opera poetica è raccolta nei libri che si sono susseguiti dal 1935 al 2004: La barca, Avvento notturno, Un brindisi, Quaderno gotico, Primizie del deserto, Nel magma, Dal fondo delle campagne, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia, Per il battesimo dei nostri frammenti, Frasi e incisi di un canto salutare, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Sotto specie umana, Dottrina dell’estremo principiante. Il primo Luzi è all’insegna del più raffinato ermetismo con fervida attenzione all’orfismo di Dino Campana e al surrealismo di Paul Eluard: “ Parla il cipresso equinoziale, oscuro/e montuoso esulta il capriolo”. A partire dalla raccolta “ Nel magma” la sua poesia, come alla svolta di un immenso fiume, dilaga verso icastici scenari di fattura dantesca ( Inferno e Purgatorio): “ Poco dopo si è qui come sai bene,/ fila d’anime lungo la cornice,/ chi pronto al balzo, chi quasi in catene”. Ora Luzi pare seguire un curvo incamminarsi tra i fuochi fatui di una drammatica religiosità alla Thomas Stearns Eliot: “ Il silenzio che segue nella stanza/ dove non siamo soli, eppure deserta,/ è un silenzio enorme, senza confini né tempo”. L’itinere luziano continua poi tra perseveranti esilii e insperati ritorni a casa, ma infine approda al fulgore ascetico del “ Viaggio celeste e terrestre di Simone Martini”, ultima consolazione che la poesia prodiga all’estate-vita che si spegne:” Guizzò una luce d’angelo/ sotto la volta/ che non c’era/ o era/ la fabbrica/ di tutta la materia.” Chiusi i libri di Mario Luzi, restano sospesi in noi, come fato che ci animi, il “vento” e il “fuoco”, inesausti abitatori della sua pagina.

Nella magia della sua parola, l’infinito.

Dei poeti che amiamo di più la nostra memoria ritaglia una strofa, dei versi o magari un unico verso esemplare. Per quei poeti che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e frequentare sulla Terra, quei versi finiscono per includere qualcosa della figura fisica del poeta. Sono andata da lui a Firenze in via Bellariva, 20  quel po’ di volte con un timore difficile da vincere e ritornavo a Milano sempre con una strana letizia. Stare ad ascoltarlo era come toccare una sorgente, una scaturigine nascosta, qualcosa di profondo. La sua gestualità misurata, la proverbiale mitezza, la riservatezza gentile nell’umiltà della sua persona, facevano sì che lui non fosse solo un grande poeta, ma anche un grande uomo: qualità non sempre connesse. Era capace più di ascoltare gli altri che di manifestare il suo narcisismo d’artista. Ho sentito la sua opera infinitamente nutritiva, persino nelle distanze incolmabili che a volte per generazione e sensibilità si aprono. Ho percepito in lui una continua dedizione al farsi della vita, nei suoi elementi minimi e insieme nei suoi termini essenziali, al suo farsi e richiamarsi di continuo a un punto originario e insieme culminante. Il desiderio per lui valeva più della nostalgia e la vita, tutta la vita, tutto il vivente, più dell’astrazione e della stessa attività intellettuale. Pochissimi, nella poesia di un secolo, hanno avuto una vitalità intellettuale come quella di Luzi. Una forza della mente, la sua, sempre unita a un grande rigore morale e all’irrinunciabile fiducia nella nobiltà e nel valore civile dell’esercizio poetico, dell’esercizio dell’arte vera. Imprevedibile e mai ripetitivo, cantore di una Toscana vera e profonda.

20070222-luziChe scompiglio quel novantenne in Senato

La sua nomina di senatore fu seguita da un’ovazione collettiva in tutto il Paese e in tutti i piani del Palazzo. Solo quattro mesi. Ma raramente una parentesi tanto breve ha seminato tanto scompiglio. A novant’anni pensava alla politica come a un atto dovuto, per lealtà, per generosità, per rispetto di un’etica che i tempi avevano compromesso. Quello, fu per lui un autentico impegno civile. Al centrodestra disse che inaridiva << il processo continuo nella costituzione e minacciava la laicità dello Stato>>, a Berlusconi << è il sansone di un processo di demolizione dello Stato come società di uguali>>; e poi: << Berlusconi e Mussolini per certi aspetti si somigliano.. Berlusconi è un propagandista, proprio come Mussolini.>> Dulcis in fundo, la giustificazione per il lancio del treppiede che centrò il premier a Roma e che risuonò con queste parole:<< il clima di contrapposizione faziosa che si è sostituito alla normale dialettica politica favorisce questi scatti.>> Apriti cielo. Gridarono in coro al tradimento. Lui non fece una piega, di certo non si aspettava un livello così basso di confronto. In seguito dirà che i politici italiani avevano letto male e capito peggio Machiavelli.

Intervista a Mario Specchio

Mario Specchio è attualmente docente di Letteratura tedesca presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena. E’ poeta e scrittore.

Mario Luzi: l’ uomo

D: Professore, Lei che ha frequentato da vicino il grande poeta, potrebbe raccontarci l’uomo?

M S: E’ difficile raccontare l’uomo. Luzi era l’uomo che viveva contemporaneamente nel qui e nell’altrove. In sua presenza si entrava in questo cerchio magico. Quello che colpiva maggiormente di Lui era la miscelazione di dolcezza e forza. Luzi era un uomo dolce, ma spesso la dolcezza è l’altro volto della debolezza, in lui la dolcezza era l’altro volto della forza. L’assoluta libertà di pensiero gli permetteva di accogliere in sé il mondo e la vita in tutte le sue manifestazioni in maniera anche indifesa. Era talmente forte che poteva permettersi anche di non difendersi. Sapeva coniugare il sentimento morale, il senso del sacro, del giusto, della giustizia, delle cose, della verità. Aveva la capacità di osservare la vita e la storia come in un’ottica doppia. Ora era l’occhio dell’aquila che portava in alto le cose e le illuminava, ora era l’altro occhio, quello che aderiva realisticamente alla dinamica dei fatti, della vita, delle persone, della vita civile. Era uno di quegli uomini che sembrava camminare un  po’ per caso sulla Terra, ma che in realtà era figlio della Terra, del tempo e della storia.

D:  Mario Luzi era un aristocratico?

20070222-specchio-luziM.S.  Si, Luzi era un aristocratico. Non era un uomo da tutte le stagioni e, a prima vista, metteva anche soggezione. Dietro quella sua nobiltà dello spirito, avrebbe detto Thomas Mann, si nascondeva un’enorme generosità. Era una persona dal garbo straordinario, dotata di una gentilezza particolare che nasceva dalla sua timidezza. Affabile, senza alcun atteggiamento superbo o scioccamente altero, con quel suo modo di essere taciturno, ma attento a tutto.

D:  Qualche mese prima della sua morte, intorno a Luzi ci fu una vera e propria tempesta, non poetica ma politica per alcune dichiarazioni rilasciate al Messaggero in seguito al lancio del famoso treppiede contro Berlusconi. Quali furono le reazioni di Luzi?

M.S. Luzi era arrivato alla carica di senatore a vita in un momento particolarmente lacerato e confuso della vita del Paese, che probabilmente non è ancora passato, in cui le idee sembravano impazzite e fuori controllo. Da un lato egli aveva creduto giustamente di poter e dover portare una parola di verità, risvegliare le coscienze. L’artista in politica non deve dare risposte, deve cercare di innalzare il livello di coscienza morale. Le risposte le devono dare i politici. L’artista deve spingere in questa direzione ed è quello che mancava all’Italia e che manca tutt’ora. Le sue parole sono state parole nel deserto, nel vento perché richiamava ad una presa di coscienza superiore, di cui la classe politica era talmente al di sotto, da non essere riuscita ad intuirne il senso. Forse aveva detto qualche parola di troppo perché l’uso della parola in un contesto così degenerato, ha bisogno di essere oculata proprio perché non venga risucchiata dal gorgo della strumentalizzazione e dell’indifferenza. Ha avuto troppo tempo e troppo poco tempo. E’giunto in un brutto momento della storia politica italiana, ma lui non è approdato alla landa del silenzio come è accaduto ad altri grandi che hanno osservato quello che accadeva restando nel loro ambito. Luzi si è giocato, questo dobbiamo riconoscerglielo, forse con una partecipazione anche un po’ eccessiva. E’ stato facilmente strumentalizzato, le sue parole sono state sentite come un richiamo di parte e questo è ingiusto. Credo che abbia sofferto molto ed è comprensibile.

Mario Luzi: il poeta

D: La poesia di Luzi  parla la lingua degli uomini?

M.S. Insieme a Sereni e Caproni, con Luzi la poesia si rinnova , restando dentro la tradizione. Luzi ha dimostrato la capacità che ha la lingua poetica di rigenerarsi dall’interno della tradizione. La sua poesia è sempre stata ricca di pensiero, come tutta la poesia novecentesca, si è sempre arricchita di valenze interpretative e anche speculative. L’ultimo Luzi fa pensare a quella poesia nella quale il pensiero diventa lingua e poi torna a diventare natura. Questo sentimento dell’unitarietà della natura del grande codice come lui lo chiamava: la natura offre le parole e le parole tornano ad essere natura. Luzi ha difeso la speranza, tutta la sua poesia deve essere letta in maniera diversa, plurima. La poesia deve parlare per la vita e deve parlare la lingua degli uomini, deve parlare nella lingua degli uomini.

Mario Luzi: l’amico

D: Professore,  Lei è stato suo grande amico?

M.S. Si, siamo stati amici, contatto quasi filiale, direi. Luzi aveva il dono di far sentire le persone a proprio agio, in qualsiasi situazione e contesto. Era sempre al centro della vita, il suo baricentro non si spostava. Ti trasmetteva il senso di equilibrio e questo ti costringeva a cercare di essere migliore. Viveva l’incanto delle piccole cose, di una foglia, di un albero sull’Arno. Questa meraviglia che lo accompagnava si trasformava in saggezza, una coincidenza di sapere e saggezza che ritroviamo nei “più grandi”.