Un vampiro si aggira per il Parco di Monza: si chiama Milano

15 febbraio 2007 | 19:45
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Un vampiro si aggira per il Parco di Monza: si chiama Milano

Approfondimento alla scoperta degli interessi che insidiano l'integrità e il rilancio del Parco cintato più grande d'Europa.

Approfondimento alla scoperta degli interessi che insidiano l'integrità e il rilancio del Parco cintato più grande d'Europa.

La maggiore attenzione dedicata negli ultimi tempi ai problemi ambientali e ai nostri  “giacimenti culturali” come motore dello sviluppo, fanno sì che  anche la Villa e il Parco di Monza siano cresciuti negli ultimi tempi nella considerazione della gente, e (speriamo!)  anche dei monzesi.

Ciò non toglie che ancora molti ostacoli si frappongano al loro recupero e valorizzazione. Tra questi, il più coriaceo è… Milano!

Nel 2002 il Comune di Milano ha ceduto alla Regione Lombardia la sua comproprietà con il Comune di Monza  della Villa e dei Giardini reali. Ma non  quella del Parco, che il Comune di Milano si tiene ben stretta, sempre con il Comune di Monza.

Significa questo che Milano nutre un particolare amore per il Parco di Monza? No di certo: Milano si è sempre comportata verso il Parco come una matrigna. Non ha mai contribuito, se non in misura minima (negli ultimi cinque anni solo 650 mila Euro), alle spese di manutenzione straordinaria  che sono state quasi integralmente sostenute dal Comune di Monza (ben 9 milioni di Euro nello stesso periodo). Allora?

Il fatto è che il risanamento della Villa Reale richiederà sicuramente forti investimenti e costi di gestione,  il cui  ritorno economico  potrebbe essere negativo per i comproprietari (anche se ampiamente positivo per il “capitale sociale” di Monza e non solo). Al contrario il Parco, nella mente degli amministratori meneghini, è una vasta e preziosa area poco costosa (specie se si lasciano degradare ulteriormente il suo patrimonio naturalistico, le due storiche  ville dei Durini, le 18 belle e  cadenti cascine e tutto il resto). Un’area praticamente “a disposizione”. Ma per che cosa, con quale visione, con quale progetto?

Forse è il caso,  di richiamare un po’ di storia in pillole. Nel 1807 (ricorre quest’anno il bicentenario)  alla Villa e ai Giardini realizzati  trent’anni prima dal Piermarini per Ferdinando II d’Asburgo, figlio di Maria Teresa d’Austria,  fu aggiunto il Parco Reale, grande esempio di architettura paesaggistica  progettato dal Canonica per volere di Eugenio Boharnais, figliastro  di Napoleone.  L’”Imperial Regia” Villa e Parco di Monza, passati infine ai Savoia con l’Unità d’Italia, costituirono in tal modo per oltre un secolo un luogo di attrazione tra i più celebrati e frequentati  in Europa. Con l’uccisione di Umberto I nel  1900,  tutto il complesso fu abbandonato allo sfacelo, con il saccheggio della Villa e il degrado del Parco,  suggellato nel 1922 dalla realizzazione dell’Autodromo (120 ettari  sul  totale di  732). 

Al giorno d’oggi,  qualsiasi persona ragionevole non può che auspicare un risanamento di Villa e Parco nella loro unitarietà, ancora splendidi pur nel loro decadimento. Ma questa prospettiva non sembra condivisa da Milano.  Per Milano le devastazioni operate nel Novecento configurano una nuova realtà, di cui peraltro nessuno è stato sinora capace di  dare una visione seria e coerente. Si sostiene che anche ciò che è avvenuto nel Novecento va “storicizzato”. Come dire: “Che lo scempio continui”.

Così si spiegano certe resistenze che sembrano fare del Comune di Milano l’agente di interessi privati, come quelli della Sias (gestore dell’Autodromo) o del Golf Club Milano (gestore del Golf, altro macro esempio – 90 ettari –  di distruzione dell’architettura paesaggistica del Parco).

Ora, è da tener presente che gli spazi utilizzati dall’Autodromo ormai da decenni sono quelli che servono la pista storica.  Nel 1955 questi spazi furono ampliati,  sventrando un ulteriore parte del Parco, con la realizzazione dell’anello di alta velocità con le due curve sopraelevate.  Ma questa pista fin dall’inizio si rivelò mal progettata,  peggio costruita e rapidamente superata dalla potenza dei bolidi di Formula Uno. Oggi si tratta di  un rudere di orrido cemento fatiscente.  Nell’ultimo rinnovo della concessione (1998), la Sias si era impegnata a demolire il tutto, a partire dalle sopraelevate, e ottenne per questo una corrispondente  decurtazione del canone d’affitto. Ma pochi giorni dopo la firma della concessione, un o.d.g. del Consiglio comunale di Milano  bloccò l’operazione. In gioco sono 60 ettari segregati da quella pista, che potrebbero essere restituiti al  Parco senza alcun danno per le attività dell’Autodromo connesse con la Formula Uno.  Ma la Sias non gradisce, evidentemente immaginando, senza dirlo, una nuova espansione delle sue attività. E il Comune di Milano non si schiera con quello di Monza per recuperare al Parco quelle aree, bensì dalla parte della Sias.

Quanto al Golf,  è chiaramente un “non luogo” rispetto all’architettura del  Parco. La sua dismissione non dovrebbe creare problemi: non vi sono migliaia di appassionati  di quello sport da ascoltare, ma solo un pugno di privilegiati che potrebbero realizzare a proprie spese un impianto analogo in altro luogo. Ebbene, a favore di chi si schiera il Comune di Milano? Ovviamente, a favore del Golf Club di Milano.

E’ ormai convinzione comune che per riportare  Villa e  Parco agli antichi splendori sia necessario un ente a ciò dedicato, capace di attrarre risorse adeguate e di gestire investimenti e costi di esercizio  in modo coordinato e continuativo, con un proprio autonomo bilancio, come avviene in tutti gli analoghi monumenti nel mondo; e capace alla fine  di  sbarrare la strada ai poteri forti che ne insidiano  continuamente l’integrità.  Ed è prevalente l’opinione che, considerate le chiare e non negoziabili finalità  del monumento1, la forma giuridico-organizzativa più adatta sia quella di una fondazione.  Ma Milano la pensa diversamente: meglio una S.p.A., cioè una struttura di diritto privato finalizzata  a realizzare un utile di esercizio.

E’ la fissazione di Milano: “mettere a reddito” il Parco,  affittandolo a lotti al migliore offerente: tanto all’autodromo, tanto al Golf, tanto a chiunque, purché paghi. Sembra che l’assessore competente del Comune di Milano esiga un piano completo delle affittanze. Con che scopo? Semplice e rozzo: portare a casa il massimo dei soldi possibile.

A questo punto, ci si accorge che Milano un progetto ce l’ha, eccome! Ed è che quanto più il Parco di Monza scende in basso nel suo prestigio monumentale, tanto più si possono cogliere migliori occasioni di reddito, liquidando quelle meno allettanti e introducendone di più redditizie. Vi è mai capitato di vedere una villa patrizia, ristrutturata e destinata ad appartamenti di lusso, assediata da pretenziose palazzine  residenziali  edificate dove prima c’era il parco della villa? Ecco cosa pensa Milano, “in grande”: in fondo, la Villa Reale può ben contentarsi dei Giardini. Che bisogno ha di circondarsi del più grande Parco  cintato d’Europa? 

Il peggio è che a Monza c’è chi, pur non coltivando questo disegno, si lascia trascinare sulla china di un utilizzo “modernista” del Parco, senza rendersi conto del disastroso punto di arrivo.

Ho calcato un po’ la mano?  Può darsi, ma secondo il detto popolare, a pensar male spesso si indovina. Mi auguro di poter leggere da qualche parte una smentita. Significherebbe che Milano ha acquisito finalmente  una visione più ampia e meno municipale dei suoi stessi interessi, una visione veramente metropolitana e non  limitata soltanto a ciò che  alberga all’ombra della Madonnina.