A cena con Vincent Herring

6 marzo 2007 | 01:00
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A cena con Vincent Herring

20070306-vincent-herringCome finire a tavola con il grande musicista jazz. L'inatteso dopo concerto all'amatriciana, fra il Carrobiolo e il Duomo.

20070306-vincent-herringCome finire a tavola con il grande musicista jazz. L'inatteso dopo concerto all'amatriciana, fra il Carrobiolo e il Duomo.

Non avrei mai immaginato di finire allo stesso tavolo di Vincent Herring e la sua band. Men che meno avrei immaginato di potergli parlare come fosse un vecchio amico con naturalezza e confidenza. Così, però, è accaduto. Il concerto di domenica sera al Teatro Villoresi è stato quello che in genere si definisce un grande successo. Nonostante non siano stati affissi cartelloni in giro per Monza e non ci fosse nemmeno lo sponsor (finanziamenti) istituzionali, il teatro monzese era colmo. Grazie ad appassionati di musica jazz (Franco Ghizzardi e Nick Di Cuonzo Cesar Romani e Umberto Gioffre) si sono fatti in quattro per portare a Monza un musicista di fama mondiale come Vincent Herring e il suo quartetto jazz. Dopo lo splendido concerto (su questo non avevamo dubbi e sul cui commento tecnico lascio ai più esperti) eccoci a cena in un famoso ristorante del centro rimasto aperto solo per noi. E’ l’una passata e tutti sono provati dall’intensa giornata. I musicisti della band si distribuiscono sparsi intorno al tavolo e nonostante la stanchezza non perdono la loro verve comunicativa. Antony Wonsey (il tastierista) dice di non vedere l’ora “di assaggiare gli spaghetti all’amatriciana” che presenta con toni epici a Vincent Herring, che non conosceva questa particolare ricetta. La diversità linguistica (anche se molti al tavolo non hanno molta confidenza con l’inglese) non è un problema. Nel caso servisse io e Umberto (uno degli organizzatori) talvolta ci cimentiamo nel ruolo di interpreti quando la mimica e l’inglese maccheronico non bastassero. Il loro inglese è di quelli tradizionali, di quelli che si capiscono facilmente, non del tipo che si sente parlare nei film di oggi dai neri americani. Vincent comincia a suonare qualsiasi cosa gli passi per le mani, o per la bocca (essendo sassofonista). Ci cimentiamo anche noi, cercando di far suonare i bordi di bicchieri o bottiglie. Vincent commenta “Yeah guys!"

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Foto di Yukio Fukushima

Chiedo al tastierista, seduto di fronte a me, da quanto tempo suona e quanto esercizio è necessario per arrivare fin qui “Suono da quando ho dieci anni (ora ne ha 37) – mi risponde – ma continuo a studiare, always”. La voce di Vincent Herring è calma e rilassata, di quelle che sembrano non potersi alterare mai; gli chiedo com’era il pubblico in sala questa sera: “Molto buono – sorride – in Italia troviamo sempre un pubblico molto caldo”. Qualcuno offre qualche chilo di peso corporeo all’esile batterista Joris Dudli che sorridendo declina gentilmente. La cena dopo un piatto di antipasti e la sospirata spaghettata all’amatriciana può considerarsi conclusa, anche perchè l’ora è davvero tarda. Alle 2,20, sulla via di casa (dopo aver cercato di tradurre una complicata discussione tecnica tra Vincent e Nick di Cuonzo), cammino a fianco del sassofonista newyorkese che mi chiede del lavoro e delle mie precedenti (e velleitarie) esperienze musicali. Sono positivamente colpito dalla semplicità della conversazione e dalla sua affabilità. Purtroppo, però, la camminata volge al termine: mi vedo costretto a salutare musicisti e organizzatori, i protagonisti di una serata che per me è stata molto di più di un semplice concerto. See you, Vincent