C’era una volta il Pratum Magnum

11 maggio 2007 | 01:00
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C’era una volta il Pratum Magnum

20070510_pzatrentovecchia Alla ricerca delle origini di Piazza Trento. Qui si tenevano il mercato e la Fiera di S. Giovanni

20070510_pzatrentovecchia Alla ricerca delle origini di Piazza Trento. Qui si tenevano il mercato e la Fiera di S. Giovanni

Il Pratum Magnum Communis corrisponde in parte all’attuale Piazza Trento e Trieste, e secondo alcuni sarebbe la piazza storica di Monza da ricostruire. Ma tale piazza ideale è mai esistita veramente?

La città di Monza nasce attorno alla Basilica di San Giovanni, seguendo le linee di un incrocio di due strade: quella nord-sud, da Porta del Carrobiolo a Porta Milano, e quella est ovest, da Porta San Biagio a Porta Lodi. Ovviamente l’edificazione seguiva queste due direttrici e quasi al loro incontro sorgeva il centro civile della città, il Palazzo dell’Arengario.

Monza era una città senza piazze. Infatti i portici dell’Arengario e lo spazio circostante bastavano alle adunate pubbliche e le case si spingevano a ridosso del sagrato di San Giovanni, come hanno dimostrato i recenti scavi sotto la Piazza del Duomo. L’abitato non giungeva fino alla cerchia delle mura, e c’era un vasto spazio libero fra la contrada di Strada, (via Italia) e le mura occidentali (Via Manzoni), cioè fra Porta S. Biagio e Porta Milano. Il Pratum Magnum, era esattamente quel che la parola significa: un prato assai vasto e dai contorni piuttosto indefiniti, usato per il mercato e la Fiera di S. Giovanni. Era tipico allora di alcune città lombarde che il mercato fosse in vasti spazi fuori le mura, come a Milano nel caso del mercato fuori Porta Ticinese. A Monza il vasto spazio necessario era all’interno delle mura, quindi più controllabile anche dal punto di vista daziario. Siccome il mercato era fondamentale per Monza, il vasto prato fu lasciato intatto per secoli, anche se fu poi tagliato dalla roggia Pelucca per interessi privati.

Questa era dunque la Piazza del Mercato. Non vi sorgevano monumenti e non ebbe mai una forma architettonica precisa. Nel ‘300, sul lato ovest, fu costruita la più grande chiesa di Monza dopo il Duomo, quella di San Francesco, i cui resti sono ora in parte incorporati nel Liceo Zucchi, con un chiostro dei francescani conventuali, vasto e massiccio, e affreschi di Bernardino Luini, nonché il monumento funebre di Giacomo Morigia, padre dello storico monzese Buonincontro.

La chiesa ed il convento vennero poi demoliti e sostituiti dal Seminario Arcivescovile (attuale Liceo Zucchi), portato a compimento nella sua forma attuale dall’architetto Moraglia con “grandiosa architettura, quantunque senza carattere”. O meglio, il cui carattere si nota solo nel bel cortile interno.

L’impianto urbanistico attuale del centro di Monza fu concepito in epoca teresiana, alla fine del ‘700, con la definizione dell’asse viario Villa Reale-Milano e con la creazione della Contrada Ferdinandea (via Vittorio Emanuele) e la costruzione del Ponte dei Leoni.

Sul lato meridionale della Piazza del Mercato, sorse allora un teatro su disegno del Piermarini, ma era destinato a non durare: incendiatosi nel 1802 e ricostruito dall’Amati, il famoso Teatro Sociale, scomparve poi successivamente. Il lato settentrionale e quello orientale restarono indifferenziati, di un pulviscolo di case e casette, fino a quando non sorse poi il nuovo palazzo comunale sulle rovine di un quartiere popolare demolito per la bisogna.

Infine in epoca fascista nacque l’idea di dare alla piazza un preciso impianto architettonico, in base ai principi estetici e politici del periodo. In quella che oggi è via Gambacorti Passerini, sorse la Casa del Fascio, con altri edifici di stile razionalista destinati a costituire una sorta di foro fascista. Si concepì l’idea di ribaltare di 90 gradi la Piazza del Mercato, abbattendo le case che si frapponevano con Piazza del Duomo, creando un unico spazio scenografico in grado di collegare gli edifici simbolici della città: Duomo, Municipio, Palazzo degli Studi e il gigantesco Monumento dei Caduti, montato sulla sua piramide di terra, che solo così avrebbe acquistato un senso rispetto alle dimensioni dello spazio circostante.

Poi si sa come andò. Nel dopoguerra lo sventramento non si fece e si costruì verso il 1960 il tanto contestato palazzo dell’Upim, per completare la piazza verso sud.

L’eventuale scandalo consiste proprio in questo: con la scusa del nuovo progetto si rese edificabile una parte della vecchia piazza. Ma Monza è piena di queste cose, il rispetto per l’urbanistica non è stato certo il suo forte. Quanto al progetto dell’architetto Faglia padre, esso per l’epoca fu innovativo e certo esteticamente più stimolante della fungaia di palazzacci che stavano allora sorgendo in città. Va ricordato che allora il centro storico era un quartiere popolare in via di degrado e che interventi edilizi di questo tipo intendevano riqualificarlo. Sono anch’essi un’impronta storica nell’evoluzione della città, una traccia di un’epoca.

In definitiva, quindi, ricostruire il Pratum Magnum significherebbe riportare tutto a prato. Bucolico certo, ma praticabile? Forse finalmente è il caso di accettare la realtà di una piazza storicamente stratificata e di cercare di dare a questo spazio, per tanto tempo intasata dai parcheggi di superficie e dall’ingombrante monumento ai Caduti, un’estetica ed una funzionalità più adeguate alla vivibilità cittadina.

Foto della raccolta di cartoline storiche su arengario.net