
L’ex centravanti, enfant prodige da ragazzino, ha giocato nel Monza che ha sfiorato al serie A nel ‘79; ed ha allenato le giovanili anche nel periodo del fallimento della società
L’ex centravanti, enfant prodige da ragazzino, ha giocato nel Monza che ha sfiorato al serie A nel ‘79; ed ha allenato le giovanili anche nel periodo del fallimento della società
Paolo Monelli, un pezzo di storia del Monza. Giocatore dal ’77 all’81; allenatore delle giovanili dal 2000. Monelli ha visto le stagioni più significative di tutta la storia del Monza, centenaria o quasi: la mancata promozione in serie A del ’79 e il fallimento degli ultimi anni, con la squadra precipitata in serie C2, categorie in cui non era mai scesa.
Arrivato a Monza a soli 14 anni, Monelli ha esordito a 16 anni, nel ’79, in serie B; nell’81 la cessione alla Fiorentina. Monelli a Monza era un idolo, anche se non era ancora maggiorenne. Centravanti forte fisicamente, tecnicamente e di testa, forse un po’ macchinoso nei movimenti, esordì nell’Italia Under 21 non ancora 18enne. La Fiorentina aveva puntato forte su questo giocatore, che anche in viola avrebbe partecipato alla migliore stagione dei toscani, che in quegli anni con Picchio De Sisti in panchina fecero ancora meglio dell’era Batistuta: «Ho passato cinque anni splendidi a Firenze, nonostante l’infortunio appena arrivato. Era un piazza difficile ma molto calda. C’erano cinque campioni del mondo: Bertoni, Passarella, Antognoni, Graziani e Oriali. In quell’anno arrivarono Cuccureddu, Vierchowod e Pecci, oltre a Massaro che fu acquistato anche lui dal Monza. Il primo anno perdemmo lo scudetto all’ultima giornata, lo vinse la Juventus». Cinque anni e poi protagonista con la maglia della Lazio, «Eravamo in serie B ma venivano 40mila persone. Roma resta la città piì affascinante dove ho giocato: giri l’angolo e vedi qualcosa di bello »; e del Bari: «Facemmo una promozione in serie A, e l’anno dopo ci salvammo. La gente era molto calda, ma se andavi male ti venivano a prendere…Ricordo che prima di ogni partita liberavano un galletto biancorosso in campo». Poi è stato centravanti di lusso in provincia, ad Ascoli e Pescara. «Sono sempre stati un tipo tranquillo, mi sono sempre ambientato in fretta. Ma a 29 un infortunio mi ha chiuso la carriera vera. Ho avuto la fortuna d’iniziare presto ad alti livelli, ma mi sono fermato anche presto. Poi ho giocato anche con il Cantalupo qua a Monza, due anni in cui abbiamo sfiorato al promozione in serie C2».
Monelli abita a Brugherio, dove è sposato, ma non è figlio della Brianza. «Vivevo a Castelnuovo ne’monti, provincia di Reggio Emilia. Giocavo nella Scandianese ed avevo fatto già un paio di provini all’Inter. Il Monza mi soffiò perché il suo dirigente Sacchero era imparentato con il presidente della mia squadretta. A 14 anni sono arrivato a Monza senza la famiglia. Anche se ero piccolo, non avevo grandi timori, mi sono trovato subito bene. La società ci faceva alloggiare nelle stanze sopra la sede di via Manzoni. Andavamo a scuola e quindi a mangiare all’Osteria Fantello. Poi studio e gli allenamenti al centro sportivo di Sant’Albino. Ho passato a Monza dai 14 ai 18 anni: il ricordo più bello resta l’esordio a 16 anni conto il Rimini: alla mezz’ora entro al posto di Silva con il cuore in gola, vinciamo 3-0 e segno di testa. In quell’anno perdemmo lo spareggio per andare in serie A e anche l’anno successivo fu buono: arrivammo quinti. Ricordo i miei compagni in attacco, molto forti, Silva e Penzo. E la gente esperta come Marconcini, Stanzione e Parravicini. E ricordo con affetto l’allenatore Magni, che puntava tanto su di me. Poi era bellissimo giocare allo stadio Sada: per il pubblico di Monza era l’ideale, era piccolo ma molto caldo».
Poi il ritorno nel Monza in qualità di allenatore delle giovanili, nel 2000. «Lì ho visto la società fallire. Non dimentico le tante persone che hanno salvato il Monza: oltre alla nuova gestione, tutti quelli che hanno lavorato ogni giorno al Monzello, senza vedere uno stipendio per 8 mesi, dagli addetti più umili in su. Ora alleno gli Allievi nazionali, che restano un campionato splendido: giochiamo contro Inter , Milan e squadre così». Cosa si sente di insegnare ai suoi ragazzi? «I valori tecnici ed anche quelli umani. Il calcio è un gioco: se non lo fai per passione e divertimento, non vai avanti. Il sacrificio è necessario: bisogna sapersi impegnare sempre, ma con il sorriso sulle labbra».