La Cosmetica del Nemico. Tra religione dell’Io e giansenismo

14 dicembre 2007 | 15:18
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La Cosmetica del Nemico. Tra religione dell’Io e giansenismo

20071214_cosmeticanemico2.jpg Accordino incanta con una riflessione sul doppio e su facili certezze. Fino a domenica al Binario 7  (Contiene intervista)

La religione dell’Io conquista. La meraviglia del dubbio e della ricerca paziente si sottrae alle possibilità dell’uomo moderno. Non perder tempo a farsi domande, servono risposte, certezze: sono questo e non quello, questo mi piace e questo no, oggi sono qui e domani sarò la. E ne sono sicuro.

La cosmetica del nemico è una critica all’economica filosofia moderna delle false certezze, quella che preferisce le affermazioni alle domande, che predilige la pragmatica alla filosofia, che sfugge il fascino del dubbio filosofico per farsi sedurre da una comoda finzione. Rivendica l’esistenza del nemico interiore, Textor Texel, che altro non è che il freudiano grande serbatoio dell’inconscio. Il nemico interiore rovescia la certezza costruita dal razionale, meticolosamente, addobbata di ordine e pulizia, di perfezione e di simboli, il denaro, il successo, il viaggio d’affari. Il nemico interiore spinge da dentro si ribella, insinua il dubbio fino a condurre all’atroce verità. 

Un intrigante gioco di forze rappresentato meravigliosamente nello spettacolo di Corrado Accordino ispirato all’onomimo romanzo breve di Amélie Nothomb, in scena fino a domenica 16 dicembre al Binario 7.

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Uno spettacolo che è un’antinomia. È un viaggio fermo che tramuta il volo d’affari di Anguste Jérôme nella partenza per luoghi interiori alla scoperta della propria malattia mentale. È un tempo immobile che alberga nella sospensione temporale per eccellenza: la sala d’attesa di un aeroporto si trasforma da luogo di noiosa perdita di tempo a luogo di rivelazione ultima. È un conoscere senza riconoscere, nell’impossibilità della vittima di vedere il carnefice nel proprio oggetto d’amore e nella superficiale ossessione per i nomi – «Volevo solo conoscere il tuo nome» urla l’assassino al cadavere – come fossero unico mezzo per entrare in contatto con l’altro, metafora dell’incapacità di superare la superficie, di ignorare i dettagli per darsi all’essenza. È poi una malattia che guarisce: il nemico interiore, venuto «per farti ammalare», infetta col morbo del dubbio e conduce alla guarigione della conoscenza. Ed infine è una trappola che libera: la perfetta trama di sottili e fastidiosi giochi d’astuzia tessuta da Textor non è un masturbatorio divertimento macabro, ma è funzionale al suicidio liberatore di Anguste.

Suicidio necessario, dalla valenza positiva nel rispetto della morale e logica giansenista suggerita da Textor: non tutti sono predestinati alla salvezza e perciò morire dal dolore di scoprirsi biechi e indegni è preferibile al vivere tra le falsità di una perfetta apparenza.

La cosmetica, «scienza dell’ordine universale, morale suprema che determina il mondo», fa da sfondo a tutta la visione: «giudico le azioni in base al piacere che provocano» afferma l’omicida. Ossessivo, si accerta che il giorno della vendetta e le modalità della rivelazione del rimosso al conscio siano cosmeticamente perfette e si strugge nel dubbio che l’estetica del nome della vittima possa non essere cosmeticamente adeguata…

Il finale rivivifica il senso del doppio: un finale solo, ma una visione duplice nel perfetto rispetto della religione cosmica dell’Io. Al di qua della visione, lo spettatore, ormai istruito, comprende perfettamente il significato del gesto estremo di Jérôme che si fracassa la testa contro il muro: l’incessante scambio di posto tra i due personaggi prelude alla necessaria e positiva riunificazione di Anguste col proprio nemico interiore fino alla liberazione. Dall’altra parte il mondo continua a restare fuori, a prediligere facili spiegazioni, a non capire: nel regno della menzogna, della finzione e delle spiegazioni semplici, il telegiornale racconterà che un uomo si è ucciso nella sala d’attesa di un aeroporto nella strenua attesa di un volo che non arrivava mai.

MlC non cade nella trappola della velocità denunciata da Accordino e approfondisce. Ai lettori assetati di ricerca, lo scambio integrale con il regista e un simbolico invito a teatro. Per completare la riflessione di fronte ad uno spettacolo davvero intenso.