
Setaiesh non ce l’ha fatta. La piccola afghana che sperava di sopravvivere grazie alle cure dell’ospedale Niguarda non è neppure riuscita ad arrivare a Milano. E’ morta dopo un atterraggio d’emergenza ad Atene dove è stata trasferita nell’ospedale più adeguato per la sua patologia. Ma non è bastato.
Setaiesh non ce l’ha fatta. La piccola afghana che sperava di sopravvivere grazie alle cure dell’ospedale Niguarda non è neppure riuscita ad arrivare a Milano. E’ morta dopo un atterraggio d’emergenza ad Atene dove è stata trasferita nell’ospedale più adeguato per la sua patologia. Ma non è bastato.
E’ morta tra le braccia del padre Abdullah, disperato, e davanti ai medici ormai impotenti. Una corsa contro il tempo fermata dall’imperscrutabile mistero. Il viaggio della piccola è iniziato attorno alle 12 del 4 marzo dopo che gli anestesisti Riccardo Macorini e Serafina Ghianda hanno raggiunto Herat al termine di un giorno di viaggio. La parte più rischiosa del volo verso Milano, secondo i medici, è la prima tratta, quella che porta Setaiesh da Herat ad Al Baten negli Emirati Arabi. E invece una telefonata tranquillizza don Angelo Pavesi, in collegamento quasi costante con l’aeronautica militare e con gli anestesisti che seguono la piccola. Attorno alle 15.30, all’arrivo negli Emirati la bimba afghana è tranquilla e non ha subito particolari variazioni per cui cuore e polmone sono stabili. La partenza da Al Baten attorno alle 17 fa ben sperare.
Alle 23.30 una chiamata concitata dall’aeroporto di Atene segnala a Don Angelo Pavesi che sono sopraggiunte complicazioni e che l’aereo è stato costretto ad un atterraggio di fortuna ad Atene, la destinazione più vicina sulla tratta. Al telefono Serafina Ghianda cerca di spiegare la situazione medica di Setaiesh ma la linea cade. Momenti di attesa e trepidazione. Poi alle 24 è ancora Serafina, distrutta, al telefono. Racconta tra le lacrime a don Angelo che la bimba è morta. La spiegazione non è chiara perché la telefonata si interrompe almeno cinque volte. Sembra che ci sia stato un problema durante l’ingestione di cibo. Qualcosa nel corpo della bambina non ha funzionato come avrebbe dovuto. E il cuore, già debole e messo a rischio per il lungo volo per l’Italia, non ha retto. Don Angelo trattiene a stento le lacrime. Riprova a chiamare. Al telefono questa volta è Riccardo Macorini che conferma la versione della collega. La bimba è morta.
Ma la preoccupazione dei medici va ora al padre. Abdullah sembra uscito di senno. Si scaglia contro i medici italiani e ateniesi colpevoli di non essere stati in grado di salvare la sua bambina. Come spiegare al padre che la situazione era già grave in partenza e che quel volo della speranza si è spezzato addirittura a metà del percorso? Come far capire la complessa organizzazione messa in piedi da più enti per portare sollievo alla sua piccolina che una malformazione al cuore aveva condannato ad una vita brevissima e che invece in molti hanno tentato di strappare ad un destino crudele?
Il sindaco Sergio Daniel, i volontari della Croce Rossa di Varedo, pronti a trasferire la bimba dall’aeroporto a Niguarda, si stringono attorno a don Angelo. Rabbia, impotenza, sconforto, tristezza. Sono le emozioni che prendono il sopravvento. Un percorso durato sei mesi per salvare una bambina è finito nell’unico modo a cui nessuno voleva pensare. Si resta avviliti e sconfitti.