Giussano, il centro islamico Daawa vince il ricorso al Tar: comune battuto

Il centro islamico Daawa, insieme ai proprietari dello stabile di via Cavour, a Giussano, ha battuto in tribunale l’amministrazione della città brianzola, vincendo il ricorso al Tar. I fatti risalgono allo scorso luglio, quando un’ordinanza dirigenziale emessa dal comune, su insistito invito da parte dei residenti dello stesso stabile, contestava il cambio di destinazione d’uso dell’immobile: da esercizio commerciale (pub, ndr) a luogo di culto.
Il centro islamico Daawa, insieme ai proprietari dello stabile di via Cavour, a Giussano, ha battuto in tribunale l’amministrazione della città brianzola, vincendo il ricorso al Tar. I fatti risalgono allo scorso luglio, quando un’ordinanza dirigenziale emessa dal comune, su insistito invito da parte dei residenti dello stesso stabile, contestava il cambio di destinazione d’uso dell’immobile: da esercizio commerciale (pub, ndr) a luogo di culto.
Toccò poi alla Polizia locale, nelle settimane successive, nel corso di vari controlli, elevare nei confronti del centro ben 5 denunce. Quindi, lo scorso settembre, l’imam Seibou Maman fece ricorso al Tar per annullare l’ordinanza comunale.
Ma, come si legge nella sentenza: «Insufficiente è la circostanza che nella sede dell’associazione sia stata occasionalmente riscontrata la presenza di “persone di religione islamica” ovvero di “persone raccolta in preghiera”, non potendosi qualificare, ai predetti fini, “luogo di culto” un centro culturale o altro luogo di riunione nel quale si svolgano, privatamente e saltuariamente, preghiere religiose, tanto più ove si consideri che non rileva di norma ai fini urbanistici l’uso di fatto dell’immobile in relazione alle molteplici attività umane che il titolare è libero di esplicare»; e ancora, «Il danno esistenziale (turbamento emotivo e psicologico) derivante dal divieto di esercitare in loco attività di culto non è comprovato, né nell’an né nel quantum, e non può essere comunque fatto valere dall’Associazione in sostituzione dei singoli associati che avrebbero subito la compressione di diritti garantiti dalla carta costituzionale; Considerato, per quanto esposto, che il ricorso merita di essere accolto nella sola parte in cui si chiede l’annullamento dell’impugnata ordinanza, mentre la domanda di risarcimento va respinta; Ritenuto di liquidare le spese di causa nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto della parziale soccombenza».
A carico dell’amministrazione, quindi, il pagamento delle spese processuali, 2mila euro, mentre, come specificato, vengono respinte le richieste di danni esistenziali.