Esempio di solidarietà. Arcorese torna dal Kenya più ricca: «aiutare gli altri un’esperienza unica»

13 marzo 2011 | 23:02
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Esempio di solidarietà. Arcorese torna dal Kenya più ricca: «aiutare gli altri un’esperienza unica»

Karungu_-_Fulvia_FerrariQuesta è un’intervista a Fulvia Ferrari, residente ad Arcore, appena tornata dalla sua seconda esperienza di aiuto e solidarietà nel Karungu, regione del kenya dall’altissima percentuale di malati di Hiv. Non facciamo in tempo a porgere la prima domanda che Fulvia esordisce così «E pensare che ero convinta di andar in Kenya per dare e invece ho ricevuto moltissimo…».

Karungu_-_Fulvia_FerrariQuesta è un’intervista a Fulvia Ferrari, residente ad Arcore, appena tornata dalla sua seconda esperienza di aiuto e solidarietà nel Karungu, regione del kenya dall’altissima percentuale di malati di Hiv. Non facciamo in tempo a porgere la prima domanda che Fulvia esordisce così «E pensare che ero convinta di andar in Kenya per dare e invece ho ricevuto moltissimo…».

Ma cosa ti ha spinto a partire per la prima volta (e poi anche per la seconda) verso un paese così povero e diverso dal nostro e con difficoltà di vita neanche lontanamente paragonabili alla nostra?

Karungu_-_Fulvia_Ferrari_01Fin da ragazzina ho sempre avuto un sogno nel cassetto, poter offrire il mio aiuto a chi ne ha più bisogno e finalmente a 53 anni con le giuste condizioni famigliari e lavorative ho potuto realizzarlo anche grazie ad un’amica che mi ha raccontato entusiasta la sua precedente esperienza in Africa. Non nascondo la paura che avevo di non riuscire a dare come avrei voluto.

Sei partita con un gruppo, immagino, una sorta di missione umanitaria?

Siamo partite solo in 2, io e la mia amica, ma arrivate a Nairobi c’era Padre Emilio della missione Camilliana ad aspettarci. Dopo un giorno intero di Jeep su strade dissestate siamo arrivati a Karungu, sul lago Vittoria. Lo scopo della missione è la prevenzione e la cura dei bambini con un’età compresa tra i 5 e i 14 anni orfani a causa dell’aids attraverso la somministrazione di una terapia antiretrovirale che possa garantire loro una buona qualità della vita. Allo stesso tempo è in corso un’opera di scolarizzazione. Sono presenti un orfanotrofio e un ospedale con ben 63 bambini malati dove passavo la maggior parte del mio tempo. Proprio come desideravo. Stare con i bambini, aiutarli e alleviare, per quanto possibile, le loro giornate.

Come siete stati accolti? E cosa incuriosiva maggiormente gli abitanti del luogo?

Le persone che vivono vicino alla missione sono abituate alla presenza degli stranieri, sono tranquille e contente della nostra presenza perché sanno che siamo lì per dare una mano e che con portiamo i medicinali. Man mano che ci si allontana dalla missione la curiosità aumenta fino a diventare diffidenza.

Se dovessi fare un paragone a livello culturale tra noi, Italiani, Europei e loro ? sono più i punti in comune o le diversità?

Le emozioni e i sentimenti che provano sono come i nostri, ma la concezione che hanno della vita e della morte è completamente diversa dalla nostra: la vita per loro è proprio un momento di passaggio e la morte equivale ad un andar a star meglio, è quindi un sollievo, anche se ovviamente c’è gran dispiacere per la persona scomparsa. Questa concezione li aiuta ad esser più tranquilli. Sono molto credenti, indipendentemente dalla religione, anche se a Karungu sono quasi tutti cattolici. Sono molto consapevoli di cosa significherebbe vivere in qui, in Italia, per i racconti di coloro che hanno varcato il confine dell’Africa. Hanno idealizzato il nostro paese e ne fanno un tutt’uno con l’Europa e l’America. Idolatrano il resto del mondo e per assurdo vorrebbero avere due cellulari, status symbol per assomigliare al resto del mondo, come fanno le bambine tingendosi i capelli di biondo e truccandosi all’Europea.

Avete incontrato difficoltà nello svolgere la vostra opera? Quali?

La prima difficoltà è stata un’iniziale diffidenza del personale ospedaliero locale, soprattutto nei confronti delle nuove attività che proponevo, dai giochi ai lavoretti di gruppo per insegnare qualcosa di istruttivo ed divertente ai bambini. Ci sono state anche difficoltà di comunicazione con i pazienti e i loro parenti, non tutti parlano inglese, anzi, La maggior parte parla solo il dialetto locale, ma la comunicazione è passata attraverso altri canali, l’osservare e il toccare. Sono stata a fianco ad una mamma che aveva appena perso il suo bambino e abbiamo cantato insieme e ci siamo abbracciate, ci siamo dette tutto così.

Qual è stato l’episodio che ti ha trasmesso le emozioni più grandi?

Più che un episodio singolo posso dire che l’emozione più forte mi è stata trasmessa dal coraggio dei bambini che, malati, morenti, non si lamentano, sono pazienti e spesso ti sorridono cercando di tranquillizzarti, loro a te! È incredibile!

Nella voce di Fulvia l’emozione è ancor forte…E a questo punto la mia prossima domanda viene del tutto spontanea (ndr).

Sei partita per aiutare, per dare e di certo hai fatto molto, ma sbaglio, o anche la gente di Karungu ti ha dato anche qualcosa?

Sono partita in serenità per il desiderio di prestare la mia opera e man mano ho scoperto che ho ricevuto molto, moltissimo!sono davvero contenta e soddisfatta per come è andata l’esperienza e posso dire di aver lasciato una parte del mio cuore in mezzo a quella gente, quei bambini, alla missione. Una volta tornata a casa poi ridimensioni tutti i problemi della nostra vita quotidiana, senza sminuirli, ma consapevole della grande fortuna avuto nascendo qui, da noi.

Karungu_-_Fulvia_Ferrari_02Pensi di tornare ancor in Kenya? Quando? Questo popolo ha sicuramente tanto bisogno e voi state offrendo un buon aiuto, che cosa possiamo fare noi dall’Italia? Vuoi lanciare un appello?

Certo, conto di tornare, anche se una data certa ancora non c’è. Vorrei portare dei progetti rivolti alle donne di Karungu per insegnare loro dei mestieri e magari coinvolgendo altre persone per cercare il più possibile di diffondere questa esperienza. Dall’Italia le persone possono aiutarci a raccogliere sempre più fondi e materiale attraverso l’associazione che mi ha permesso di realizzare il mio sogno, la PRO.SA, fondazione Onlus per la promozione umana e la salute attraverso.
Il 2 Ottobre parteciperò anche quest’anno a “VOLONTARIamo”, una manifestazione che ci offre proprio l’occasione di diffondere i progetti della PRO.SA, uno dei più importanti, l’adozione a distanza.

Ti ringrazio molto Fulvia, per i tuoi racconti e per ciò che ci hai trasmesso, nella speranza di aver regalato con queste parole anche ai nostri lettori quelle emozioni che tu hai provato.

Di seguito, per chi fosse interessato ad avere informazioni sulla Pro.Sa e i loro progetti, potete trovare sito e mail:

www.fondazioneprosa.it ; info@fondazioneprosa.it