Monza. «Aprire al Cambiamento». Vincenzo Ascrizzi si candida a sindaco

6 novembre 2011 | 22:04
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Monza. «Aprire al Cambiamento». Vincenzo Ascrizzi si candida a sindaco

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Vincenzo Ascrizzi punta alto. Prima consigliere comunale, poi assessore alla Comunicazione nella giunta Faglia e dopo ancora consigliere d’opposizione nell’era Mariani, oggi il capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà si candida per diventare sindaco di Monza. A sostenerlo non ci sarà, almeno per il momento, nessuna bandiera politica.

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Vincenzo Ascrizzi punta alto. Prima consigliere comunale, poi assessore alla Comunicazione nella giunta Faglia e dopo ancora consigliere d’opposizione nell’era Mariani, oggi il capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà si candida per diventare sindaco di Monza. A sostenerlo non ci sarà, almeno per il momento, nessuna bandiera politica.

Ascrizzi, infatti, si presenterà alle prossime amministrative sostenuto da «Aprire al Cambiamento», un movimento d’opinione che conta già qualche centinaio di sostenitori.

«Vogliamo costituirci come comitato civico, senza la necessità di “targarci” come movimento di partito – ha spiegato – Metto la mia candidatura messo a disposizione del centro sinistra, ma non voglio in nessun modo che nessuno, di qualsiasi appartenenza politica, possa sentirsi escluso dal partecipare alla costruzione del nostro Progetto per la Monza del futuro».

Un movimento che, ha raccontato il consigliere, «parte dai bisogni primari e reali che oggi sono messi in discussione» e che punta a dare a tutti «la dignità del lavoro e risposte ai problemi di natura sociale di questa città».

«Bisogna aprire le finestre e le porte al cambiamento, dobbiamo tornare ad ascoltare. La politica ha bisogno un rinnovamento, morale e culturale», ha affermato.

La sua prima riflessione pre elettorale si chiude con la frase: «Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada». Ha citato Majakovskij, un poeta ma soprattutto un rivoluzionario contro il “vecchiume” del passato. Alle prossime comunali dobbiamo aspettarci un Ascrizzi versione Majakovskij?

«La frase di Majakovskij mi piace molto. In politica c’è un dibattito continuo tra vecchio e nuovo, ma bisogna uscire da questa visione e mettere al centro la politica pulita e la buona politica. È necessario ritornare alle origini, parlare a tutte le parti vive della società. La politica non deve essere un luogo di scontro per accaparrarsi poltrone, ma uno strumento per i cittadini. Bisogna finirla con i partiti delle segrete stanze per ritornare tra i giovani, tra “i ragazzi di strada”, appunto. I rottamatori? Mi fanno ridere! Perché la questione non è anagrafica, ma culturale. La cosa strana di una certa parte del centro sinistra è vedere ogni cosa nuova come una “catarsi”. Noi, invece, abbiamo bisogno di persone competenti che si misurino con la realtà».

Sta per caso lanciando una frecciatina ai cosiddetti “radical chic”?

«La mia storia è quanto di più distante da una certa cultura radical chic che ha fatto solo danni alla nostra politica. Sono contrario alla sinistra snob e autoreferenziale, che fa politica solo per bisogno estetico, e che ormai è arrivata al capolinea anche a Monza. Io che mi sento parte della sinistra del lavoro, mi onoro di aver appreso da una certa “aristocrazia operaia” quei valori che oggi ritrovo in un’impresa che fa profit pulito ben rappresentata nel nostro territorio.

Torniamo alla sua candidatura. Chi sono quelli di «Aprire al cambiamento»?

«È uno spaccato della società. Ci sono appunto operai, impiegati, commercianti, professionisti e imprenditori; persone diverse, di diversa collocazione sociale. Ma nessuno è blasonato. Ci sono le tante facce anonime che tengono in piedi il Paese, gente normale con problemi normali».

In origine il movimento si chiamava «Monza merita di più». Anche se il nome è cambiato, l’obiettivo è rimasto quello. Ma che cosa, in concreto, merita Monza?

«È triste notare che più che una città di provincia, la nostra, è una città provinciale. I quartieri non vivono, Monza appare come una bella addormentata. È una città nobile, importante, ma molte volte ripiegata su se stessa. Una città perennemente chiusa per ferie. E non è nemmeno quella vetrina del made in Brianza e delle sue 70 mila aziende che avremmo voluto diventasse dopo la nascita della Provincia. Quindi? Bisogna riprendere in mano la riqualificazione del tessuto cittadino, partendo dalle periferie, che rappresentano la porta d’accesso da altre città, prime fa tutte Milano, e valorizzare le aree dismesse, dove sorgevano siti industriali, per dare una risposta concreta ai bisogni di casa e lavoro. Lo sviluppo deve essere all’insegna dell’economia verde. In pratica bisogna guardare alla green economy come a un’opportunità di sviluppo sostenibile per nuove attività e nuove tecnologie. Serve poi un rinnovamento del patrimonio storico a partire da Villa Reale, Parco e Autodromo: un trittico che può facilmente diventare un volano per il turismo. Io ci ho già provato quando, come assessore, ho avviato il Sistema Turistico Locale di Monza».

Ha dichiarato che oggi «le legittime richieste dei cittadini sono deluse da un sistema di partiti che non riesce più a essere interlocutore utile». È per questo che ha deciso di metterci la faccia e nessun simbolo politico?

«Sì. In questa fase non voglio ancorare la mia candidatura ad un partito perché, se vogliamo davvero dar vita alla Monza del futuro, bisogna permettere a chiunque di parteciparvi. Con il crollo del Berlusconismo e la polverizzazione del centrodestra ci sarà un’ampia platea di persone che non si sentono rappresentate, noi abbiamo il dovere di non parlare solo alla sinistra, dovremo essere interlocutori per quanti vogliono ancora ripartire. E per farlo servono tante idee, ma meno ideologia».

Ma la tessera di Sinistra Ecologia e Libertà ce l’ha ancora?

«Certo, rappresenta il mio impegno civico e politico. Voglio che la mia storia politica sia una virtù, non un limite. Sel è un progetto di valore nazionale a cui ho aderito sin dal primo congresso, rappresenta un potenziale di innovazione e la capacità di staccarsi dai vecchi meccanismi della politica».

Lei sostiene che bisogna tornare ad ascoltare e che la politica appare distante. Vale anche per il centro sinistra?

«Io mi sento a casa in una forza riformatrice della politica. Faccio fatica a ritrovare la mia autonomia di pensiero nei grandi contenitori partitici attuali e faccio mie quelle spinte utili a rimuovere le incrostazioni del passato. Essere riformista oggi significa sentirsi a pieno titolo in questa società ma avere vivo il desiderio di trasformazione radicale per aprirsi a tutto campo al cambiamento e saperlo gestire».

Nella foto: Vincenzo Ascrizzi