“Torna a casa, c’è la guerra”, ricordi dell’11.09.2001

«Torna a casa, c’è la guerra». La voce spaventata di mia madre mi spinse a rientrare, anche se non riuscivo ad immaginare che fosse davvero scoppiato un conflitto. Era l’11 settembre 2001, il giorno in cui tutto il mondo scoprì un nuovo modo di farsi guerra, fatta di pugnalate nella schiena.
«Torna a casa, c’è la guerra». La voce spaventata di mia madre mi spinse a rientrare, anche se non riuscivo ad immaginare che fosse davvero scoppiato un conflitto. Era l’11 settembre 2001, il giorno in cui tutto il mondo scoprì un nuovo modo di farsi guerra, fatta di pugnalate nella schiena.
L’immagine delle torri che bruciano nel televisore, il silenzio ed il terrore negli occhi dei miei familiari. Questo è il mio personale ricordo dell’undici settembre. Oggi ricorre il triste anniversario dell’attacco terroristico più imponente della storia dell’uomo, in cui morirono quasi tremila persone. Il simbolo del capitalismo americano, il cuore di New York, si è accartocciato su se stesso trafitto da due schegge fatte impazzire secondo un piano diabolico, e che si sono portate vie migliaia di vite, di storie.
Ogni volta che ci penso, la mia mente vola verso le occasioni mancate di tutte quelle persone. In quell’11 settembre 2001 qualcuno avrebbe detto “ti amo” per la prima volta, qualcuno pochi attimi prima può aver ricevuto la telefonata che annunciava una futura nascita o la perdita di un caro. Certamente ci sarà stato chi ha preso l’ascensore emozionato alla sua prima esperienza di lavoro in un ufficio delle torri, o un bambino che per la prima volta passava una giornata “in ufficio con papà”. Nessuna di quelle persone ha potuto concludere la giornata così come l’aveva immaginata al risveglio. E da questo pensiero, raccogliendo i ricordi di chi ha vissuto quel momento solo attraverso lo specchio della televisione, si arriva alla conclusione più amara. Tutti noi, da quel giorno, “ci siamo svegliati” in un mondo ferito. Ogni conclusione sull’operato dell’occidente negli altri paesi, sulle diverse culture che spesso non si riescono ad incontrare, è personale. Una riflessione, però, la voglio fare. La guerra è non è mai un fatto positivo. Ma quando il nemico ti dichiara battaglia guardandoti in faccia, è scontro alla pari. Quando il nemico colpisce da codardo, significa che non gli interessa affrontarti alla pari, ma solo farti male. Significa che non gli interessa passare dalla guerra armata allo scontro di pensiero, da combattere nelle aule della diplomazia.