Donne d’Islam, in Italia la forza del cambiamento, per iniziare una nuova vita

7 ottobre 2014 | 09:53
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Donne d’Islam, in Italia la forza del cambiamento, per iniziare una nuova vita

Dopo qualche anno di vita in Italia, l’esperienza di una cultura diversa, le prospettive che cambiano, abbiamo raccolto la storia di due donne che con un semplice gesto, hanno cambiato la loro vita.

Sono arrivate in Italia con le traversate della morte, qualcuna affannando incinta accanto al marito, costrette a salire su un barcone per l’Italia su cui non avrebbero voluto mai ritrovarsi, perché avevano pagato per essere portate altrove o solo per poter restare nel loro paese.
Dopo qualche anno di vita in Italia, l’esperienza di una cultura diversa, le prospettive che cambiano, abbiamo raccolto la storia di due donne che con un semplice gesto, hanno cambiato la loro vita, la concezione del rispetto per la donna che gli era stato inculcato e probabilmente saranno madri di ragazzine mussulmane libere, in Italia.
La prima storia è quella di Batris (nome di fantasia), rifugiata libica di 30 anni, arrivata nel monzese nel 2011, insieme al marito quarantenne e i loro tre figli. Assistita dalla cooperativa Aeris di Vimercate, insieme ad altre tre famiglie, è stata inserita nel progetto nazionale “Sprar” (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), perché il progetto che li ha ospitati fino ad ora si è concluso. Gli è stato proposto vivere in Calabria. La terra del sud così vicina alla loro africa però non attira, e c’è chi piuttosto che andare al sud abbandona il programma e chi punta i piedi e dice “no” e vede sua moglie lasciarlo solo.
“E’ una terra difficile e non c’è lavoro” dice M.S. 40enne mussulmano della Costa D’Avorio arrivato in provincia di Monza con la moglie e i loro tre figli, nel 2011. «Siamo rifugiati politici, abbiamo tutto in regola, qui ci hanno dato 500 euro al mese per vivere, una casa – prosegue l’uomo – e i nostri figli vanno a scuola e sono integrati qui. Ad altri del programma delle cooperative hanno dato una buona uscita di 5.000 euro per andare dove volevano, c’è chi ha scelto la Germania o è rimasto qui». Sua moglie, dieci anni più giovane, occhi castani e penetranti, non la pensa come lui «Io non voglio problemi, questa è una grande opportunità per noi. Lui non capisce che queste famiglie che se ne sono andate, adesso sono sole, finiti quei soldi cosa gli resterà? Io mi fido e voglio cogliere questa opportunità. In Calabria so che avrò casa e scuola come qui e forse anche il lavoro. Dopo quattro anni senza nemmeno trovare un impiego qui, è ovvio che ci chiedano di provare da un’altra parte». E qui,  davanti ad un marito irremovibile che vuole tenere fede al ruolo di capo famiglia che ha deciso di non assecondare la proposta italiana, lei rompe gli schemi e sceglie di andare via da sola, “Preferisco perdere lui ma avere una nuova possibilità di vita che restare qui e poi farmi togliere i figli e restare per strada”.
Una scelta che non ti aspetti, ma che forse a questa donna e ai suoi figli regalerà una nuova prospettiva di vita, come sottolineato dalla Responsabile della cooperativa Aeris di Vimercate (Monza), che ha avuto in carico la famiglia fino ad oggi «Sono stupita positivamente della decisione della signora – spiega G.R. – lui non si rende conto dei costi di mantenimento di una famiglia in Italia. Noi davamo loro 500 euro, più affitto e bollette pagate e la scuola dei bambini. Come fa a mantenere la famiglia senza lavoro? Possiamo anche dare loro la buona uscita, quanto gli durerà? In Calabria il costo della vita è più basso e ci sono lavori diversi che qui non esistono più. Questo progetto è stato chiuso, ha dato molto, forse però le risorse e la gestione da parte dello Stato dovrebbero essere differenti, così è un gran caos». La crisi quindi fa anche questo, emancipa donne abituate a non decidere da sole e sposta la ricerca di una nuova vita da nord a sud.
E poi c’è Alina (altro nome di fantasia), anche lei mussulmana e vittima di violenze da parte del marito. A raccontare la sua storia è la responsabile del Ca.do.m di Monza, il centro antiviolenza per le donne «Ha trovato il coraggio di denunciare le violenze che subiva – spiega – e all’operatore delle forze dell’ordine che l’ha accolta, ha raccontato tutto. Questi le ha quindi proposto di passare il suo caso ad una collega, perché potesse togliersi il velo e farsi fotografare le ecchimosi. Alina ha detto “no, lei mi ha ascoltato, mi ha rispettato e io il velo me lo tolgo davanti a lei”». Il coraggio di cambiare, nonostante le differenze e le imposizioni a cui erano abituate, queste donne lo hanno trovato.