Umberto Aldovieri, l’arbitro di hockey n.1 al mondo. “Quella volta che D’Alema…”

È stato il miglior arbitro di hockey su pista del mondo. Ma Umberto Aldovieri a Monza è un’istituzione sportiva, un personaggio molto conosciuto anche negli ambienti dello spettacolo e della politica.
È stato il miglior arbitro di hockey su pista del mondo. Ma Umberto Aldovieri a Monza è un’istituzione sportiva, un personaggio molto conosciuto anche negli ambienti dello spettacolo e della politica.
Settantaquattro anni da compiere il prossimo 9 luglio, “Umbi”, come lo chiamano gli amici, vive a Biassono dal 1982. Da 49 anni lavora o collabora alla Manifattura Mario Colombo & C. di Monza, titolare del prestigioso marchio di abbigliamento sportivo Colmar. Tanto tempo all’ufficio pubbliche relazioni gli hanno permesso di conoscere molti Vip che ancora adesso lo chiamano da ogni angolo d’Italia per sapere come sta. Del resto la Manifattura Mario Colombo & C. commercializza il marchio Adidas che veste le squadre di calcio della Nazionale italiana cantanti, dei Giornalisti RAI e della Nazionale italiana magistrati. Nel tempo libero, invece, Aldovieri si è dedicato allo sport più titolato della sua città: l’hockey su pista. Prima come vicesegretario dell’Hockey Club Monza, poi come arbitro, quindi come referente arbitrale e infine come dirigente dell’Hockey Monza Brianza, da lui fondato e di cui è stato anche presidente. La fama mondiale di “Umbi” è però legata al ruolo di arbitro: ha diretto la bellezza di 652 partite di cui 515 di Serie A e 65 internazionali, soffiando nel suo fischietto in numerose finali di campionato e Coppa Italia, ma soprattutto in due finali di Coppa dei campioni e nella gara decisiva di un Campionato mondiale. E a frenarlo in quel periodo c’era il “Dream team” azzurro, che più spesso di oggi era grande protagonista delle manifestazioni internazionali.
Come ti sei avvicinato all’hockey a rotelle?
“Sono cresciuto nel quartiere San Gerardo e tra i miei amici dell’oratorio c’erano ragazzi che giocavano nell’HC Monza, come Silvano Ghezzi, Fabrizio Villani e i fratelli Mario e Guido Calloni. Io non avevo più voluto calzare i pattini dopo quella volta che in casa sono finito contro una porta vetrata tagliandomi la guancia! Anche se comunque ho praticato sport: pallacanestro nella Gerardiana e nella Lampo Milano. Insomma, spinto dagli amici a 19 anni mi sono avvicinato all’HC Monza diventando il vicesegretario, cioè l’aiutante di Bruno Citterio”.
E perché sei diventato arbitro?
“Nel 1974 Giuseppe Console (probabilmente il più grande arbitro di hockey di tutti i tempi, ndr), che era a Monza per dirigere una partita della prima squadra, mi notò mentre soffiavo nel fischietto in una gara di esibizione di ragazzini. Mi domandò: ‘Perché non diventi arbitro per davvero?’. Io lasciai cadere la proposta, ma lui mi iscrisse a mia insaputa al corso apposito, che io non frequentai, finché un giorno mi disse che mi dovevo presentare all’esame. Ci andai e lo superai”.
Che cosa vuoi raccontare della tua carriera?
“Potrei parlare per ore (davanti a sé ha un vecchio quadernone in cui ha segnato meticolosamente tutti gli incontri arbitrati, con data, luogo e squadre, ndr). Ti dirò solo i momenti salienti. La mia prima partita risale al 9 giugno 1974 per il campionato di Promozione, che era una categoria giovanile, tra Monza e Novara Sant’Antonio. L’esordio in Serie C, che allora era l’ultima serie, avvenne il 17 maggio 1975 per l’incontro Rotellistica Novara-Pro Vercelli. Ricordo una grande emozione da parte mia perché a vedermi era venuto Console, nel frattempo diventato designatore arbitrale. L’esordio in Serie B risale al 29 maggio 1976 per la gara Amatori Vercelli-Dopolavoro Ferroviario Trieste, mentre in Serie A debuttai il 17 giugno 1978 con il derby toscano tra Forte dei Marmi e Grosseto. Ero molto teso, ma tutto andò bene e dopo la partita andai a farmi una gran mangiata di pesce, di cui sono sempre stato ghiotto fino al punto da star male: tra novembre e dicembre del 1990, infatti, dovetti stare 23 giorni in isolamento in ospedale per epatite virale contratta a causa di un’ostrica”.
Quando ti sei meritato l’appellativo di “erede” di Mario Farneti, il più importante arbitro monzese a te precedente?
“Direi il 22 settembre 1984, quando a margine del Campionato mondiale di Novara ho superato l’esame per diventare arbitro internazionale. Il mio esordio fuori dall’Italia avvenne l’11 maggio 1985, quando fui designato per dirigere il quarto di finale di Coppa CERS tra Benfica e Voltregà a Lisbona. Nel luglio successivo andai ai World Games di Londra, le Olimpiadi per gli sport non olimpici: la prima partita tra Nazionali da me arbitrata fu Portogallo-Stati Uniti. Un’altra esperienza indimenticabile fu il Torneo internazionale di Maputo, in Mozambico, dove io fui chiamato nel gennaio 1986: mai un arbitro non africano, portoghesi esclusi, era stato invitato a questa prestigiosa competizione. Ricordo che diressi la finale tra Portogallo e Angola e appena finita la partita il portiere del Mozambico invase la pista per festeggiare. Era così felice che mi venne istintivo regalargli il fischietto. In serata, al ricevimento all’ambasciata italiana, lui si presentò per ricambiare il dono con una piccola scultura in legno e mi disse: ‘Questa è per il miglior arbitro del mondo’. La conservo gelosamente tra le mie targhe, trofei e ricordi hockeystici. Tra l’altro quella sera conobbi il presidente del Mozambico che qualche mese dopo morì in circostanze misteriose”.
Al tuo ritorno ricordi che ci fu il clamoroso sciopero degli arbitri di hockey?
“Sì, fu deciso dai miei colleghi. È vero che l’arbitro di hockey lo si fa per passione, ma almeno a quei tempi aveva dei rimborsi spese risibili. Per fare due esempi, se andavamo ad arbitrare in Maremma i rimborsi coprivano solo la metà del viaggio; se andavamo in trasferta in automobile non ci davano il rimborso per il pernottamento e di fronte alle nostre proteste un giorno dalla Federazione ci dissero che potevamo dormire nella vettura… Nell’autunno successivo fondammo l’Associazione arbitri e la reazione della FIHP fu il deferimento per tutti”.
Hai altre date importanti della tua carriera da ricordare vero?
“Certamente. Nell’ottobre 1986 fui chiamato ad arbitrare al Campionato europeo Juniores ad Anadia. L’assessore allo Sport del Comune di Monza di allora, venutolo a sapere, mi affidò una riproduzione della Corona Ferrea da donare all’Università di Coimbra, che io mi preoccupai di consegnare nelle mani del rettore del prestigioso ateneo portoghese. Un’altra data di passaggio è stata l’1 marzo 1987, quando sono stato promosso alla categoria A internazionale: significava che potevo arbitrare al Campionato mondiale. E infatti nel settembre 1988 ero a La Coruña. Fu bellissimo anche perché in Spagna l’Italia vinse il secondo titolo intercontinentale consecutivo”.
Secondo i portoghesi grazie a te… Il commissario tecnico António Livramento, giocatore del Monza nella stagione 1970/71, rilasciò dichiarazioni al vetriolo nei tuoi confronti, dandoti anche del disonesto. Cosa successe?
“Ai tempi il Campionato mondiale era un girone all’italiana. Nell’ultima giornata l’Italia regolò la Germania estromettendo matematicamente la Spagna, che in serata affrontò il Portogallo per il secondo posto, ma i lusitani vincendo si sarebbero aggiudicati il Mondiale. Era la partita più importante del torneo a fui designato io ad arbitrarla. C’erano 11mila spettatori, il pubblico più numeroso in cui mi sono trovato a dirigere un incontro. La Spagna vinse 2-1 e i portoghesi diedero la colpa a me parlando di arbitraggio scandaloso e ‘patriota’. Livramento in particolare mi accusò di non aver assegnato un rigore per loro, che effettivamente le immagini televisive confermarono esserci. Io però non lo vidi… E poi comunque non è detto che l’avrebbero realizzato: nell’hockey non è semplice come nel calcio”.
Ti ferirono le parole di Livramento, che aveva avuto te come vicesegretario al Monza?
“Beh, non mi aspettavo arrivasse a formulare accuse così pesanti. Tra l’altro io l’ho sempre stimato moltissimo come giocatore: ritengo ancora adesso che sia stato il più forte hockeysta che io abbia mai visto. Comunque lasciai cadere le polemiche nel vuoto”.
A proposito di giocatori, apriamo una parentesi: chi sono stati invece i più forti hockeysti italiani degli ultimi 55 anni secondo te?
“Il povero Stefano Dal Lago (morto tragicamente sulla pista di Novara per un infarto il 27 settembre 1988, ndr) e poi sono rimasto colpito dal ventenne Alessandro Verona, che è già in Nazionale”.
Torniamo alla tua carriera di arbitro: non hai da fornirci le date delle finali di Coppa dei campioni?
“Sì: 21 giugno 1989 e 6 giugno 1990. La prima era la gara di ritorno tra Noia e Sporting Lisbona, la seconda la gara di andata tra Porto e Noia, dunque in entrambi i casi una sfida tra spagnoli e portoghesi. A Noia ricordo che nel palazzetto c’era il ristorante gestito dal padre di Santi Cardà, allora giocatore del Monza che stava per affrontare il Roller Monza nel derby che valeva lo scudetto. Nel ’90, ma anche nel 1991, fui anche premiato come miglior arbitro italiano dalla Federazione. A livello internazionale non esisteva il premio, ma ricordo che qualche volta il designatore arbitrale della FIRS mi disse a voce che ero stato considerato il miglior arbitro del mondo. Le ultime tre date importanti della mia carriera sono state l’aprile 1992 perché sono stato designato per il Campionato europeo di Wuppertal, l’ottobre 1993 perché ho chiuso ad alti livelli col Campionato mondiale di Sesto San Giovanni, il famoso MundialRoller, e il 7 novembre 1993 perché ho diretto l’ultima partita, la finale del Torneo Città di Vigo tra Liceo La Coruña e Igualada. Ricordo con orgoglio che al MundialRoller, al termine della finalina da me arbitrata (Aldovieri fu tagliato fuori dalla finalissima a causa della presenza degli Azzurri, ndr), entrarono nel mio spogliatoio il presidente della Federazione spagnola e il designatore arbitrale spagnolo per supplicarmi di non appendere il fischietto al chiodo e di venire a dirigere le gare del prestigiosissimo torneo di Vigo, dove oltre alla squadra locale si affrontavano le tre vincitrici delle coppe europee”.
Tra il 1993 e il 2006 hai svolto l’incarico di referente della Commissione tecnica arbitrale, cioè colui che va alle partite e stila i rapporti sul comportamento dei ‘fischietti’: chi era, o è, un grande arbitro come te?
“Il mio contemporaneo Werner Brunner di Trieste. Rispetto a me aveva il vantaggio di aver giocato a hockey e il vantaggio ulteriore di aver giocato come portiere. Era praticamente infallibile: o vedeva tutto o capiva tutto senza aver visto”.
Nel 2006 la città di Monza ha ospitato il Campionato europeo: cosa ti è venuta voglia di fare in quei giorni?
“Di riportare l’hockey su pista in città, scomparso nel 1997 col passaggio dell’HC Monza all’hockey in linea (il Roller Monza aveva cessato l’attività l’anno prima, subito dopo aver vinto lo scudetto, ndr). Ho telefonato a un paio di amici e con l’aiuto dell’allora assessore allo Sport, Dario Allevi, ci siamo riusciti. Per motivi burocratici il primo campionato l’abbiamo disputato come sezione hockey della Corona Ferrea Monza, società di pattinaggio artistico presieduta da Anna Colzani, dopodiché il Monza Brianza è diventato pienamente operativo fino al 2013. È stata una buona esperienza, anche se siamo andati vicini alla promozione senza riuscirci. Prima e dopo di me sono stati presidenti Enzo Brambilla e Franco Girardelli. Però quello che mi ha dato di più sotto tanti punti di vista è stato il segretario Luigi Maggioni. Nell’HMB sono cresciuti giovani dirigenti ai quali ho lasciato in eredità una squadra di Serie B e un florido settore giovanile”.
Sulle ceneri della “tua” società è sorto infatti l’Hockey Roller Club Monza, che in due anni ha scalato due categorie. Sei contento che la città di Monza sia tornata nella massima serie dopo 19 anni?
“Certamente. Ma soprattutto sono contento di aver lasciato l’hockey cittadino in mano a gente valida, che si dà da fare”.
Ma quale hockey ti piace di più? Quale decennio incorniceresti?
“Era più bello, anche dal punto di vista umano, quello di una volta, in particolare quello degli anni ’80. Salvo qualche eccezione, tra le società c’era più amicizia”.
Hai visto cambiare molte regole dal 1960: preferivi il gioco di una volta?
“Sì. Le regole sono cambiate troppo. Adesso è più difficile arbitrare perché ci sono troppe norme che non servono a niente. La colpa è del settore tecnico della FIRS”.
Detto da uno che si riguardava le sue direzioni arbitrali col videoregistratore per limare le imperfezioni… Ti allenavi tanto?
“Hai detto bene. In ogni posto dove andavo ad arbitrare mi portavo dietro una videocassetta e chiedevo alla immancabile televisione locale il favore di registrarmi l’incontro. Finita la doccia andavo a recuperare la videocassetta e il giorno dopo la infilavo nel videoregistratore per riguardare il match e autogiudicarmi. Riguardo alla forma fisica, mi tenevo in condizione con due allenamenti la settimana e con una corretta alimentazione nelle giornate precedenti la partita. Dopo la nascita del Roller Monza mi allenavo una volta con i biancazzurri e una volta con i biancorossi del Monza, così tutti erano contenti”.
A proposito, ma perché non hai mai arbitrato il derby?
“In verità una volta lo arbitrai, ma amichevole, si fa per dire… Era la fine degli anni ’80, a Brugherio, e finì in pareggio. Dopo quella volta non volli più saperne di dirigere un derby ufficiale, al punto che arrivai a rifiutare la designazione per quella partita. Vuoi sapere perché? Il giorno dopo ricevetti troppe critiche da ambo le parti…”.
Fare l’arbitro, si sa, significa avere a che fare con la violenza verbale e a volte anche fisica. Hai mai ricevuto insulti, sputi, botte?
“Botte? Mai. Sputi? Qualcuno. Insulti? Tanti, come capita a tutti gli arbitri. Però la cosa che mi dava più fastidio era sentire gli insulti indirizzati ai colleghi”.
Qual è il pubblico più “caldo” dell’hockey?
“Quello di Giovinazzo”.
Non ti chiedo invece qual è il palasport più bello perché altrimenti ti deprimi… Quante promesse di un palazzetto per gli sport rotellistici a Monza hai dovuto sentire in tutti questi anni?
“È dagli anni ’70 che se ne parla. Io addirittura ammirai un plastico alla Candy mostratomi dall’amico Peppino Fumagalli, recentemente scomparso. Poi vidi un sacco di progetti a seconda dell’Amministrazione comunale che si insediava in piazza Trento e Trieste. E poi anche progetti di privati… Alla fine costruirono il palazzetto dello sport, che però si mostrò subito inadatto per le discipline rotellistiche a causa della mancanza di balaustre. Non crederò più alle promesse di nessuno finché non assisterò a una partita di hockey giocata dentro un palazzetto adeguato. Una città come Monza, con la tradizione e il blasone che ha (11 scudetti, 4 Coppe Italia, 3 Coppe delle coppe e 1 Coppa CERS vinti tra Monza e Roller Monza, ndr), non può non avere un palazzetto per l’hockey su pista”.
Se all’estero Aldovieri è conosciuto più come arbitro, in Italia è una celebrità nell’ambiente dello spettacolo. Alla Manifattura Mario Colombo & C. ha lavorato prima nell’ufficio acquisti, poi nell’ufficio vendite e dal 1980 nell’ufficio pubbliche relazioni, dove ha curato tra le altre cose il rifornimento del materiale Adidas per le squadre di calcio della Nazionale italiana cantanti, dei Giornalisti RAI e della Nazionale italiana magistrati.
È stato un lavoro per certi versi divertente, no?
“Mi ha dato la possibilità di conoscere un mucchio di artisti e magistrati, alcuni dei quali ancora chiedono notizie di me. L’altro giorno, per esempio, ho parlato al telefono con Gianni Morandi. Nel 1998 fui tra gli invitati al matrimonio tra Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker al Castello Odescalchi di Bracciano. Poi è rimasta una grande amicizia con Piero Calabrò, uno dei due fondatori della Nazionale italiana magistrati, attualmente assegnato al Tribunale di Lecco (molto noto come opinionista tv da tifoso della Juventus, ndr). Per non parlare del presidente del Senato, Piero Grasso, che fa correre la scorta quando mi vede… Ho davvero dei fantastici ricordi, soprattutto delle ‘partite del cuore’ della Nazionale italiana cantanti, che sono state una più bella dell’altra”.
Non hai un aneddoto dei tuoi da raccontare?
“Fammi pensare… Sì, riguarda la ‘partita del cuore’ di Verona del 1996 contro la Nazionale politici. L’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, allora deputato e segretario nazionale del PDS, si dimenticò a casa gli scarpini. Vennero subito da noi della Nazionale cantanti per chiedere se c’erano degli scarpini in più e io glieli trovai, ma solo della misura 7 e mezzo anziché 7. Beh, l’onorevole segnò un gol, dunque non erano poi così tanto larghi… Finita la partita venne a restituirmeli, ma naturalmente gli dissi di tenerli pure”.
Che personaggio l’“Umbi”… E che arbitro! I monzesi l’hanno potuto ammirare poco per ovvi motivi, ma sfogliare le centinaia di articoli che lui ha ritagliato è scorrere un fiume di elogi, soprattutto da parte dei giornali spagnoli e portoghesi. Ne riportiamo uno che ci è piaciuto per la sua sinteticità e per la provenienza, quel Portogallo che aveva un Mondiale non ancora digerito… È dell’8 giugno 1990, dopo la direzione della finale di Coppa dei campioni tra Porto e Noia. La testata è il prestigioso Jornal de Notícias, di Oporto: “Do italiano Aldovieri, da sua arbitragem, diremos apenas isto. Foi sensacional”. Non c’è bisogno di traduzione.