Botte e stupro per rapina in villa, la delusione dieci anni dopo

Costruirsi il futuro lavorando sodo, avere la vita piena della gioia di una moglie amata e due figli. Tutto strappato via dalla furia bestiale della cattiveria umana, che a distanza di anni é di nuovo libera di agire.
Costruirsi il futuro lavorando sodo, avere la vita piena della gioia di una moglie amata e due figli. Tutto strappato via dalla furia bestiale della cattiveria umana, che a distanza di anni é di nuovo libera di agire. Questo il dramma di Cesare Biffi e della sua famiglia, vittima di una brutale rapina in villa ad Aicurzio, dieci anni fa.
Una villetta bianca, costruita con cura ma senza sfarzo, segno di chi ha sudato ogni centimetro di quello che ha. Sullo sfondo un gruppo di lavoranti rumeni, impegnati nella ristrutturazione della casa di un imprenditore. Tra loro anche le bestie che qualche settimana dopo aggredirono chi gli dava il pane e un lavoro, con una brutalità inaudita, fino a distruggergli la vita per poche centinaia di euro.
Era il novembre del 2005, Biffi, sua moglie e il figlio minore erano a casa quando quattro uomini incappucciati entrarono in casa. Convinti di poter trovare chissà che tesoro in una cassaforte, hanno massacrato di botte padre e figlio. La signora Biffi, tra tutti, ebbe la peggio. Fu stuprata e dalle botte al volto, calci e pugni, il suo viso finì stravolto e tumefatto per le fratture. Il racconto di quella notte, dalle parole di Cesare, fu fatto con coraggio poco tempo dopo, in questo video.
Grazie all’impegno immediato delle forze dell’ordine, in particolare i carabinieri di Monza, tre dei quattro aggressori (tutti ventenni) furono arrestati. Uno però, forse fuggendo in patria, non fu mai preso. Era il capo banda. Quando in Tribunale arrivarono le condanne, da 5 a 8 anni al massimo, il ricordo della voce di Cesare al telefono é indelebile “ho capito, speravo di più, grazie”. Di lì a poco sua moglie si ammalò: cancro al cervello. Le metastasi la strapparano all’amore della sua famiglia in due anni, anche se da quella notte lei non fu mai più la stessa. Secondo i medici le botte e il trauma più forte, quello del suo cuore devastato, hanno certamente concorso al manifestarsi della malattia. A distanza di dieci anni, come ha rivelato Biffi a Il Giorno “rimpiango tutti i momenti sottratti a lei per il lavoro. E sono convinto non si possano dare pene così basse per delitti del genere, si incentiva la delinquenza. Siamo in Europa, queste persone andrebbero processate e mandate a scontare le pene nei loro paesi”. Già, in quei paesi dove sconti di pena e rilasci non sono contemplati. Oggi Biffi racconta di vivere con la pistola carica sul comodino “se qualcuno dovesse entrarmi in casa oggi, sparerei il primo colpo in aria, il secondo alle gambe e se non si ferma, il terzo addosso”. Giustizia e difesa, un bilancio che forse continua a non tornare.