CGIL Monza e Brianza: focus sulla condizione della lavoratrice madre

8 ottobre 2015 | 17:00
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CGIL Monza e Brianza: focus sulla condizione della lavoratrice madre

Essere madre e lavorare oggi. Come è cambiata la condizione della donna che lavora e quali sono ancora le gravi difficoltà che incontrano. Botta e risposta con l’ufficio vertenze della CGIL.

Dal tuo osservatorio, come definiresti la condizione della lavoratrice madre, oggi?

Sicuramente migliore di quella delle nostre madri e delle nostre nonne, eppure, malgrado tutto, ancora “difficile”.

Perchè “difficile”?

Perchè nonostante le tutele di legge esistenti previste per le donne che lavorano,  è ancora forte la resistenza di molti imprenditori ad accettare come normale il ruolo della donna nella società.  Mi spiego meglio. Nel mondo del lavoro, la maternità di una dipendente, è spesso vissuta dai datori di lavoro come un problema o addirittura come un comportamento irresponsabile che mette in difficoltà l’azienda nell’organizzazione del lavoro con l’aggravio di dover pagare una persona che non lavora e non produce. Sembra impossibile sradicare questa convinzione. A volte appare inutile ricordare che quanto anticipato economicamente dalle aziende per conto dell’Inps verrà poi compensato con i versamenti dei contributi salve eventuali integrazioni del trattamento economico di maternità previste dai CCNL. Il costo vero e aggiuntivo c’è se l’azienda decide di sostituire la lavoratrice in gravidanza con altro personale, ma questo non è detto che avvenga sempre e per forza.

Quindi c’è una pregiudiziale nei confronti delle donne?

Da sempre le donne che lavorano si portano dietro anche il carico di gran parte del lavoro domestico e di cura di bambini e anziani, ma purtroppo questo ruolo sociale svolto (gratuitamente e senza agevolazioni) dalle donne, viene discriminato e in alcuni casi diventa la motivazione, inconfessabile, per arrivare ad un licenziamento.

Hai qualche caso reale che avete dovuto affrontare?

Certamente e sono più numerosi di quanto si possa immaginare. I casi riguardano in massima parte donne dai 20 ai 40 anni che, in corso di rapporto di lavoro si sposano e nel giro di qualche anno decidono di avere uno o più figli. Già alla notizia del matrimonio possono cominciare le prime avvisaglie di non gradimento e si verificano cambi di mansione inspiegabili, trasferimenti in altre sedi distanti dal luogo di residenza, modifica peggiorativa della distribuzione degli orari settimanali e dei turni. Ma le situazioni più pesanti si riscontrano quando si verifica la gravidanza. Capita che le aziende non anticipino l’indennità di maternità nei mesi di astensione obbligatoria, per poi proseguire con i periodi di astensione facoltativa che, benchè prevedano un anticipo della retribuzione in misura del 30%,  ugualmente non vengono retribuiti. L’avvicinarsi della ripresa lavorativa è, per molte donne, il vero incubo. Stiamo parlando di donne che, con un figlio piccolissimo, si trovano a gestire (magari per la prima volta) le esigenze di cura e di relazione del bambino e quelle del lavoro e che spesso non hanno genitori o parenti su cui contare per affidare il bambino.

Ma cosa avviene?

Uno dei comportamenti più diffusi in questi casi, è quello di procedere con un licenziamento per motivazioni economiche dopo che il figlio della lavoratrice ha compiuto un anno che, guarda caso, corrisponde con la fine del divieto di licenziamento e delle tutele di legge. Ma assistiamo anche a trasferimenti a distanze che obbligherebbero la lavoratrice a tempi di assenza da casa di 10/12 ore, cosa ovviamente incompatibile con il ruolo di madre e le necessità di un bambino piccolissimo che spesso porta alle dimissioni con la perdita del reddito e aggravio del bilancio familiare. Anni fa, una donna dirigente in un’azienda multinazionale europea, al rientro da una maternità fu trasferita in una sede all’estero appena il bambino ebbe compiuto un anno, l’azienda giustificò questa decisione sostenendo che nella sede italiana il suo lavoro non era più necessario, mentre era indispensabile nella sede aziendale. La signora in questione ovviamente invitò l’azienda a riconsiderare la propria decisione tenendo conto della sua condizione familiare e ad adibirla a mansioni equivalenti nella sede italiana. Niente da fare, scattò il licenziamento che poi, a seguito della causa da noi promossa,  fu dichiarato illegittimo con reintegro della dipendente nel posto di lavoro in quanto si dimostrò che la discriminante fu l’evento maternità che, nella visione aziendale, si sarebbe rivelato incompatibile con la prosecuzione del rapporto di lavoro. Da lì il pretesto del trasferimento all’estero che avrebbe indotto la dipendente alle dimissioni.

Qual’è la dimensione aziendale in cui si riscontrano casi simili?

Principalmente nelle piccole e piccolissime aziende, ma non sono rari i casi di donne dipendenti della grande distribuzione e/o di imprese con più di 50 dipendenti. Il fenomeno è trasversale tra tutti i settori economici, ma è più frequente dove maggior è il numero delle donne occupate.

Cosa fare in queste situazioni?

Prima di tutto la futura madre deve convincersi che la maternità è un suo diritto e quindi non vivere come una colpa e con angoscia questo periodo straordinario. Quando si viene a conoscenza dello stato di gravidanza, venire in sede sindacale per chiedere come comportarsi per informare l’azienda e l’Inps e quali sono i diritti riconosciuti alla lavoratrice madre. In queste situazioni è sempre bene che la donna sia consapevole delle tutele di legge e di come pretenderne il rispetto.

Secondo te esiste una soluzione?

Le leggi sono importanti e quelle italiane in materia sono sicuramente tra le migliori al mondo e ci aiutano a tutelare le donne in questi casi, però il problema ha radici più profonde e lontane nel tempo, siamo di fronte ad un’arretratezza culturale  grave, c’è bisogno di un’azione educativa pubblica, continua, fin dalle scuole da proseguire poi nel mondo del lavoro con associazioni datoriali e sindacato perché questi episodi diventino sempre più marginali.  Tutto questo finirà quando si sarà diffusa la consapevolezza del ruolo della donna come madre e lavoratrice nella società di oggi e del futuro.

Giovanna Piccoli
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*redazionale