Ambiente

Falò di Sant’Antonio: tradizione o inquinamento?

Il sindaco di Meda ha negato la deroga al falò, troppo inquinamento. Ma è in minoranza: in altri comuni si farà. Bruciando di tutto: legno trattato e verniciato, mobili, porte, vecchie cassette della frutta, materiali di scarto...


A Meda non si farà. A Seveso, invece, saranno due. Ma si festeggerà anche a Cesano Maderno, Desio, Limbiate, LissoneVimercate… Stiamo parlando del falò di Sant’Antonio. E cosa c’è di più suggestivo di un fuoco che brucia nella notte? Il freddo dell’inverno, il caldo delle fiamme, quell’odore così particolare della legna che brucia: il falò di Sant’Antonio è non solo una tradizione, ma anche un’occasione di ritrovo, forse una delle poche rimaste quasi intatte, per atmosfera e fascino, fino ad oggi. I nostri padri e i nostri nonni celebravano con un falò il 17 gennaio la fine dell’inverno: per scacciare il freddo e confidare nella primavera. E perché non dovremmo farlo anche noi?

Perché è dannoso per la qualità dell’aria e per la nostra salute. Una risposta certo meno suggestiva dello spettacolo di un fuoco notturno, ma onesta. I dati di Arpa confermano che la combustione della legna, soprattutto se mal effettuata in piccoli impianti, causa la dispersione nell’atmosfera di particolato e composti tossici, tra cui il benzo(a)pirene, una sostanza cancerogena. La situazione peggiora nel caso di un falò: perché manca un sistema che controlli le condizioni di temperatura e riscaldamento, e perché l’assenza di una struttura che porti i fumi in alto li fa disperdere a livello del terreno. Bisogna poi tenere conto di quello che viene bruciato: il legno trattato è nocivo, e spesso finiscono nella catasta scarti di lavorazioni con resine e collanti, o truciolare con laminato (oltre a tutto ciò che non è legno ma viene ugualmente bruciato, dalla gomma alla plastica). Per questo la combustione all’aperto è vietata su tutto il territorio nazionale, anche se la delibera regionale del 22 dicembre 2011 consente ai sindaci di autorizzare i falò in particolari occasioni, come appunto feste tradizionali e sagre.

Nella catasta di legna preparata all’oratorio Paolo VI di Seveso, anche mobili e una porta, con tanto di pomello.

Ma vale la pena sacrificare la qualità dell’aria per una festa? Secondo il geologo Gianni Del Pero, residente a Meda, città che recentemente è salita agli onori delle cronache per i suoi altissimi valori di pm10, no: «Per non sporcare ulteriormente la nostra aria – commenta -, ma anche perché una legge regionale lo impedirebbe». Lo stesso Del Pero ha avviato un dibattito su Facebook per sensibilizzare la popolazione: pochi si sono persuasi, la maggioranza, invece, non riesce a convincersi che un fuoco all’aperto possa fare tanti danni. Gli ha dato invece ragione il sindaco Giovanni Giuseppe Caimi, che quest’anno, dati i «recenti superamenti dei limiti degli inquinanti», non ha concesso la deroga per il tradizionale falò di via Santa Maria a Meda, venendo incontro alla richiesta di Sinistra e Ambiente.

Per una volta, dunque, hanno vinto gli ambientalisti. O forse no: il caso di Meda è isolato. Si vincerà davvero tutti, non solo una fazione, quando si riuscirà a conciliare la passione per la tradizione con le conoscenze di oggi: per mantenere vive le feste del territorio senza sacrificare la salute.

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