Folli e geniali: i tre maestri della pittura del Novecento

A partire dal mese di gennaio Johan & Levi editore offrirà ai lettori di MB News un percorso nel mondo dell’arte, in particolare dell’arte moderna e contemporanea.
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A partire dal mese di gennaio Johan & Levi editore offrirà ai lettori di MB News un percorso nel mondo dell’arte, in particolare dell’arte moderna e contemporanea. Parleremo di pratiche, artisti e movimenti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e ogni puntata sarà accompagnata da contributi visivi – fotografie, video, interviste per ulteriori approfondimenti – per rendere il cammino ancora più interessante. Buona lettura!
In questo primo appuntamento parliamo di pittura.
Nel Novecento, a partire dai decenni dopo la seconda Guerra mondiale, la pittura sembra cedere il passo all’arte concettuale e a forme espressive, come il minimalismo o le performance, che prescindono dal dipingere e secondo le quali tutto, e il contrario di tutto, può essere arte. Ciò nonostante, una schiera di artisti insiste nel perlustrare le possibilità di un mezzo e di una tecnica antica che, ovviamente, si modifica adeguandosi o opponendosi alle novità del contemporaneo. Tra questi, diversi per ambito, simili per sregolatezza e genio, spiccano Willem de Kooning, Francis Bacon e Mario Schifano.
Willem de Kooning (1904-1997) è uno dei campioni dell’espressionismo astratto, quella corrente americana che tiene insieme il cupo espressionismo di Pollock e il sublime astrattismo di Mark Rothko, e che porta a risultati stupefacenti la linea pittorica dell’astrattismo, l’unica avanguardia dell’inizio Novecento che ancora oggi, a più di un secolo di distanza, è viva e conta grandi rappresentanti. La biografia, un tomo denso di 850 pagine ma leggibilissimo (che ha vinto il premio Pulitzer 2005), ricalca il mito dell’artista romantico: nato povero in Olanda, emigrato negli States, physique du rôle da attore,de Kooning raggiunge tardi il successo, e si beve la fama a grandi sorsate di whiskey, fino a un triste declino causato dall’Alzheimer. Nel mezzo alcune opere che segneranno l’arte gli anni Cinquanta.
Francis Bacon (1909-1992) non è da meno in quanto a “vita dorata nei bassifondi” come dice il titolo della sua biografia scritta dall’amico e sodale Daniel Farson. Irlandese di nobili origini, un’omosessualità vissuta pericolosamente alla Pasolini, Bacon è la punta di diamante – insieme a Lucian Freud e Balthus – della pittura figurativa che negli anni Cinquanta si oppone alla dilagante moda dell’astrattismo. Quanto Bacon è libertario e libertino nella vita tanto è reazionario nella pittura che declina con sensibilità moderna rifacendosi però all’antico. Come in uno dei suoi capolavori, lo studio per il ritratto di Papa Innocenzo X che Diego Velasquez terminò nel 1605 e che Bacon stravolge alla sua maniera, mostrandoci un Pontefice dilaniato in una smorfia di dolore, un grido ai limiti della ferocia.
Di questo terzetto, Mario Schifano (1934-1998) è il più recente a cui però è dato destino di traversare, negli anni Sessanta, le temperie della pop art, con stile personale, energia straordinaria, un fascino fuori dal comune. Donnaiolo impenitente, morso dalla droga (e per questo perfino arrestato), Schifano è l’unico pittore italiano di quel decennio capace di sfondare il recinto nazionale e primeggiare a livello internazionale. La sua è una traiettorie iperbolica, fantastica, fatta di migliaia di opere che inneggiano al pop (i loghi e i marchi della pubblicità) e nello stesso tempo capaci di rendere l’esotismo dell’infanzia trascorsa in Libia, che guardano alla televisione come “nuova musa” e al contempo rappresentano il persistere della natura.
Nel prossimo contributo spazio alla fotografia.