Contro la violenza sulle donne Cadom coinvolge il territorio. Intervista alla presidente Carta

10 marzo 2016 | 09:54
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Contro la violenza sulle donne Cadom coinvolge il territorio. Intervista alla presidente Carta

MB News ha intervistato Mimma Carta, presidente dell’associazione Cadom, che dal 1994 è attiva sul territorio per offrire sostegno alle donne maltrattate. Le abbiamo chiesto di progetti, numeri, storie…

Un altro 8 marzo  è passato. La ricorrenza, per alcuni fondamentale, per altri ormai vuota ed ipocrita, è se non altro un’occasione per fare il punto sulla situazione femminile in Italia e nel mondo, cercando di capire cosa si possa fare, anche solo nel proprio piccolo, per migliorarla.

Quest’anno MB News ha deciso di dare voce a chi ogni giorno ha a che fare con una questione molto difficile e dolorosa legata al mondo delle donne, quella della violenza. Abbiamo infatti intervistato Mimma Carta, presidente dell’associazione Cadom (Centro aiuto donne maltrattate) di Monza, attivo sul territorio della Brianza dal 1994. Carta, tanto per cominciare, non ha dubbi sui rituali delle mimose: «Mi irrita profondamente il fatto che si parli di donne, di violenza, di diritti mancati e di femminicidi a ricorrenze periodiche, a marzo e a novembre (per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr) – ammette -. Sarebbe utile e necessario, soprattutto se si vuole fare prevenzione seriamente e cambiare una cultura che resta molto maschilista, nonostante gli indubbi passi fatti, che si parlasse di certe problematiche tutto l’anno. È indubbio che le donne siano vittime di violenze, soprattutto in casa, che ne venga uccisa una ogni due giorni, che siano le vittime più numerose delle guerre, che stiano pagando un prezzo altissimo con le migrazioni, che continuino ad essere pagate circa il 30% in meno a parità di lavoro, che per molte l’istruzione resti un’utopia. E allora – si chiede – perché parlare di donne solo l’8 marzo e il 25 novembre?».

D’altra parte il Cadom, nato per iniziativa di un gruppo di donne di diversa provenienza ed età, era stato fondato proprio per riuscire a rispondere al crescente numero di donne vittime di violenze, che all’inizio degli anni 90 facevano riferimento al Centro antiviolenza di Milano, uno dei primi in Italia. Dalle prime 13 volontarie si è arrivati, oggi, ad averne 45: tutte iniziano a lavorare solo dopo un corso di formazione molto articolato, seguito da un tirocinio di quasi un anno. Bisogna infatti essere pronti a sostenere le vittime di qualsiasi tipo di violenza: fisica, sessuale, psicologica o economica, oltre a forme insidiose come lo stalking. D’altra parte è proprio questo, da sempre, il primo compito del Cadom. «Di solito le donne si rivolgono a noi telefonicamente per prendere un appuntamento, che si cerca di fissare nel più breve tempo possibile, e cominciano il percorso di uscita dalla violenza – spiega Carta -. Prima di tutto con dei colloqui, in cui si aiuta la donna a ripercorrere il suo vissuto e si analizzano insieme a lei le soluzioni possibili. Ha diritto ad avere, gratuitamente, consulenze legali e psicologiche, ad essere accompagnata nella stesura della denuncia e nei suoi rapporti con eventuali assistenti sociali, sia per sue necessità economiche che per mettere in sicurezza i figli, se fossero presenti minori».

L’associazione, però, agisce non solo individualmente, ma anche a livello globale. «Abbiamo creato delle reti territoriali, coinvolgendo tutti i soggetti che, da diverse angolazioni, entrano in contatto con il maltrattamento – racconta Carta -. Lo abbiamo fatto gestendo per due anni consecutivi, nel 2009 e nel 2010, tutta la formazione rivolta ad assistenti sociali, Forze dell’ordine, medici e operatori socio-sanitari: un lavoro svolto su tutta la Brianza, che ha portato al primo Protocollo d’intesa territoriale, siglato ad ottobre del 2010, da cui si è formalizzata la Rete Artemide. Questo perché il maltrattamento è un fenomeno estremamente complesso, che non può essere affrontato, né tantomeno risolto, da un solo soggetto, per quanto disponibile e preparato – conferma -. La donna ha bisogno di spazi in cui riflettere , essere ascoltata senza giudizi e valutazione, condividendo il suo lungo vissuto con altre donne. Ha, tuttavia, bisogno anche della collaborazione delle Forze dell’ordine, di assistenti sociali, di medici preparati: tutti soggetti che oggi lavorano in rete grazie al nuovo Progetto Diade, sviluppato per tutto il 2015 e ripreso anche per il 2016 con fondi della Regione Lombardia, messi a disposizione in base al Piano Quadriennale contro la violenza».

E il lavoro continua. «Oltre al Progetto Diade, ora siamo impegnate con la formazione rivolta all’Ambito di Seregno, che è entrato a fare parte della Rete e che comprende, quindi, tutti gli ambiti della Brianza – continua -. Lavoriamo molto sulla prevenzione, soprattutto con progetti nelle scuole, e con tutti i soggetti che vogliono conoscere il nostro lavoro in modo più approfondito: abbiamo numerose le richieste di serate a tema su tutto il territorio e da parte di diversi enti o persone».

Quante donne avete seguito nel 2015? «238 nella sede di Monza e 50 nelle sedi decentrate, che abbiamo aperto nel 2015 a Lissone, Brugherio e Vimercate – risponde la presidente Cadom. In particolare, 63 erano di Monza città, mentre le straniere, in totale, sono state 59 -. Rispetto al 2014 c’è stato un incremento di oltre il 15%, dovuto anche al fatto che le donne possono muoversi più agevolmente sul territorio, scegliendo di rivolgersi alla sede più vicina o più facilmente raggiungibile. Abbiamo inoltre rilevato la presenza di 351 figli coinvolti, di cui 216 minorenni, tutti comunque vittime di violenza assistita, diretta o indiretta».

Può raccontarci un episodio legato a Cadom che in questi anni l’ha particolarmente colpita? «Ho seguito tante donne, quasi tutte hanno anni di violenze alle spalle, in molti casi i figli diventano vittime anche loro – racconta -. Uno dei casi che negli anni mi è rimasto più impresso è stato quello di una donna della Brianza, con delle capacità imprenditoriali notevoli, che per anni ha subito violenze fisiche ed economiche. Gestiva tutta l’attività del marito, e quando ha deciso di uscire da questa situazione, si è ritrovata senza niente: niente stipendio per anni, nessun contributo versato, tutto era intestato al marito. Un caso clamoroso di violenza economica, molto diffusa in Brianza e nelle sue attività a gestione familiare».