Le trivelle nel nostro passato, presente e futuro: anche per la Brianza è importante riflettere

29 marzo 2016 | 13:00
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Le trivelle nel nostro passato, presente e futuro: anche per la Brianza è importante riflettere

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro lettore, che in vista del referendum del 17 aprile ci invita anche a riflettere sulla questione ambientale brianzola.

Riceviamo e pubblichiamo la lettera firmata di un nostro lettore, che in vista del referendum del 17 aprile ci invita anche a riflettere sulla questione ambientale brianzola.

Gentile direttore, parto da un ricordo: era il 2009 e una società australiana era intenzionata a trivellare Montevecchia per cercare petrolio. Dalle nostre finestre al posto della chiesetta avremmo potuto vedere fiamme e fumo nero. Per fortuna non è andata così. Avremmo risolto i nostri problemi energetici, economici e di lavoro? A distanza di sette anni l’estrazione si sarebbe già conclusa, considerata la scarsa quantità di petrolio presente nel sottosuolo brianzolo. Oggi quindi avremmo chiara la situazione e potremmo concretamente valutare la scelta.

La questione ritorna al centro dell’attenzione in vista del referendum del prossimo 17 aprile sulle estrazioni petrolifere in mare. C’è chi, come allora, sostiene che petrolio e gas “fossile” sono inevitabilmente necessari per il nostro sviluppo e chi dice che sono scelte del passato da superare. I primi ritengono che non se ne può fare a meno (perché le alternative sono ancora troppo costose e poco diffuse), nonostante queste fonti siano “veleno” per i nostri polmoni. Inoltre sostengono che il quesito è irrilevante perché limitato a specifiche situazioni (le trivellazioni in mare già attive entro le 12 miglia dalla costa).
I secondi considerano insensato continuare a sovvenzionare quello che ci fa male invece di promuovere gli “antidoti” che già ci sono. Prolungando infatti le trivellazioni oltre il termine delle autorizzazioni, ci faremmo ancor di più del male.

Ritengo però che alcuni aspetti di questo delicato argomento possano essere sottolineati come reali e indipendenti da un’ideologica presa di posizione, o meglio, dalla maggiore o minore sensibilità ambientale che una persona possa avere. Spunti di riflessione che superano anche il timore preventivo di disastri ambientali in caso di incidente. Timori che comunque ci sono. Sono scelte che riguardano anche il presente e il futuro prossimo del nostro territorio, la Brianza.

È realtà il fatto che la pianura padana soffochi a causa dello smog. Il riscaldamento e la combustione del legno fanno la loro parte, ma il trasporto su strada è la fonte principale nel caso delle polveri sottili. I morti causa tumori ai polmoni aumentano, come ci ricorda il rapporto sullo stato di salute della nostra provincia redatto dall’Asl. E’ giusto quindi che anche i brianzoli possano esprimersi sulle politiche energetiche nazionali. Nessun governo fino ad oggi ha mai avuto il coraggio di proporre e chiedere il parere dei cittadini su una progressiva uscita dalle fonti fossili che un giorno, più o meno lontano, potrebbe essere definitivamente sancita con il divieto d’uso e un esclusivo impiego di quelle soluzioni tecniche che permettono di muoversi e riscaldarsi facendoci meno male.

Ci allontaniamo un po’ dal nostro orizzonte citando necessariamente la questione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti. Gli irriducibili negazionisti ci sono ancora, pochi, ma la cronaca ci descrive il contrario: nel mondo aumentano siccità e carestie. Anche da noi si ripetono con sempre maggior frequenza eventi meteorici estremi ed alluvioni, come quella del novembre 2014 che ha causato ingenti danni in diversi comuni della Provincia. La maggior parte degli scienziati affronta il problema. La politica ne parla durante le periodiche conferenze internazionali sul clima, quelle degli impegni non rispettati, come sta facendo l’Italia puntando ancora sul petrolio.
Ora anche il mondo religioso, come si intuisce chiaramente leggendo l’Enciclica di Papa Bergoglio, chiede un necessario ed urgente cambio di strategia. Le fonti fossili, in questo campo, rappresentano il nemico numero uno da eliminare.

Ma questo cambio tarda ad arrivare perché intervengono innegabili interessi, internazionali e nazionali, su petrolio e gas. È risaputo che, nel primo caso, queste risorse sono la vera causa di guerre e tensioni. Come più volte appurato nel caso dell’Isis, il petrolio è la fonte principale di finanziamento.
Nel secondo caso contano molto i soldi, quelli dati alle grandi compagnie petrolifere, generalmente straniere, come sovvenzioni che in parte ritornano sotto forma di donazioni elettorali. Al contrario sono mancati gli aiuti alle piccole e medie aziende del settore delle energie pulite. Così torniamo, per concludere, al presente e al futuro della Brianza. Il sì al referendum farà perdere posti di lavoro agli addetti delle piattaforme? All’esaurimento delle esigue riserve gli impianti sarebbero comunque chiusi: si tratta quindi di lavori a termine. Quanti posti sono stati persi con la crisi dimenticata del fotovoltaico nella nostra provincia e in altre zone d’Italia? Quanti se ne sono persi e se ne perderanno ancora nell’indotto di questo settore che avrebbe creato lavoro innovativo, duraturo e pulito? Ma purtroppo non c’è stato alcun sostegno e nessun soccorso durante la crisi.

Indipendentemente dalla partecipazione al voto e dal risultato del referendum, è importante riflettere su questi aspetti. A partire dall’opportunità o meno di continuare le trivellazioni in mare, occorre scegliere consapevolmente ciò che è più conveniente, in primo luogo per la nostra salute.

Luca D’Achille, ecologista