La violenza domestica come specifica forma di violenza sulla donna perché donna

25 novembre 2016 | 09:42
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La violenza domestica come specifica forma di violenza sulla donna perché donna

Una forma di violenza diffusa che si esplica all’interno di una relazione affettiva, tra le mura domestiche e che non può essere giustificata da condizioni socio-culturali.

La violenza di genere, ovvero la violenza sulla donna in quanto donna, è un fenomeno sociale strettamente legato a fattori storico-culturali delle relazioni donna/uomo. Da sempre, diciamocelo, nel corso della storia ha prevalso la cultura della dominanza maschile mentre la donna è stata relegata ad una posizione di subordinazione e marginale nella società. La condizione femminile nei secoli è stata interessata da forti discriminazioni di genere e tradizionalmente ridonda sempre e solo il riconoscimento del ruolo di moglie e madre. Queste discriminazioni, nonchè la cultura patriarcale ben radicata nei secoli, hanno favorito il perpetrarsi di azioni violente nei loro confronti e una (inammissibile) accettabilità sociale della violenza.

La violenza di genere racchiude al suo interno una serie di reati diversi, quali la violenza sessuale, quella fisica, lo stalking e i maltrattamenti:
fattispecie tutte accomunate dal soggetto passivo cui sono diretti. Il femminicidio ne è il culmine. La violenza domestica è una specifica forma di violenza che si esplica all’interno di una relazione affettiva, ovvero familiare, tra agente e vittima, tra le mura domestiche. Come per il fenomeno della violenza di genere, quella domestica non può essere associata a particolari condizioni sociali, economiche, razziali e religiose. Questo inciso è stato confermato nelle aule giudiziarie e in occasione di diverse pronunce della Suprema Corte, nello specifico con riguardo al reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p., con le quali sono state confermate condanne per il menzionato delitto nei confronti di imputati che avevano posto in essere condotte illecite giustificate da motivi di carattere socio-culturale o tradizioni etico-sociali. Invero, la pretesa superiorità di genere dell’imputato e le autorappresentazioni di padre/marito-padrone, derivanti dalle sue condizioni socio-culturali, non fanno venir meno il reato. E così, ad esempio, la Corte ha confermato sentenza di condanna emessa nei confronti di un marito che giustificava la sua condotta a fronte della condizioni socio-culturale in cui versava e secondo la quale la moglie doveva considerarsi come oggetto di sua proprietà (Cass. Pen. 26.04.2011 n. 26153).

Il reato di maltrattamenti si configura con la condotta del soggetto attivo che sottopone la vittima ad atti di vessazione reiterata tali da cagionarle sofferenza fisica e morale, prevaricazioni e umiliazioni, a creare un clima di vita mortificante e insostenibile, che non può trovare difesa nei motivi appena spiegati, neppure sottoforma di attenuante generica.
Gli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione, concernenti rispettivamente i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali e il principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, impediscono di fatto l’introduzione nella società civile, di diritto o di fatto, di consuetudini, prassi e costumi che si pongono come ostacolo alla piena realizzazione e affermazione dei diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero.