Il Papa a Monza, il racconto di una giornata da fedele

26 marzo 2017 | 00:05
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Il Papa a Monza, il racconto di una giornata da fedele

Si è partiti sotto il sole. Il tragitto a piedi dalla Chiesa Sacro Cuore a Triante, l’ingresso nel Parco, la lunga attesa e, finalmente, la Messa. Tutti i particolari dal punto di vista dei fedeli.

Dopo una giornata così, meno male che c’è la domenica. Non tanto per il necessario recupero fisico. Quanto, soprattutto, per metabolizzare l’immensa mole di colori, odori, persone, emozioni e sensazioni che la visita del Papa a Monza ha regalato a tutti i presenti al Parco di Monza. Ognuno con una propria ragione per decidere di dedicare una giornata intera ad un grande evento religioso. Che, però, aveva, nemmeno tanto nascosti, significati molto più ampi e, per tanti versi, laici. E, non a caso, nel milione di persone accorso sul pratone dell’ex Ippodromo, non tutti potevano definirsi fedeli. Almeno non nel resto dell’anno. C’era chi è stato attratto dalla curiosità di vedere dal 20170325_090201 (Copia)vivo un Papa ‘rock’ come Francesco. Altri, con figli al seguito, senza nemmeno iscriversi, hanno pensato di sfruttare in maniera diversa una bella giornata di sole. Altri ancora hanno soddisfatto il loro bisogno di partecipare in prima persona all’evento principale in Italia in questo sabato 25 marzo 2017. Un bisogno sempre più diffuso in una società dove, nella frammentazione dominante, il senso della vita si trova soprattutto negli eventi di massa. Dove ci si sente parte di un tutto. Per poter dire, magari fra qualche anno, il classico “io c’ero”. E, poi, naturalmente, c’era la maggioranza. I 600mila che, nelle scorse settimane, si sono registrati alla propria Parrocchia di riferimento e, con il gruppo al quale sono stati assegnati, dalla mattina presto hanno raggiunto il Parco di Monza. Io ero tra questi. Ecco a voi, allora, il racconto di come è andata una giornata particolare. Perché, anche se avete vissuto in prima persona un’esperienza simile, l’impressione è che oggi ci siano state 600mila giornate diverse.

L’appuntamento per me era alle 9 davanti alla chiesa del Sacro Cuore a Triante. Quando arrivo le persone del gruppo che conoscevo erano già presenti. Naturalmente bisognava aspettare molti degli altri. Passano i minuti. Mentre man mano cominciano a completarsi gli altri gruppi. Ben 20 quelli che partono da Triante. Quasi 800 persone. Poco dopo le 9.30 finalmente si parte. La nostra capo-gruppo, Rosy, mantiene ben in alto lo stendardo con il numero del nostro gruppo, il 9. Il clima è quasi da gita scolastica. La passeggiata, sotto un sole che comincia a riscaldarci, è piacevole. Lungo il tragitto tutto sembra essere stato organizzato nel modo migliore. Le forze dell’ordine presidiano le strade e osservano il nostro passaggio. Con l’avvicinarsi a viale Cesare Battisti aumenta il numero di volontari. Ragazzi e ragazze giovani. Ma anche padri di famiglia e persone di una certa età. Italiani e stranieri. Tutti con la loro pettorina gialla. Ci salutano con un sorriso e ci augurano una buona giornata. Nei pressi della Villa Reale e dell’ingresso del Parco l’afflusso di persone comincia ad essere decisamente sostenuto. Ma non c’è ressa. Un ordine naturale sembra guidare tranquillamente alla meta. Perfino gli annunciati controlli degli zaini sono molto più blandi del previsto. Forse anche per la sicurezza ci si affida alle mani del Signore. Entriamo nel Parco e, passando per viale Cavriga e davanti alla Cascina San Fedele, arriviamo sul pratone dell’ex Ippodromo. L’orologio segna quasi le 11. Il nostro gruppo è indirizzato nel settore 29. Dietro di noi ce ne sono altri 16. Ma più di uno comincia a lamentarsi per la posizione non proprio favorevole. Il palco è lontano, i maxi schermi pure e, per giunta, siamo anche defilati. Dopo qualche fallito tentativo di trovare una sistemazione migliore e una capatina alla lunga fila di bagni chimici, inizia l’attesa. Il sole picchia forte. Qualcuno, allora, pensa bene di palco-papa-mb (Copia)sonnecchiare sotto l’ombrello che, secondo le previsioni di inizio settimana, sarebbe dovuto servire per proteggersi dalla pioggia. Su qualche telo spuntano le immancabili carte da gioco. C’è chi preferisce leggere un romanzo in inglese sul proprio kindle. I più piccoli, invece, si divertono dando quattro calci ad un pallone. Un’occhiata intorno e, per certi versi, sembra di stare ad un concerto. Chi vive la religione in maniera più rigida e conservatrice avrà storto un po’ il naso, ma la sciarpa di Papa Francesco, donata a tutti i presenti alla Messa, viene usata soprattutto come bandana oppure legata al polso. Forse è questo il modo che la Chiesa deve usare per essere una parte di questa società e non, come qualcuno dice, una società a parte. Alle 11.30, poi, la musica arriva davvero. L’intrattenimento è gestito da Radio Italia. Sul palco, dove poi celebrerà il Pontefice, salgono gli speaker Paoletta e Mauro Marino. Poi arrivano i cantanti: Giovanni Caccamo, Lele, Deborah Iurato e Omar Pedrini. Quest’ultimo conclude la sua esibizione con la famosissima “Knockin’ on heavens door” di Bob Dylan. Tanto per restare in tema con la giornata. Si è fatta l’ora di mangiare. Dallo zaino spuntano panini e pizzette. Poi incomincia il count-down.

All’arrivo del Papa, ormai, manca meno di sessanta minuti. Spuntano numerosi binocoli. Molti puntano il palco. Un bambino, in piedi su uno zaino, lo orienta nella direzione opposta. Chissà che non sia un suggerimento alla Chiesa su dove guardare per il prossimo futuro. E, poi, finalmente, poco prima delle 15 Papa Francesco arriva. Il rumore degli elicotteri lo annunciano. Anche se lui è arrivato da Milano in automobile. E, sulla classica vettura bianca scoperta, gira tutto l’ex Ippodromo per salutare e benedire la folla dei fedeli. In ogni angolo del pratone è preceduto ed accompagnato da grida e cori degni di una vera e propria “rockstar”. C’è anche chi non urla, ma si commuove. Come alcune signore filippine. Per loro, che provengono dall’unico Paese asiatico a maggioranza cattolica, vedere il Papa è qualcosa più di un evento. Il coro, quello vero, è sul palco ed introduce l’inizio della celebrazione ufficiale. Che, in un’ora e mezza, ci mostra un Pontefice dalla voce stanca, probabilmente per l’intesa giornata. Ma dalle parole ferme, quando, dopo aver ascoltato il Vangelo dell’Annunciazione, afferma: “Oggi si specula su tutto, sulla vita, sul lavoro, sulla 20170325_171302 (Copia)famiglia. Si specula sui poveri e sui migranti. Si specula sui giovani e sul loro futuro”. E parla delle sfide di “evocare la memoria per non dimenticare da dove veniamo, i nostri avi, i nostri nonni e tutto quello che hanno passato” e “dell’appartenenza al popolo di Dio, che non ha paura di abbracciare confini e frontiere e dare accoglienza a chi ha più bisogno”. Qualche telefonino squilla e c’è chi risponde come se fosse tranquillamente in strada. Inutili le proteste di chi vuole ascoltare la Messa. Del resto succede anche in chiesa, figuriamoci in quella che, l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha definito “cattedrale a cielo aperto”.

La benedizione finale segna la conclusione della Messa del popolo. Sono ormai le 17. Il milione di fedeli si avvia, ordinatamente, verso l’uscita. Nessuno sembra avere fretta. Magari c’è la voglia di godersi ancora l’atmosfera. Le navette e i treni in stazione sono pronti ad aspettare chi deve tornare a casa. In altre città della Lombardia, in altre Regioni d’Italia o nella vicina Svizzera. Anche tanti monzesi e brianzoli lasciano il Parco. Dove, probabilmente, metteranno piede di nuovo molto presto. Nella speranza, forse, di non dover attendere altri 34 anni per rivedere il Papa nella loro città.

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