Pazza Monza per il “Giro”. Tifo da stadio tra curiosità ed aneddoti

29 maggio 2017 | 10:48
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Pazza Monza per il “Giro”. Tifo da stadio tra curiosità ed aneddoti

La tappa di Monza del Giro d’Italia tra curiosità ed aneddoti. Il pubblico: “Vogliamo il giro ogni anno!” (Perchè non un arrivo invece che una partenza?)

Tribuna stampa dell’autodromo? No, grazie. Ci sono eventi che vanno vissuti tra la folla, per riscoprire cosa trasmette lo sport alla gente, soprattutto se si tratta di uno sport che ha fatto la storia del nostro Paese.

Stiamo parlando del ciclismo, stiamo parlando del Giro d’Italia. Il 28 maggio 2017 si è disputata l’ultima frazione della centesima edizione della seconda corsa a tappe più importante del mondo dopo il Tour de France, anche se a livello di paesaggio sono tutti concordi, tranne i transalpini naturalmente, che il Giro “is the best”.

La cronometro Monza-Milano è decisiva: ci sono i primi sei in classifica racchiusi in un minuto e mezzo. Cosa pretendere di più per lo spettacolo? Un po’ di frescura. Il clima è infatti da Tour, da mese di luglio. Il caldo è torrido. In molti sono scappati in montagna, al lago o al mare. In molti preferiscono vedere l’ultimo epico atto della “tre settimane da sud a nord”, quest’anno (finalmente) senza prologhi all’estero seduti sul divano di casa bevendo una birra o sorseggiando una granita. Fino alle 16 la gente sulle strade di Monza è tanta, ma non tantissima. Il sole trapana le teste, ma non si sgomita per i posti all’ombra. In centro la “vasca” è semideserta. Sembra la domenica che precede il fuggifuggi feragostano.

Avevo già deciso dove piazzarmi per gustarmi questo evento: all’incrocio tra piazza Citterio e via Appiani. Nel 1985, l’ultima volta che il Giro partì dalla mia città, stavo nei praticelli che separano le due carreggiate di viale Battisti. Ma i “girini” partivano dalla Villa Reale, erano tutti in gruppo e pedalavano più lentamente di mio nonno con le infradito. Insomma, era ancora il chilometro zero. Stavolta era diverso. Sognavo Vincenzo Nibali, l’unico ciclista a farmi emozionare quasi quanto il concittadino Gianni Bugno (ma da bambino tifavo per Francesco Moser), a fare lo scherzetto che proprio il grande corridore trentino fece nel 1984 al francese Laurent Fignon nei 42 chilometri tra Soave e Verona, recuperandogli 2’24″ e scavalcandolo in classifica generale per 1’3″. Allora il “Re de sass” è un posto giusto: arrivano in picchiata da viale Regina Margherita e svoltano di 90 gradi in via Appiani. Trovo la gente assiepata ma in fila unica. Partecipano alla festa anche gli abitanti delle ville patrizie affacciate su Monza, come i loro antenati partecipavano alle sfilate in carrozza di re e nobili di vario lignaggio. Da una di queste finestre un ragazzo sventola una bandiera della Ferrari. Che c’azzecca non si sa (l’ho scoperto quando ho appreso della doppietta delle “rosse” nel Principato di Monaco), ma mi piace pensare che quel Cavallino rampante nero su sfondo porpora sia un segno di tifo per lo Squalo dello Stretto, che quest’anno corre con le divise rossonere della Bahrain Merida.

All’incirca a ogni minuto passa un corridore. Tra un intervallo e l’altro molte persone attraversano la piazza col permesso degli steward, anche se era stato annunciato che non si sarebbe potuto fare. Però troppi se ne approfittano e qualcuno cincischia sulle strisce come se non sapesse dove si trovasse. Uno la combina grossa e partono rimproveri e contumelie. Il clima si scalda. Devono intervenire gli steward. Il tizio urla: “Sulle strisce pedonali passo quando voglio”. A quel punto si alza al cielo un solo coro, poco galante ma molto appropriato: “Sc..o, sc..o!”.

È interessante notare che chi la sa lunga in fatto di biciclette e corridori siano quelli di una certa età. Significa che il ciclismo non è uno sport per giovani? Speriamo di no. Però non è che si vedano tanti ragazzi in sella e la cosa, unita al fatto che nel Giro del centenario su 21 tappe solo 1 sia stata appannaggio di italiani, non promette bene. Il tifo è composto. Qualche applauso, qualche “hop, hop, hop” in stile sciistico, ma pochi incitamenti. Italiano o straniero non fa molta differenza. Però quando passa un gruppo di colombiani con sciarpe e bandiere c’è il solito patriottico che non si trattiene e grida verso di loro “Forza Nibali!”. Lo scambio tra le fazioni è simpatico ed è un piacere vedere tanti immigrati nel nostro Paese felici di vedere i loro beniamini detenere la maglia rosa (Nairo Quintana) e vincere le tappe (1 Quintana e 4 Fernando Gaviria). Non era probabilmente un’immigrata, invece, la donna orientale (cinese?) che completamente vestita di rosa e ricoperta di gadgets, ha attraversato via Appiani tenendo in mano un ombrellino aperto per ripararsi dal sole. Sembrava un’aliena.

Col passare del tempo, soprattutto quando tra un corridore e l’altro trascorrevano 3’ anziché 1’, cioè per gli ultimi 15, la curiosità dei bambini è venuta meno e ha preso il sopravvento l’insofferenza, l’agitazione, forse anche per il caldo (sicuramente avrebbero preferito essere su una spiaggia a realizzare castelli di sabbia). E allora vai di pianto… Perché a divertirsi erano i papà, tutti attrezzati di macchine fotografiche e smartphone di ultima generazione, molti di loro intenti a trovare la posizione migliore per fare lo scatto da copertina da mostrare orgogliosi sulla propria pagina Facebook. E le mogli? Chi accudiva i figli, compreso il marito tornato bambino, chi partecipava interessata a questo rito, perché il Giro sa essere ancora “glamour”, con quelle biciclette e quelle tute spaziali, quelle belle auto al seguito, la Rai che riprende tutto, anche quello che non dovrebbe riprendere (vi ricordate il caso della moglie che qualche anno fa vide in tv il marito in spiaggia in Liguria con l’amante a pochi metri dai ciclisti che passavano sulla Statale Aurelia?). Ed ecco allora la signora al marito: “Tesoro, ma perché fai le foto con lo smartphone se quando vai a casa puoi trovare tutte quelle che vuoi della giornata di oggi su Internet?”. E sempre la stessa al figliolo: “Amore, a me sembra che dopo averne visto qualcuno è come se li avessi visti tutti. Io comincio ad andare. Cosa vuoi trovare per cena? Gli gnocchi alla romana ti vanno bene?”.

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Effettivamente aspettare 3’ tra un corridore e l’altro sotto la canicola non è stata cosa gradevole. Il sole, inizialmente coperto dalle piante, ha girato e così anche noi ci siamo rosolati come gli gnocchi, ma alla monzese, con le salsicce lasciate dai cani agli angoli dei marciapiedi…
Pozzovivo, Zakarin, Dumoulin, Pinot e finalmente Nibali. Passa via come una scheggia, rasentando il marciapiede in un’esplosione di tifo. Poi è la volta di Quintana, ma la maglia rosa non è un cronoman e si vede. Subito dopo il “formicaio” impazzisce: la gente si disperde in mille rivoli, ma la fiumana principale arriva in piazza Roma, ai piedi dell’Arengario, dove si trova il truck di Regione Lombardia dotato di televisore per seguire il finale di gara. Si trepida tutti assieme, ma solo per pochi secondi: Dumoulin è stato un treno. I Paesi Bassi vincono il loro primo Giro d’Italia. C’è solo un attimo di suspense quando sullo schermo compare una “bufala”, cioè che Dumoulin avrebbe solo 3” di vantaggio su Quintana. Anche in questo caso non manca il “siparietto”: una delle due hostess prende il telecomando in mano per alzare il volume, ma sbaglia tasto e cambia canale. “No! Togliti!!” le urla un pensionato incacchiato. L’altra hostess solidarizza con la collega, che nel frattempo rimette le cose a posto, e ribatte: “Non si dice mai ‘Togliti’ a una donna”. Una scena, insomma. che andava ripresa e postata sulla pagina Facebook de Il monzese imbruttito…

“Ci vediamo al Giro numero 200” salutano quelli del truck. Beh, d’accordo che l’età media si allunga, però, dai, andrebbe bene non aspettare altri 32 anni . E poi, una tappa può anche arrivare a Monza, non solo partire. Magari proprio all’Arengario risalendo via Vittorio Emanuele II. Sai che spettacolo?

Foto in apertura di Andrea Bianconi

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