Biella, dopo due libri sui migranti esperienza in mare con una Ong

Un’esperienza di vita forte, ma necessaria. Il racconto di Daniele Biella dopo una settimana in mare sulla nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranée.
Un’esperienza di vita forte, ma necessaria. Il desiderio di toccare con mano e di vivere da vicino, con gli occhi dei migranti, quel viaggio dal destino ignoto. Un tema attuale, le migrazioni, controverso e dibattuto in tutti gli ambiti, dal politico al sociale. Un giornalista che ha scelto di portare una testimonianza diretta e reale salpando con la nave Aquarius di Sos Mediterranée. Questi gli ingredienti della storia dell’arcorese Daniele Biella partito lo scorso 8 settembre e rimasto in mare una settimana per documentare i salvataggi della ong per un totale di 371 persone, 54 dei quali erano minori non accompagnati.
Daniele Biella, giornalista, scrittore ed educatore, è già noto in tutta Italia per i suoi due libri, “Nawal. L’angelo dei Profughi”, che parla della 27enne di origini marocchine che ha dedicato la sua vita all’aiuto dei migrati, e “L’Isola dei Giusti. Lesbo crocevia dell’umanità”, uscito da poco e in presentazione proprio in questi giorni.
La partenza: un’esperienza necessaria.
“Mi sono reso conto che, per scrivere e parlare con senno di queste tematiche, l’esperienza sulla nave era necessaria. Il 4 settembre ho ricevuto la telefonata e l’8 sono partito”, ha raccontato il giornalista, trattenendo a stento l’emozione per il ricordo della partenza. A condividere l’esperienza con Daniele, una squadra di circa 40 persone tra Sos Mediterranée, Medici senza Frontiere e l’equipaggio su una nave, l’Aquarius, di 77 metri. A separare la nave dal territorio di ricerca e soccorso sono circa 36 ore di viaggio; ore passate tra esercitazioni, conoscenze e scambi di racconti. Il pattugliamento comincia il quarto giorno con i turni di osservazione del mare con un binocolo dal ponte.
La svolta: 3 salvataggi in 10 ore, 16 diverse nazionalità a bordo.
La vera e propria svolta, però, arriva il quinto giorno; l’elicottero militare segnala all’Aquarius di prepararsi ad uno scenario davvero difficile. Un gommone con un guasto al motore che imbarca acqua, a bordo molte persone, ma non è tutto: sul luogo c’è anche la guardia costiera libica che, in caso di intervento, riporta le persone in Libia in luoghi di detenzione dove subiscono soprusi e torture di ogni genere, per poi riaffidarsi agli scafisti e ritentare il viaggio della speranza (ndr. pagando, nuovamente, cifre esorbitanti). Il timore, di Sos Mediterranée è quello dell’ostilità della guardia libica che, in alcune occasioni, ha esploso colpi di arma da fuoco in direzione delle ong per evitare il recupero dei migranti.
Proprio pochi minuti dopo l’arrivo della nave della ong, il gommone libico segnala di intervenire, senza passare la richiesta dalla guardia costiera di Roma, addetta al controllo delle imbarcazioni. E’ così che inizia il primo salvataggio, le persone iniziano a salire a bordo, tra pianti di gioia per avercela fatta e pianti di disperazione per l’esperienza vissuta e le perdite subite. Particolarmente toccante la storia di una ragazza che per salvarsi la vita è stata vittima di numerose violenze, riportando danni fisici piuttosto gravi. Controllate una ad una, le persone ricevono un braccialetto colorato per segnalarne le condizioni. Ai minori non accompagnati tocca il braccialetto azzurro.
Terminato il primo salvataggio, il più complesso, la nave riceve un’altra chiamata. A bordo del secondo gommone recuperato – “RESCUED”, come viene definito dall’equipaggio – anche un bimbo di una sola settimana ed una donna al suo secondo viaggio che, al primo tentativo, ha perso i suoi tre figli di 1, 3 e 5 anni in un naufragio. Al grido di “No more Libia” (mai più Libia, ndr), le persone salgono sulla nave, con la consapevolezza di avercela fatta e l’incertezza di ciò che li aspetterà una volta toccata terra.
Prima di ritornare l’incontro con la nave di Save The Children per caricare un centinaio di altre persone e riportarle a terra.
La riflessione: chi sono le persone salvate?
Lo sbarco avviene al porto di Trapani. Da lì comincerà una nuova vita per i migranti, un nuovo rapporto di diritti e doveri con il paese ospite. Ma chi sono le persone salvate?
“Sono persone che preferiscono morire che restare nella condizione precedente. Alcuni scappano dalla guerra, altri sono perseguitati o vittime di faide familiari. Sono consapevoli che potrebbero morire nel viaggio e non arrivare mai, ma non hanno scelta. Le migrazioni forzate non sono solamente quelle legate alla guerra.”, ha raccontato Daniele. “Sono persone, esseri umani. Una famiglia marocchina (in foto sopra con Biella ndr), residente in Libia, è fuggita perchè il loro figlio più grande è stato rapito per una richiesta di riscatto. Il padre ha pagato, ma una volta riabbracciato il figlio, la paura di perderlo di nuovo l’ha spinto alla fuga”, ha continuato il giornalista. Storie di vita, complesse e delicate, di persone che vivono in villaggi sperduti e non hanno cibo per sé e per i loro familiari, che scappano sperando di poter guadagnare qualche soldo e mantenere la famiglia.
“L’integrazione è la fase successiva, bisogna partire pensando all’esperienza vissuta da queste persone. Alcune di loro non riescono a convivere con lo choc e si tolgono la vita, come è successo qualche settimana fa proprio ad Arcore”, ha precisato Biella. La soluzione per garantire una nuova vita alle persone per Daniele c’è, e si chiama asilo politico europeo.
“L’equipaggio? Per quanto mi riguarda non sono eroi, sono persone che hanno scelto di stare dalla parte giusta della storia”. ha concluso Daniele Biella, visibilmente commosso dal racconto.