Inchiesta sanità, i medici si difendono: “Protesi non scadenti”

Tutti gli inquisiti si difendono e negano ogni accusa. “Per noi i pazienti al primo posto”.
Le protesi non erano affatto scadenti e sono state sempre utilizzate nell’interesse dei pazienti. È questo, in sostanza, a emergere dagli interrogatori dei chirurghi arrestati giovedì scorso dalla Guardia Finanza, a seguito di un’inchiesta della Procura di Monza su un presunto giro di tangenti per agevolare la vendita di protesi Ceraver. Il responsabile commerciale dell’azienda, sentito a Rimini, avrebbe detto al giudice che non sapeva di commettere un reato.
“Manzini ha agito nel solo interesse dei pazienti, le protesi venivano utilizzate quando erano indicate, mai preso accordi di tipo diverso”, – ha comunicato l’avvocato Lucilla Tassi, difensore di Claudio Manzini, chirurgo ortopedico della Clinica Zucchi di Monza. Manzini, secondo il suo avvocato, ne avrebbe usate quando necessario per i pazienti e in minima parte “abbiamo prodotto i numeri di serie delle protesi, Manzini ha spiegato che utilizzava le protesi per le peculiarità che avevano, soprattutto per l’anca, per lui il paziente viene prima di tutto, non sono affatto protesi scadenti”.
Anche Fabio Bestetti, chirurgo del Policlinico di Monza, ha risposto alle domande del Gip “abbiamo chiarito la situazione – ha dichiarato il suo avvocato Attilio Villa – la cosa che ci premeva spiegare è che qualunque tipo di operazioni siano state fatte, non hanno prodotto alcuna lesione sui pazienti, nessun segnale di problemi successivi”.
“Ha collaborato rendendo ampia disponibilità, attendiamo ulteriori valutazioni in corso prima di pensare ad eventuali istanze” è il commento di Davide Confalonieri, avvocato difensore del secondo chirurgo del Policlinico arrestato, Marco Valadè.
Sentiti anche i due uomini Ceraver, il promoter Marco Camnasio e il responsabile commerciale Denis Panico. Il primo, assistito dall’avvocato Gaetano Braghò, ha risposto alle domande “le protesi sono approvate dal Ministero, non sono affatto di scarsa qualità – ha commentato il legale – abbiamo chiesto la misura alternativa dei domiciliari”. Da quanto emerge dall’interrogatorio di Denis Panico a Rimini, per lui sarebbe stato una sorpresa che “certi comportamenti” sono un reato, perché nella sanità sarebbero “diffusissimi”.