Morte di Riina, il dolore silente e coraggioso dei parenti delle vittime

17 novembre 2017 | 00:01
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Morte di Riina, il dolore silente e coraggioso dei parenti delle vittime

La morte di Riina ha un significato speciale per le vittime di mafia. Lettera al Giornale.

Alle 3.37  di oggi è morto Totò Riina, il “capo dei capi”, di Cosa Nostra. Ogni testata giornalistica, nelle prime ore della mattinata, ha raccontato la morte di uno dei criminali più sanguinari della storia del nostro paese con queste parole. Tra le sigle dei telegiornali, le riflessioni sull’agire inumano di questo soggetto, su quanto avrebbe ancora potuto svelare, ma ha scelto di tacere, scivolano via attraverso le lacrime delle decine di madri, padri, fratelli, figli, mogli e cari amici, di coloro che per mano sua, sono caduti.
Nella vita di un cronista sono diverse le occasioni in cui ci si trova a contatto con i familiari delle vittime. Quando ti capita, però, di scontrarti con certi dolori anche nella vita privata, è tutto molto diverso. Nelle occasioni in cui indossi il taccuino, vesti la mano di inchiostro e vai a raccogliere la testimonianza di chi soffre, sai che insieme dovrai posizionare sul tuo volto una maschera, quella che ti consente di restare lucido, leggermente distaccato per non lasciarti toccare troppo a fondo da quello che stai ascoltando. Solo così, percependo il dolore senza lasciartene travolgere, puoi raccontare onestamente la realtà. Se accanto a te, nella tua vita, nelle feste comandate, spoglio di qualsiasi uniforme da lavoro, hai qualcuno che ha perso una persona cara per mano mafiosa, la storia cambia. Ti mancano le parole per confortare una ferita che rimarrà sempre aperta, le frasi che senti tue quando racconti storie altrui non ti sembrano sufficienti e non perché in sé non abbiano valore o perché tu non ci creda, ma semplicemente per quel dolore, una volta che sei al sicuro tra le mura di casa, non per tutti si lenisce pensando al coraggio, al valore di chi ci ha lasciato, in nome di una causa più grande. Già, perché oltre quel vuoto enorme, incolmabile, che scava dentro per una vita intera, oltre al ricordo di assalti vigliacchi alle spalle, i familiari di chi è stato ucciso ereditano anche un gravoso compito, quello di continuare a sembrare forti agli occhi altrui, per non rendere vano il sacrificio dei propri cari. Lo fanno con determinazione, con convinzione, chissà a fronte di quale dolore mentre sono di fronte a te e vorrebbero urlare, piangere, pensando a quella carezza mancata o a un regalo di anniversario mai scartato.
Quando tornano a casa, quando si parla in famiglia, è umano porsi una piccola, semplice domanda: ne è valsa la pena?
La risposta non c’è, per loro. E’ compito di chi sta accanto a queste persone e di tutta la società civile, in giornate come queste, cercare di attenuare il dolore di tutte queste famiglie. Personalmente oggi a me spiace che Riina sia morto, non la trovo una giornata da festeggiare, perché in un certo senso si è liberato.  Invece avrebbe dovuto continuare a pagare una pena non quantificabile, per aver ucciso Giovanni, Salvatore, Pietro, Carlo Alberto, Mario, Francesca, Antonio, Vito, Rocco, Emanuela, Agostino, Vincenzo, Walter, Claudio, Giangiacomo, Mauro e tutte le altre vittime cadute per mano vile di chi ha eseguito e ordinato la loro morte.Alla fine però, lui non ha vinto, come nessuno di coloro che hanno scelto la via più codarda nello stare al mondo, ovvero quella di vivere reclusi come topi per non essere beccati, essendo costretti a usare una pistola per essere ascoltati, perché senza le armi queste persone non sono niente. Quello che sono, invece, tutti coloro che sono rimasti uccisi per combattere lui e i suoi pari, non serve nemmeno spiegarlo. Sono la storia e la pasta del coraggio del nostro Paese.