Economia circolare, da Monza partono le idee per le nuove professioni

All’incontro organizzato dall’associazione Monzattiva si è parlato di sinergie tra aziende e mondo accademico nell’ottica di uno sviluppo basato sulla sostenibilità e su una filiera produttiva eco-compatibile.
Da un lato la capacità di valorizzare le risorse a nostra disposizione attraverso la riduzione degli sprechi, il riuso dei prodotti e il riciclo. Dall’altro la necessità di nuove professionalità in grado di accettare le sfide della bio-economia e della sostenibilità e favorire questi processi in risposta ad esigenze industriali in evoluzione. In mezzo ci siamo tutti noi, cittadini di diversa età ed estrazione socio-culturale, che dobbiamo acquisire una mentalità del consumo basata sull’accesso e non sul possesso delle cose.
Lo sviluppo di nuove forme di crescita economica ruota intorno a questi tre argomenti, che sono stati al centro di “Economia circolare e nuove professioni”, il primo incontro pubblico di discussione dell’associazione culturale e politica Monzattiva. E le prospettive, in una logica di integrazione dei settori industriali e degli approcci di studio, sembrano essere interessanti. Anche per Monza e la Brianza. Dove, in una delle aree più imprenditoriali d’Italia, si comincia a fare sempre più strada l’ottica di una filiera attenta a massimizzare il numero e il ciclo di utilizzo dei prodotti. Con alla base, come punto focale, una sinergia fruttuosa tra aziende e mondo accademico.
Un esempio concreto è il Dottorato industriale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Con due indirizzi fondamentali. Il primo, Ph.D.Executive, diretto a coloro che hanno già un rapporto di lavoro, anche autonomo, con le imprese. Il secondo, Ph.D. Alto Apprendistato, prevede l’assunzione di giovani under 30, in regime di sgravi fiscali sui costi del dipendente, che dovranno svolgere il 60% della presenza in azienda e il restante 40% in Università.
Crescita dell’economia e salvaguardia dell’ambiente e dell’eco-sistema in cui viviamo, dunque, sembrano poter andare di pari passo nella direzione dello sviluppo. “Gli scenari occupazionali più aggiornati, riferiti all’economia circolare, da qui al 2030 parlano di 1,2 milioni nuovi posti di lavoro nel mondo – afferma Lucia Visconti Parisio, professore ordinario di Scienze delle Finanze all’Università di Milano-Bicocca – in Italia se ne creeranno circa 150mila. Scompariranno alcune delle mansioni oggi presenti e si creeranno nuove opportunità in nuovi settori – continua – per questo sarà quanto mai necessaria una riqualificazione professionale inserita in nuovi paradigmi di crescita”.
Il tema è strettamente collegato ad un cambiamento degli interventi di policy. “Gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici – spiega Visconti Parisio – dallo sviluppo tecnologico e gli investimenti in Ricerca e Sviluppo al funzionamento dei mercati, come quello dell’elettricità, fino alle energie rinnovabili”.
L’economia circolare è sempre più connessa a concetti come la funzionalità e la condivisione dei prodotti. E si collega, in un simbolico abbraccio dagli effetti virtuosi, alla cosiddetta bio-economia. Ecco perché all’incontro organizzato dall’associazione Monzattiva, con in testa il suo presidente Carlo Abbà, si è anche parlato della valorizzazione degli scarti dell’agroindustria.
“Si tratta di un ottimo strumento per trovare nuove materie prime e ingredienti bioattivi e transitare dall’economia lineare verso quella circolare – spiega Nicoletta Ravasio, chimica e primo ricercatore del Cnr-Istm (Istituto di scienze e tecnologie molecolari – c’è, però, bisogno di adottare un approccio multidisciplinare se si vuole rendere il riciclo e il riuso dei materiali elementi fondamentali per lo sviluppo sostenibile”.
Anche perché le opportunità da approfondire sono davvero tante. E, per restare all’agroindustria, a Monza ne sono state presentate alcune. Come la produzione di materiale isolante per la bio-edilizia dalla combinazione della lana di scarto con la paglia di riso. O l’estrazione di proteine dal siero di latte, un residuo altrimenti molto inquinante. O, ancora, la realizzazione di prodotti cosmetici e di cellulosa dagli scarti presenti sul fondo di una tazzina di caffè.
“Si tratta di risultati ottenuti con un approccio chimico che hanno importanti ricadute commerciali – afferma Ravasio – si sta affermando il concetto di simbiosi industriale per cui lo scarto di un settore industriale può diventare materia prima per un altro. Questo vale anche per l’ambito delle costruzioni o del legno-arredo, di cui la Brianza, con il suo distretto e circa 2200 aziende, è un’eccellenza in Italia”.
All’incontro “Economia circolare e nuove professioni”, che ha visto la presenza di rappresentanti del tessuto economico e culturale del territorio, dalle associazioni imprenditoriali ai sindacati fino agli insegnanti, c’è stato spazio anche per un progetto concreto di lotta agli sprechi. E’ il “Polo del riuso” di Verbania. Un’idea, promossa dal Comune piemontese in collaborazione con Manitese Cooperativa Sociale a r.l. Onlus.
“Si tratta di una struttura che anticipa l’isola ecologica, dove sono normalmente destinati i rifiuti solidi urbani – spiega Greta Moretti, Consigliera comunale di Verbania e collaboratrice di Manitese – funziona come punto di raccolta e intercettazione di “scarti”, nonché vendita o scambio di oggetti che ridiventano utili in seguito ad attività di riparazione e rielaborazione”.
L’iniziativa sta ancora proseguendo il suo percorso ed è stato avviato uno studio di fattibilità riguardante l’elaborazione di alcune ipotesi di insediamento del Polo del riuso. Una struttura simile, che vedeva coinvolta sempre la cooperativa sociale Mani Tese, avrebbe dovuto aprire lo scorso settembre anche a Monza. Per RIUSAmò, questo il nome scelto per il Centro del capoluogo brianzolo, era anche stata individuata una sede in via Buonarroti 54 (leggi l’articolo). Ma qualcosa deve essere andato storto proprio per la concessione e la gestione degli spazi in cui insediare il progetto. E, per il momento, di RIUSAmò non si hanno più tracce.