Partite Iva, Cgil Monza e Brianza: “Novità importanti, ma tante perplessità”

La legge 81/2017 ha stabilito una serie di forme di tutele e diritti per i professionisti autonomi e freelance. Su tutte la discoll. Molte di queste novità, però, richiedono un’azione giurisdizionale o forme di autofinanziamento.
Di Iva come Imposta sul valore aggiunto si è parlato tanto in questi due mesi e mezzo che sono passati dalle elezioni politiche dello scorso 4 marzo. Soprattutto in riferimento al fatto che lo Stato dovrebbe trovare 12,5 miliardi di euro nel 2019 e 19,1 miliardi nel 2020 per evitare che dall’1 gennaio 2019 l’aliquota intermedia passi dal 10 all’11,5% e quella ordinaria dal 22 al 24,2%. Molte meno, invece, si è parlato del cosiddetto “Jobs Act delle partite Iva”. Così, infatti, è stata comunemente chiamata la legge 81 emanata il 22 maggio del 2017. Che interessa i circa 2 milioni di lavoratori autonomi italiani.
“La nuova normativa, pur con mancanze e criticità gravi sul diritto all’equo compenso, il sostegno al reddito in mancanza di lavoro e i diritti sindacali, rappresenta una grande novità nel nostro diritto del lavoro – afferma Lino Ceccarelli, Responsabile dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza – vede, infatti, un primo tentativo di costruire un sistema di tutele e diritti per il mondo dei professionisti autonomi e freelance”.
Più nel dettaglio nell’art. 2 la legge 81/2017 sembra individuare tutele nei confronti dei ritardi o dei mancati pagamenti. E, riprendendo del tutto la direttiva 2000/35, dispone che, nell’ambito di una transazione commerciale, chi subisce ingiustificatamente un ritardo nel pagamento del prezzo, ha diritto agli interessi di mora, che decorrono automaticamente, sin dal giorno immediatamente successivo a quello di scadenza previsto nel contratto, per il solo fatto dell’inadempimento. Senza che il fornitore della prestazione o del servizio debba più inviare alcuna lettera di sollecito o altro atto di “costituzione in mora”.
L’art. 3, poi, stabilisce che sono abusive e prive di effetto previsioni contrattuali a danno del professionista e ad esclusivo vantaggio del committente, quali le modifiche unilaterali, il recesso del committente senza preavviso, il rifiuto a stipulare il contratto sotto forma scritta, il limite per i pagamenti al professionista oltre i 60 giorni. “Si tratta di novità che richiedono comunque un’azione giurisdizionale – spiega Ceccarelli – questo spinge verso l’associazione tra professionisti e la costituzione di servizi orientati, per esempio al recupero crediti o alla tutela contrattuale vera e propria, per i quali anche il sindacato vede aprirsi nuovi spazi di tutela, individuale e collettiva”.
Il cuore del “Jobs Act delle partite Iva” sono gli articoli 6 e 7. Il primo introduce nuove tutele per reddito, malattia e maternità, ma non ad effetto immediato. Infatti il governo viene delegato a operare, entro dodici mesi, per abilitare gli enti previdenziali di diritto privato ad attivare prestazioni complementari di tipo sociosanitario, previdenziale e di tutela del reddito.
Ma anche per ridurre i requisiti di accesso alla maternità e per aumentare la platea dei destinatari della indennità per malattia. Il tutto con la specifica che, in presenza di condizioni di legittimo impedimento a fornire la prestazione professionale, il rapporto di lavoro del professionista con il committente non si estingue, ma rimane sospeso per un massimo di 150 giorni/anno solare (art.13).
L’art. 7, dopo un periodo, tra il 2015 e il 2017, di sperimentazione, proroga, cessazione e rifinanziamento, a seguito di un deciso intervento sindacale, rende definitiva la discoll, l’indennità di disoccupazione per i titolari di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Che, tra l’altro, viene estesa ad assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio, spesso trattati dal sistema universitario italiano con stipendi per nulla adeguati.
“Sia per reddito, malattia e maternità sia per la discoll si tratta di tutele autofinanziate con l’aumento della contribuzione all’Inps, quindi senza “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” – sostiene il Responsabile dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza – non c’è una redistribuzione di ricchezza a favore di una categoria, il lavoro autonomo, che spesso nasconde vere e proprie forme di sfruttamento da lavoro dipendente, in particolare sul piano retributivo”.
Altre novità del “Jobs Act delle partite Iva” riguardano l’estensione ai lavoratori autonomi del congedo parentale retribuito, anche nei casi di adozione e affidamento, la deducibilità delle spese per formazione e aggiornamento professionale fino a 10mila euro e fino a 5mila per la certificazione delle competenze. E’ previsto inoltre l’obbligo, per i soggetti pubblici e privati operanti nel mercato del lavoro, a garantire l’apertura di sportelli per il lavoro autonomo.
Un obbligo non ancora effettivo dal momento che l’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) sta appena iniziando ad assumere la sua funzione di coordinamento. La legge 81/2017 rafforza le disposizioni in materia di sicurezza del lavoro negli studi professionali ed estende ai liberi professionisti il diritto ad accedere agli appalti pubblici e ai bandi per l’assegnazione di incarichi, anche in forma associata.
Su molti di questi punti ci sono ancora delle lacune. “La Cgil è in prima fila, con le sue strutture territoriali, distribuite in tutta la provincia di Monza e Brianza, che già da anni assistono collaboratori, partite Iva individuali, e lavoratori comunque ‘autonomi’ – assicura Ceccarelli – la Cgil continua la sua battaglia civile per sostenere la sua proposta di ‘Carta dei diritti universali del lavoro’, con la quale passare ad un sistema che riconosca a tutti, nel mercato del lavoro, pari dignità e quindi uguali tutele per i diritti fondamentali a prescindere dalla diversa natura e tipologia del rapporto di lavoro”.