Assolombarda, l’etica sia il faro dello sviluppo della città del futuro

Ieri a Monza il convegno “La città etica”. Lo sviluppo urbano del futuro. Ospiti eccellenti.
“C’è bisogno che la città torni ad essere polis, che si faccia agorà (piazza) ossia, che torni ad essere a misura di uomo”. Ad asserirlo è il primo cittadino di Monza Dario Allevi. Una frase incoraggiante. Certo, ma non solo. Sono parole, soprattutto, che guardano al futuro. Un umanesimo etico, dei luoghi inclusivi dove al centro c’è l’uomo. “Lavoreremo fin da subito – chiarisce Allevi – per costruire la Monza del 2030.” Un concetto, quest’ultimo, espandibile a tutta la Brianza.
Una mattinata all’insegna dell’etica, quella di venerdì 29 giugno. Ma soprattutto, della filosofia che incontra la pratica. “Un tema importante – sottolinea Andrea Dell’Orto, presidente del presidio territoriale di Assolombarda Monza e Brianza– poiché sono in atto processi di rigenerazione urbana, all’interno dei quali, attraverso il concetto di smart city, è possibile coniugare riqualificazione e sostenibilità ambientale”. E per l’appunto lo si è definito “La città etica“.
Questo il nome del convegno dove si è parlato di sviluppo urbano. Lo si è fatto a Monza, all’interno del presidio di Assolombarda in via Petrarca 10. Quattro ore tonde tonde, dalle 9 alle 13. Una mattinata, che in collaborazione con il Centro studi liberi nell’Agorà, si è svolta come da programma. Dai saluti iniziali del sindaco Allevi, all’introduzione dell’avvocato Bruno Santamaria. E poi ancora, dalla relazioni di Kelly Russel, investor relations di Coima srl, che ha apportato l’esempio di Porta Nuova a Milano, alle note filosofiche di Fabio Gabrielli. Siamo solo a metà mattinata. Gli interventi continuano. È il turno della resilienza urbana, a cura dell’architetto Stefano Recalcati e dello sviluppo sostenibile spiegato dal dottor Vincenzo Grassi partner di PWC. Un ensemble di grandi nomi. Ma sul sipario, prima che si chiuda, fa la sua apparizione Fabrizio Sala, vice presidente di Regione Lombardia.
UN PROGETTO AMBIZIOSO. ISTRUZIONI PER L’USO
“Quando si parla di città del futuro – spiega Santamaria – bisogna pensare ad una città intelligente, che sappia mettere al centro l’uomo”. Un ritorno all’umanesimo dove l’architetto svolge un ruolo importante. Quello di coniugare sviluppo urbano con rispetto per l’ambiente. Ecco quindi svelato il concetto di etica, ma soprattutto di resilienza. La velocità, ossia, attraverso cui una comunità torna al suo stato iniziale, dopo un evento che lo ha alterato. Un concetto filosofico? No. Più probabile, poco lineare. Per meglio chiarire, va specificato che tali alterazioni posso nascere da attività catastrofiche o dalla stessa mano dell’uomo. E di uomo, effettivamente, si parla. Della sua incapacità di interagire e quindi di essere, all’interno di una città. “Gli spazi urbani – spiega Gabrielli – devono privilegiare il corpo e poiché non ci sono spazi, dediti allo sguardo e al corpo, ecco – sottolinea – che ciò che ne deriva è una civiltà depressa”.
Un concetto filosofico che, in poche parole, potrebbe riassumersi con la ricerca di un’individualità sentita, all’interno di una collettività partecipata. Una città, insomma, capace di riempire il vuoto e di condividere gli spazi in un grande luogo di incontro.
DALLA FILOSOFIA ALLA PRATICA
Stefano Recalcati semplifica il concetto. Sicuramente, lo rende più fruibile. “Ad alterare una condizione – spiega – intervengono due tipi di stress”. Quelli acuti e quelli cronici. I primi dovuti ad eventi unici come terremoti e alluvioni. I secondi, invece, sono tutti quei fattori, che pian piano, indeboliscono la struttura di una città. “Disuguaglianza, congestione, disoccupazione, mancanza di appartamenti a prezzi calmierati – chiosa – sono tutti fattori che abbassano il valore di resilienza e rendono la città meno vivibile“. Cosa fare? La domanda, a questo punto, è più che lecita. Milano è un esempio. Concreto. Palpabile. Ma soprattutto, Milano è una risposta.
“Il 2008 – asserisce Kelly Russel – non rappresenta tanto una crisi economica, ma, più che altro, una crisi culturale”. Ragionando in termini temporali, si potrebbe riflettere su ciò che c’era prima di tale data e su ciò che è avvenuto dopo. “Prima del 2008 – continua Russel – si ragionava in termini di profitto, senza pensare al futuro e alla sostenibilità. Successivamente – chiosa – la mentalità è cambiata. Si è cominciato a pensare in termini di sviluppo sostenibile e, soprattutto, a misura di uomo”. Porta Nuova è il modello per eccellenza. Bellezza e felicità. Etica e accessibilità. Questi gli ingredienti segreti della formula architettonica pensata e voluta dalla Coima srl. E se si tratta di un modello esportabile anche alla città di Monza e alla Brianza in generale, lo chiarisce Fabrizio Sala.
Il problema, che è lo scoglio più grande, risiede nei fondi, che privati e amministrazioni comunali non hanno. Ma per fortuna la Regione c’è. Regione sostiene. Soprattutto interviene. Lo fa con la L.R. n. 31/2014 in materia di consumo di suolo e per la riqualifica del suo degrado. Si tratta dunque di un intervento regionale atto a fornire sostenibilità economica.
“Le amministrazioni – sostiene Santamaria – devono farsi carico della valutazione del computo economico, poiché recuperare aree dismesse è del tutto fondamentale”. Recuperare, del resto, significa riqualificare e quindi accrescere e sviluppare. Ancora una volta, l’esempio di Milano torna utile. Attorno alla zona di Porta Nuova, chiamiamola punto zero, si è successivamente sviluppato un effetto domino. “L’area circostante – testimonia Russel – ha cominciato a svilupparsi in autonomia, adeguandosi alla nuova area urbana“. Una miglioria, quindi, che apporta migliorie. Volendo parafrasare Boccioni, è “la città che sale”. Mentre l’etica, dice Santamaria “deve essere il minimo comun denominatore”.
“Non stiamo costruendo a Milano. Non a Monza. Stiamo costruendo in Europa con una visione internazionale delle cose. Non possiamo pensare – sostiene Fabrizio Sala – di non far comunicare pubblico e privato”. Una comunicazione essenziale. Fondamentale, soprattutto, a richiamare i grandi investitori. Una chiave d’accesso, determinante allo sviluppo economico oltre che a quello cittadino.
Costruire nuovi palazzi, da soli, del resto non basta. Sarebbe un’operazione fine a se stessa. Creare un circuito economico, attorno al quale la piazza possa svilupparsi, diverrebbe l’arma vincente. “Se non entriamo in questa logica – afferma Sala – nessuna amministrazione potrà attuare un piano di sviluppo cittadino che stia in piedi. Bisogna quindi, creando le condizioni favorevoli per cui gli investitori possano intervenire, scegliere un tema su cui capitalizzare e a Monza – chiosa – c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il punto – conclude – è avere una visione a 360 gradi, grazie alla quale, se siamo tutti d’accordo, potremo creare la nostra Lombardia Valley“.