Paolo Bricco porta Sergio Marchionne in biblioteca ad Arcore

In biblioteca civica ad Arcore la presentazione del libro “Marchionne lo straniero” con l’autore Paolo Bricco e Oscar Giannino relatori.
“Marchionne lo straniero” in biblioteca ad Arcore. A presentare uno dei libri più attuali per l’oggetto e il ricordo popolare del personaggio Sergio Marchionne, venerdì sera in sala consiliare ci ha pensato niente meno che l’autore. Il giornalista arcorese e inviato de Il Sole 24 Ore, Paolo Bricco.
La serata si è consumata come una piacevole chiacchierata informale, arricchita dalle chiose d’autore di Oscar Giannino, noto volto televisivo, giornalista e speaker radiofonico. A moderare gli interventi dei relatori, Marco Alfieri, caporedattore de Ilsole24ore.com.
Come emerso nel corso della serata, la bravura dell’autore è stata quella di aver saputo ricostruire la figura di un personaggio molto divisivo, problematizzandolo e raccontando l’unicum che è stato, mettendone in luce meriti, contraddizioni, difficoltà e flop.
Un libro vero, insomma. Non un “instant book” con il fine di un’operazione meramente commerciale, come etichettato in un primo momento. Nella tragedia della morte del manager la coincidenza ha voluto infatti che ci fosse già un autore “sul pezzo”, che lavorava alla sua biografia da due anni.
Uscita la prima settimana di agosto, qualche settimana dopo la sua morte. Un lavoro puntuale, fondato su fonti, testimonianze, documenti, frutto del ruolo “privilegiato” di Bricco, di inviato per Il Sole 24 Ore. L’altra grande coincidenza della serata era l’origine dell’altro ospite, Oscar Giannino: torinese, che ha vissuto la gioventù all’ombra della grande fabbrica.
“Quando Marchionne arriva a Torino nel 2004 trova un’azienda fallita, e con lei anche l’idea di Italia – la premessa di Bricco – Rappresentava l’incapacità di trovare una soluzione dalla fine del grande sogno degli anni” 80. Pensiamo che nel 1982 la Fiat produceva la Uno, con cui ogni mese competeva per la leadership di vendite in Europa con la Golf della Volkswagen. E c’era l’Olivetti che produceva il pc più venduto al mondo. Nello stesso anno i grandi sarti italiani aprivano i loro negozi sulla Quinta Strada. Era un periodo di grandi speranze.
Vent’anni dopo tutto questo non c’è più. Marchionne arriva in una città che negli anni ha provato a cambiare il racconto di se stessa con gli investimenti sulla cultura. Ricordo l’ultimo regalo dell’avvocato, le Olimpiadi Invernali. Ma era un racconto che non riusciva comunque a produrre un’alternativa forte a ciò che era stata la grande fabbrica. Questo valeva per Torino e per tutto il paese, che dagli anni “80 ha provato a passare dalla manifattura al terziario senza riuscirvi”.
Spazio quindi a Giannino, che ha focalizzato l’attenzione sull’abilità del ceo nell’intessere le trattative che hanno salvato il Lingotto dal baratro e l’hanno portato, pur tra tante difficoltà, a rilanciarsi sui mercati. “Protetta per troppi anni dalla mano dello Stato da ogni tipo di concorrenza, la Fiat nei primi anni “90 si illude e comincia a saltare cicli di produzione. E commette un grave errore, non capendo che dopo il consumo del settore delle utilitarie serve fare il salto nel segmento delle berline, con motorizzazioni più avanzate. Con gli Agnelli la Fiat questo investimento non lo fa, e quando Marchionne arriva nel 2004 l’azienda non ha un progetto per rialzarsi.
Marchionne è una specie di canadese-americano-svizzero, e un ottimizzatore finanziario perchè ha sviluppato la capacità di saper leggere ‘nelle righe del bianco’ dei bilanci, e presente in una molteplicità di cda aziendali. La Fiat era spacciata, e lo sarà anche quattro anni dopo, nel 2008 prima della fusione con Chrysler. Ma l’uomo è abile a evitare il tracollo totale. Solo perchè era lui, Chrysler ha potuto infatti tollerare che la componente italiana del gruppo FCA continuasse a perdere miliardi. Si può dire che un uomo così è morto lasciando qualcosa che ha calpestato e deitalianizzato?”.
Tra le qualità del Marchionne negoziatore, nella fase cruciale per le sorti del colosso italiano, Bricco ha citato la dimensione da giocatore d’azzardo. Una carta fondamentale calata nel 2009, quando convinse Barack Obama a cedergli Chrysler in cambio dei motori green della Fiat, a un passo da un nuovo fallimento. Uno scambio impari, anche all’occhio di un non addetto ai lavori. Insomma, difficile screditarlo come negoziatore: questa la linea sia di Bricco che Giannino. Tra gli aneddoti più curiosi e meno risaputi selezionati da Giannino, invece, rientra il ruolo del lavoro, tanto che “non c’era altro nella sua vita”. E per capire fino dove arrivava il suo stakanovismo, il giornalista ha ricordato che si faceva perfino tagliare i capelli in aereo.
Proprio su un aereo da Parigi per gli Stati Uniti, Giannino ebbe modo di incontrare “lo straniero” per parlargli personalmente. Era l’unico modo, dato che era sempre in movimento per lavoro. Fu allora che parlandogli a tu per tu, il giornalista capì che, malgrado i suoi storici dissidi con i sindacati e il ruolo conflittuale con il paese, Marchionne amava profondamente l’Italia. Nonostante fosse legato a Toronto e agli Stati Uniti dall’infanzia, capì che era più italiano di quello che faceva trasparire, e che se ne era andato per la complicazione istituzionale e burocratica che l’aveva travolto.