Arriva l’etichetta per il pane fresco, più tutele per i consumatori e i produttori

È entrato in vigore un Decreto nazionale che disciplina il settore. Plauso di Confartigianato Monza e Brianza, ma non mancano perplessità e proposte integrative.
In 12 anni un essere umano passa dalla condizione di neonato all’età della pubertà. Nello stesso numero di anni un ex fumatore incallito annulla quasi tutti gli effetti negativi delle sigarette per la sua salute e ha le stesse probabilità di ammalarsi di tumore di chi non ha mai fumato. Ebbene, ci sono voluti ben 12 anni perché, dopo il Decreto Bersani sulle liberalizzazioni del 2006, chi produce pane in Italia, ben 147 artigiani solo a Monza e in Brianza, possa finalmente avere un provvedimento nazionale che definisca meglio questo prodotto alimentare ancora così amato nel nostro Paese.
Merito, se così si può dire, del Decreto interministeriale 131 dell’1 ottobre 2018, “Regolamento recante disciplina della denominazione di panificio, di pane fresco e dell’adozione della dicitura pane conservato”, entrato in vigore dal 19 dicembre (clicca qui per il testo completo).
Tra le novità, spicca l’arrivo dell’etichetta anche per il pane fresco. Che, viene definito, come “ il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, senza che vi siano interruzioni per il congelamento o la surgelazione, fatta eccezione per il rallentamento del processo di lievitazione, senza l’utilizzo di additivi o altri trattamenti conservanti”.
Un tipo di pane che si distingue dal “pane conservato o a durabilità prolungata”, su cui dovrà essere indicato il metodo di conservazione (ad esempio congelato, precotto surgelato, in atmosfera modificata), ma sono previsti anche scomparti appositamente riservati. A tutto ciò, che allinea il pane ad altri prodotti già “etichettati”, come la pasta e il riso, il Decreto interministeriale 131 definisce la precisa denominazione di “panificio”. Termine destinato alla sola “impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini – si legge nel provvedimento – e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale”.
L’intervento normativo, che ha l’obiettivo di tutelare i produttori e i consumatori, era diventato una necessità imprescindibile per gli addetti ai lavori, desiderosi da anni di maggiore chiarezza su un prodotto “sensibile” come il pane. A onor del vero, la Lombardia, nei 12 anni intercorsi tra il Decreto Bersani del 2006 quello 131 del 2018, aveva già provveduto a sanare il vuoto legislativo. In particolare con la Legge Regionale 07/11/2013, n.10.
“In realtà il decreto è servito soprattutto per intervenire nei confronti di altre Regioni italiane, che non rispettavano ancora alcuni criteri legati alla produzione e alla conservazione – spiega Domenico Riga, presidente dell’Unione Commercianti di Monza e circondario (nella foto in alto) – in Lombardia, invece, quanto entrato in vigore ora a livello nazionale sostanzialmente c’è già e quindi per i nostri panificatori cambia poco o nulla”.
In ogni caso la soddisfazione è palpabile anche nelle parole del Presidente di Apa Confartigianato Milano Monza e Brianza, Giovanni Barzaghi (nella foto in alto). “Finalmente qualcosa si è mosso anche perché si stabilisce che la differenza tra pane fresco e pane conservato o a durabilità prolungata debba essere immediatamente percepibile dai consumatori – afferma – è un primo positivo passo all’insegna della chiarezza”.
Non mancano, comunque, le perplessità. In particolare sull’assenza dell’obbligo di indicare in etichetta anche l’origine del semilavorato (additivi, conservanti) del pane. “Il decreto fa chiarezza sulla denominazione del pane fresco, ma resta il problema di prevedere l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle farine utilizzate” sostiene Barzaghi.
Le richieste di miglioramento della norma attuale non finiscono qui. “E’ importante che si arrivi a una vera e propria legge quadro sulla panificazione perché c’è la necessità di una cornice normativa coerente e uniforme che superi la frammentazione territoriale, frutto di disposizioni regionali ancora troppo disomogenee” afferma il Presidente di Apa Confartigianato Milano Monza e Brianza.
“Convocati in audizione in Senato, i nostri panificatori – continua – avevano anche indicato la necessità di definire le caratteristiche del forno di qualità, in modo da renderle chiaramente riconoscibili, prevedere un preciso quadro di controlli e di sanzioni, armonizzare i corsi regionali di formazione professionale per i responsabili dell’attività produttiva”.
Tra le idee sul tavolo una arriva dai nostri “cugini” al di là delle Alpi. “Auspico che si possa arrivare, come già accade in Francia, alla creazione delle figure dei ‘Maestri panificatori’ per assicurare il giusto prestigio a chi lavora a regola d’arte” propone Barzaghi. Del resto sarà pur vero, come ha detto un grande Maestro, Gesù Cristo, che “non di solo pane vive l’uomo”, ma in Italia se ne consumano mediamente circa 60 kg pro capite all’anno. Un numero inferiore al passato, ma ancora di tutto rispetto.