Depressione il male del secolo. Francesco Danile: “La ricerca può aiutare molto!”

In occasione del conviviale del Rotary Monza, Francesco Danile presenta l’innovativo progetto per la cura della depressione
Il punto di partenza è capire che quando si parla di depressione, si parla di una malattia. Tra le peggiori. La domanda da porsi è se sia un male curabile. Una risposta, forse, arriva da Francesco Danile e da sua madre Carolina Manzella, che in ricordo di Antonio, suo figlio, hanno finanziato un intero anno di ricerca medica.
L’occasione è stata la conviviale del Rotary Monza presso il Golf Club a Biassono. Si è parlato di depressione e di come creare consapevolezza circa il fatto che sia una malattia reale. “Solo in Italia – ha spiegato Francesco Danile – il 12,5% della popolazione soffre di questa malattia“. Una percentuale importante che se tramutata in numeri fa ancora più riflettere. A renderlo chiaro è proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In Europa si stima che i soggetti affetti da depressione siano circa 92 milioni di persone, mentre in Italia arriviamo a circa 7,5 milioni di malati. Entro il 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia.
LA MALATTIA
Considerando i numeri citati, “se fosse un virus – spiega Francesco – potremmo tranquillamente dire di aver a che fare con una pandemia, quindi è assai probabile che ognuno di noi, all’interno della propria famiglia o nella cerchia delle proprie amicizie abbia a che fare con un malato di depressione senza saperlo”. Insomma, la depressione è un mostro, spesso sottovalutato, che con il tempo si trasforma in qualcosa di non controllabile e che soprattutto, può giunge ad un tragico epilogo. La morte.
La famiglia Danile lo sa bene. Antonio, avvocato di successo “e persona molto colta”, così come testimonia suo fratello, la depressione l’ha conosciuta. Un incontro, che oggi, è ancora testimoniato dalle lacrime sul viso Francesco suo fratello e di Carolina, sua madre.
“I motivi di tale escalation – spiega Francesco – sono di diversa natura, ma principalmente dovuti al fatto che la nostra società, rispetto al passato, è sempre più competitiva, e ciò fa emergere più facilmente le fragilità delle persone che hanno difficoltà a stare al passo con le sfide”. Un depresso è un malato nell’animo e il rapporto con il tempo, il suo, appare fortemente alterato. “Il depresso – sottolinea Francesco – sente sfuggire il futuro e vive in un presente oppresso dagli sbalzi di umore, da alterazioni nella forma e nel contenuto del pensiero, da anomalie nell’appetito e nella sfera sessuale. Pian piano arriva ad avere alterazioni del ritmo del sonno con conseguenti e persistenti mal di testa, a cui si aggiunge un costante pensiero di morte”.
Sono spiegazioni, quelle di Francesco, che arrivano dritte dritte all’animo. Son parole, soprattutto, che vogliono far capire. Far capire che la depressione e esiste e che è un Titano difficile da combattere. Questo perché spesso il malato non riconosce di essere depresso, ma soprattutto, a non riconoscerlo, è la famiglia stessa. “Tendenzialmente – testimonia – una famiglia che ha a che fare con un malato di depressione passa attraverso tre fasi: la fase dell’accusa e colpa, la fase della vergogna e infine la fase della disperazione“. Quando se ne accorge, quando capisce ed accetta il problema, ormai è troppo tardi. La famiglia passa dall’essere accusatrice ad essere accusata. “Il malato è dotato di un’ampia capacità manipolatrice”, spiega Francesco e così, crogiolandosi nel dolore, porta i famigliari ad assecondarlo in ogni cosa.
QUALE LA SOLUZIONE?
Sorge spontanea la domanda. C’è una cura? La risposta sta nel mezzo. “Sicuramente – testimonia Francesco – il fai da te è altamente deleterio, perché non si ha la consapevolezza di cosa voglia dire avere a che fare con un malato depresso, che come tale è una persona totalmente inaffidabile, e il cui rischio è quello di far cadere nel baratro tutta la famiglia insieme al depresso”.
Ciò che può sembrare ovvio non sempre lo è. Soprattutto in certi casi. Gli psicofarmaci? No, grazie. “In modo particolare nei casi di depressione bipolare – spiega Francesco -, gli psicofarmaci portano pesanti squilibri nella persona affetta“. Non è dunque la giusta soluzione e, ad ogni modo, spesso rimane un mero palliativo. C’è allora la ricerca scientifica, che ogni giorno cerca soluzioni innovative. C’è la volontà, da parte della famiglia Danile, di dare un contributo e, in qualche modo, di giungere ad una verità. “A seguito di questo tragico evento – spiega Francesco – mia mamma, Carolina Manzella, ha fortemente voluto ricordare il nome di mio fratello facendo qualcosa di concreto contro la depressione”.
Il primo passo è stato quello di entrare in contatto con il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, struttura d’eccellenza a livello europeo. Qui la famiglia Danile incontra il professor Vincenzo Di Lazzaro, direttore del reparto di neurologia, nonché professore ordinario di neurologia. “Grazie a lui – spiega la famiglia – è stato messo a punto un progetto per il trattamento della depressione, con la creazione di un centro di neuromodulazione”. Piccoli grandi passi, verso il raggiungimento di una cura, si spera, un giorno definitiva. “Vogliamo prendere una rivincita verso questa terribile malattia”.
Una soluzione, a onor del vero, già esiste. È ancora in fase sperimentale ed è per lo più rivolta ai casi di depressione post partum. Si tratta di un trattamento a onde elettromagnetiche che, spiega Francesco “consente una sorta di reset in seguito al quale il malato torna ad avere una sanità mentale che varia a seconda dei casi”. Il problema, ad oggi, è il costo altamente proibitivo. Un trattamento solo per pochi e che per giunta non è ancora stato riconosciuto dallo Stato. A questo punto, “quello che abbiamo voluto fare – testimonia Francesco – è stato creare un’associazione in nome di Antonio al fine di raccogliere fondi da destinare alla ricerca. La mia famiglia – spiega – ha già finanziato in toto il primo anno, ma il percorso è ancora lungo”.
Passo dopo passo la famiglia Danile si è mossa. È stata a Roma presentando alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano il progetto. “Durante l’esposizione – ha testimoniato Francesco Danile – abbiamo spiegato che in realtà tale tecnica è già in uso nella sanità privata, con costi molto spesso spropositati e senza un protocollo ben definito. Soprattutto – ha chiarito – abbiamo voluto spiegare che ci troviamo innanzi ad un grande paradosso”. il Sistema Sanitario, infatti, riconosce come cura una tecnica invasiva, quella che prevede l’inserimento di elettrodi nel cervello tramite chirurgia ma, al contrario, quella non invasiva, ossia il bombardamento di onde elettromagnetiche, è totalmente ignorata dagli operatori del settore pubblico.
L’obiettivo è quello di partire a pieni regimi con la cura, inizialmente presso il Campus Bio-Medico di Roma e successivamente anche presso l’ospedale San Raffaele di Milano sotto la supervisione della prof.ssa Letizia Leocani. Il passo successivo sarà poi quello di ingranare la marcia e, quindi, quello di creare, spiega Francesco, “un protocollo da presentare al ministero della Salute, unitamente ai risultati prodotti, al fine di far riconoscere tale metodologia e renderla fruibile a tutti i pazienti tramite il servizio sanitario nazionale“.
“Il primo anno di sperimentazione – ribadisce Francesco – è stato già completamente finanziato dalla mia famiglia. Adesso dobbiamo trovare le risorse per i restanti due anni che confidiamo di reperire con i contributi dei privati e di fondazioni. Questo il motivo per cui è nata l’associazione Antonio Danile che avrà un duplice scopo: quello di raccogliere fondi in favore della ricerca organizzando eventi di vario genere e contestualmente informare e portare consapevolezza tra le persone su questa terribile malattia e rendere la depressione una patologia curabile come ogni altra malattia“.
Per info e dettaglio contattare: ass.antoniodanile@gmail.com