Del Bene, il medico che ricostruisce le mani ai migranti (e sogna un centro per le vittime di guerra)

15 settembre 2019 | 23:25
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Del Bene, il medico che ricostruisce le mani ai migranti (e sogna un centro per le vittime di guerra)

MBNews intervista il luminare, Dott. Massimo del Bene, del San Gerardo: ha ricostruito mani di migranti provenienti dai ‘campi di concentramento’ libici, che non avevano speranze di recupero. Ha anche un progetto: aprire un War Children Hospital.

‘E’ il Medioevo che fa ritorno’

Il Dott. Massimo Del Bene è un’instancabile chirurgo che non ama perdere tempo in chiacchiere. Il suo tempo preferisce spenderlo in sala operatoria a salvare quante più persone possibili: ‘Non è di me che dovete parlare, sono questi giovani che sfuggono ai cosiddetti porti sicuri i veri protagonisti. Attraversano il Mediterraneo sopportando le peggiori condizioni, pur di liberarsi dalla schiavitù di quei centri in cui sono stati chirurgicamente torturati per anni, affinché non potessero più essere indipendenti’.

‘Con quelle mani distrutte a martellate, con la pelle rattrappita dalle bruciature di benzinao dall’acido non posso nemmeno più lavorare: senza mani non guidi un camion, non scarichi una cassa, non servi a niente. Dipendi dal tuo aguzzino. Di solito infatti, si tratta di persone che svolgono lavori manuali, di fatica. In quelle condizioni non possono di certo continuare a occuparsi delle stesse attività, ma non hanno nemmeno le competenze per fare dell’altro’.

‘Abbiamo una nuova Auschwitz a 120 miglia dalle coste italiane’, ha dichiarato il chirurgo.

Tutti i migranti approdati al San Gerardo di Monza portano sulla pelle i segni delle violenze subite e ora, grazie alla maestria chirurgica del Dott. Del Bene, possono tornare ad avere una speranza.

Mohammed D., 24 anni, proveniente dalla zona occidentale del Ghana, è giunto in Italia con le mani tagliate, strappate e rattrappite. In Libia, ogni giorno veniva preso a martellate sulle mani, a un certo punto gli hanno tagliato la destra con un machete. Si è salvato la vita perché è riuscito a scappare. E’ arrivato nel nostro Paese a bordo di un barcone. ‘Quando l’ho operato aveva tutti i tendini e i nervi staccati. Ha subito già tre interventi di microchirurgia e ora è riuscito a recuperare una certa presa, fondamentale per consentirgli di tornare a lavorare’. Oggi vive a Como.

C’è anche un 20enne della Nigeria, arrivato in città dal centro di accoglienza di Lecco, dopo aver subito torture atroci in Libia. ‘I suoi aguzzini gli hanno gettato addosso della benzina e poi gli hanno dato fuoco. Il ragazzo ha riportato deformazioni alle mani che non gli permettono di effettuare movimenti, il viso deturpato, la retrazione del labbro e ustioni sparse sul torace e sul resto del corpo’.

‘Il vero problema è che noi interveniamo sulle lesioni a distanza di anni  – spiega il dottore – e in quelle condizioni è più difficile ottenere dei buoni risultati. Si tratta di torture rudimentali, di una violenza inaudita. E’ il Medioevo che fa ritorno’.

Al San Gerardo non giungono soltanto le vittime dei centri di detenzione libici: nelle mani del Dott. Del Bene è arrivato anche un ragazzo palestinese, che a Gaza è rimasto vittima di un colpo di arma da fuoco degli israeliani: ‘L’ho operato per una lesione a un nervo’.

Un’altra storia degna di nota è quella di un ragazzino della Costa d’Avorio, richiedente asilo: ‘A soli 18 anni, ha provato ad attraversare il confine francese d’inverno, attraverso il Fréjus. Nel disperato tentativo di salvare un suo amico rimasto intrappolato nella neve, ha perso tutte e dieci le dita delle mani’.

‘C’è poi un altro ragazzo del Ghana, attualmente in cura al Niguarda per la parte psicologica, che dovrò vedere a breve per capire se c’è modo di intervenire dal punto di vista chirurgico’, ha aggiunto il Dott. Del Bene.

Progetto War Children Hospital

Se la violenza della guerra non si può fermare all’origine, di certo si può provare a lenirne le ferite. E’ quello che intende fare il Dott. Del Bene: ‘Ho in mente un grande progetto: costruire il War Children Hospital, una struttura che non si occupa di accoglienza, bensì di assistenza clinica, a costo quasi zero. L’obiettivo è focalizzarsi sulla chirurgia plastica ricostruttiva, operare quante più vittime di guerra possibili, per restituire loro una speranza per il futuro. Il mio desiderio è poter offrire a questi bambini le stesse cure all’avanguardia che ogni giorno riserviamo ai nostri figli’.

‘Sono già tanti i professionisti che si sono offerti di entrare a far parte di questa squadra: medici in pensione, infermiere, persino una persona disposta a tenere la gestione finanziaria della struttura. Unendo le migliori professionalità alle cure più all’avanguardia potremmo evitare moltissime amputazioni, che invece nei luoghi di guerra sono l’unica soluzione per salvare la vita alle persone colpite dalle bombe’.

‘Nonostante tutto siamo un Paese ricco di gente di cuore, disposta a offrire il proprio aiuto a chi ne ha bisogno. Sono sicuro che una volta che il treno partirà, saranno in tanti a salire a bordo’.

Tuttavia gli aspetti burocratici da gestire non sono affatto pochi…

‘Bisogna risolvere la questione fondamentale del trasporto delle vittime dal luogo di ferimento al nostro centro in Italia. Per questo ho avuto modo di parlare con Emergency, della possibilità di acquistare un aereo sanitario. Il costo si aggirerebbe intorno agli 80 mila euro. Bisogna poi creare una sorta di corridoio umanitario, per far sì che queste persone possano effettivamente entrare nel nostro Paese. Si deve pertanto regolarizzare la questione burocratica dei visti e dei passaporti. Una volta che la vittima è qui, è necessario che si provveda anche all’accoglienza della famiglia: nonostante il nostro focus, lo ripeto, sia la cura di questi bambini vittime di guerra, non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a questi aspetti imprescindibili per la realizzabilità del progetto’.

L’importanza del senso umano nell’uomo di scienza

Come riesce a conciliare umanità e scienza in un mondo sempre più dominato dal totalitarismo finanziario?

‘Innanzitutto ho scelto di lavorare per un ospedale pubblico e non per una struttura privata accreditata. Credo fermamente nella sanità pubblica, perché ritengo che tutti abbiano diritto alle migliori cure possibili‘.

Cure che se ci fossero state al tempo in cui il Dott. Del Bene era soltanto un bambino, gli avrebbero permesso di conservare quella falange, che per ironia della sorte, ha persoin un incidente domestico.

Fortunatamente quell’imperfezione anatomica non gli ha impedito di diventare un autorevole chirurgo di fama internazionale.

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