Latte, non ti temo! Facciamo chiarezza tra allergia e intolleranza: qual è la differenza?

La fondamentale differenza tra allergia e intolleranza consiste nel coinvolgimento o meno del nostro sistema immunitari
Capita frequentemente: il consumo di latte e derivati può essere causa di vari malesseri fisici, dal comune disturbo intestinale a fastidiosi problemi cutanei. Non tutti sanno riconoscere le cause di tali fastidi, molto spesso legati all’introduzione nel nostro organismo degli zuccheri o delle proteine del latte. Di solito, in questi casi, si tende a chiamare in causa il lattosio, associandolo al concetto – spesso piuttosto generico – che ognuno di noi ha di “allergia” o “intolleranza”. Questi due termini, però, indicano due manifestazioni fisiologiche molto diverse e non vanno trattate allo stesso modo. Vediamo perché.
La fondamentale differenza tra allergia e intolleranza consiste nel coinvolgimento o meno del nostro sistema immunitario, che è diretto responsabile dei sintomi nella reazione allergica, e non è invece coinvolto nel caso di sintomi da intolleranza. Per capire meglio l’importanza di questa distinzione bisogna aver chiaro cosa accade al nostro corpo, da un punto di vista clinico, quando assumiamo latte, yogurt o formaggi.
Iniziamo con l’allergia: in questo caso i principali responsabili del malessere sono le molecole di tipo proteico (la caseina, in particolare, ed altre proteine contenute nel siero del latte). Queste molecole non vengono riconosciute dal sistema immunitario, i cui anticorpi specifici (nel caso degli allergeni sono le immunoglobuline E: IgE) scatenano una reazione eccessiva. Tradotto in sintomi: si possono avere episodi di crampi addominali, diarrea e vomito, rossori o gonfiori della pelle, ma – com’è noto – la manifestazione più grave consiste nello shock anafilattico, con importanti conseguenze a livello respiratorio e cardiaco.
A livello sintomatico l’intolleranza non può portare a crisi così gravi, ma sono comunque possibili episodi di forte infiammazione a livello gastrointestinale ed epidermico. Le similitudini però terminano qui: l’intolleranza non ha a che fare con le proteine del latte, bensì con l’incapacità da parte di alcuni enzimi del nostro corpo di assimilare determinate sostanze contenute negli alimenti; nel caso del latte si tratta di uno zucchero, il lattosio. Ecco perché non è corretto parlare di “allergia al lattosio”: quest’ultimo è uno zucchero, non una proteina, e non scatena una risposta immunitaria, semplicemente alcuni organismi non sono in grado di smaltirlo.
In sostanza, anche se i sintomi in alcuni casi si sovrappongono, le cause sono ben diverse: nell’allergia il sistema immunitario produce anticorpi che “attaccano” le proteine del latte, ritenute un potenziale pericolo per l’organismo; nell’intolleranza invece una carenza di enzimi impedisce la corretta digestione del lattosio.
Di conseguenza, saranno differenti anche i rimedi. Se – dopo test diagnostici e consulti con specialisti – si scopre di avere a che fare con un’allergia, l’unica cosa da fare è evitare il contatto con il latte e i suoi derivati; inoltre, è possibile che sia sufficiente eliminare dal proprio regime alimentare un solo tipo di latte (vaccino, caprino o ovino). In caso di intolleranza, invece, se ne possono assumere piccole dosi; e resta comunque la possibilità di consumare i prodotti senza lattosio, ormai abbondantemente presenti sul mercato.
In base a dati Istat, le persone che soffrono di cronica sensibilità allergica in Italia sarebbero circa il 10% della popolazione, in pratica una persona su dieci, con un trend leggermente crescente. Le stime relative all’allergia al latte vaccino riferiscono che si tratta di un disturbo molto frequente nei bambini: i sondaggi si attestano tra lo 0,25% e il 5% della popolazione, ma le stime crescono a 2-7% tra gli individui sotto i 15 anni. Se da una parte è chiaro ormai che in molti casi le allergie si riducono notevolmente o si risolvono del tutto dopo l’adolescenza, dall’altra la gravità dei sintomi – che, a differenza dell’intolleranza, insorgono immediatamente dopo l’assunzione del latte – ci spinge a restare sempre in allarme.
Per l’intolleranza i numeri sono decisamente diversi: si stima infatti che in Italia circa la metà della popolazione abbia a che fare con l’intolleranza al lattosio, anche se per molti individui si tratta di una condizione asintomatica. L’incidenza percentuale inoltre varia significativamente in base alla latitudine geografica: l’intolleranza al lattosio è un fenomeno molto più sviluppato in Europa meridionale (dove può raggiungere picchi del 70%) mentre è molto meno presente nei paesi nordici (dove si attesta attorno al 5%). Si tratta, infine, di una situazione clinica che – al contrario dell’allergia – cresce con l’aumentare dell’età: l’enzima deputato alla scomposizione del lattosio, detto lattasi, è presente già dalla ventitreesima settimana di gestazione, persiste durante tutto il periodo dell’allattamento e poi gradualmente si riduce.
Non c’è nulla di strano: è tutto programmato nel nostro patrimonio genetico. Ma il modo e i tempi in cui sviluppiamo l’intolleranza variano sensibilmente da individuo a individuo, durante l’età adulta. È opportuno, quindi, valutare caso per caso la dose opportuna di lattosio da inserire nel nostro organismo, onde evitare inutili carenze a livello nutrizionale. Non tutti sanno, ad esempio, che i derivati del latte ne contengono naturalmente meno: sostituite il bicchiere mattutino di latte con un vasetto di yogurt può essere una prima, parziale soluzione. Esistono persino dei veri e propri integratori di lattasi, prodotti specifici per intolleranti che possono essere assunti poco prima dell’alimento che contiene lattosio, per facilitarne la digestione. Non sarà certo una soluzione definitiva, ma costituiscono un valido aiuto!