Lavoro, contratti di somministrazione: la Cgil Monza e Brianza denuncia abusi

3 marzo 2020 | 00:01
Share0
Lavoro, contratti di somministrazione: la Cgil Monza e Brianza denuncia abusi

Il sindacato di via Premuda è in trattativa con un’azienda del settore cosmetico che ha assunto, oltre i limiti di legge, personale a tempo indeterminato fornito da un’agenzia di lavoro.

Le parole hanno sempre un loro peso. Anche se spesso lo dimentichiamo. Quando, poi, si ha a che fare con la vita delle persone, le parole possono segnare la differenza tra dignità e sfruttamento. E’ il caso dei termini flessibilità e precarietà.

Il primo, quando applicato al mondo del lavoro, dovrebbe indicare, in un’accezione positiva dal sapore anglosassone, la capacità del mercato del lavoro di venire incontro ai ritmi di vita di chi ha un impiego. Che, a sua volta, è inserito in un meccanismo in cui, senza rinunciare alle tutele contrattuali e previdenziali, è facile cambiare mestiere più volte nel corso della propria vita professionale.

Troppo spesso, però, in Italia la flessibilità diventa precarietà, cioè mancanza di garanzie e prospettive. Sostanzialmente sfruttamento dei lavoratori. Succede, purtroppo, anche nella nostra produttiva Brianza. Dove non mancano le aziende in cui le regole e i diritti sindacali vengono aggirati, quando non rispettati.

In questo senso un campo ricco di esempi è la somministrazione di lavoro, una particolare tipologia di impiego con la quale un soggetto, il somministratore, tipicamente un’Agenzia di lavoro, mette a disposizione di un altro soggetto, l’utilizzatore, un’impresa pubblica o privata, uno o più suoi lavoratori dipendenti. Che sono assunti e pagati dal somministratore, quindi, per svolgere la propria attività sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore.

“Ci stiamo occupando di una piccola azienda “artigiana” della provincia di Monza e Brianza dove, a fronte di 13 dipendenti, sono utilizzati 64 somministrati da un’agenzia per il lavoro – denuncia Lino Ceccarelli (nella foto in alto), Responsabile Nidil (Nuove identità lavoro) e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza – di questi, 47 a tempo indeterminato e 17 a tempo determinato”.

Questi numeri, nella loro crudezza, restituiscono una situazione con molte criticità. “La scelta di chiedere 47 tempi indeterminati all’agenzia testimonia un’esigenza produttiva strutturale, quindi restare a 13 dipendenti diretti è una scelta di elusione delle norme vigenti, significa avere facilitazioni normative fiscali e contributive – continua – inoltre il rapporto di somministrazione prevede che l’utilizzatore, in questo caso l’azienda “artigiana”, possa da un giorno all’altro, senza alcuna motivazione, chiedere all’agenzia di ritirare uno o più somministrati dal posto di lavoro, e l’agenzia potrà poi licenziarli se non riesce a ricollocarli”.

Ma le incongruenze numeriche vanno al di là di un approccio etico e logico. “L’azienda viola consapevolmente la legge, che individua nel 20% del personale dipendente il limite per l’utilizzo di personale delle agenzie – spiega Ceccarelli – è facile vedere che 64 somministrati rispetto a 13 dipendenti è quasi il 500%!”.

Nello specifico dell’azienda “artigiana” brianzola in questione, per il sindacato di via Premuda, ci sono anche altre irregolarità. “L’azienda mente quando afferma che avere una quantità flessibile di personale è dovuto alla variabilità del mercato, intanto perché produce per la cosmetica, un settore non in crisi né soggetto a estrema e imprevedibile variabilità della domanda – continua – poi la variabilità si gestisce con le assunzioni a tempo determinato o con altri strumenti previsti appositamente da leggi e contratti collettivi nazionali”.

In questo caso nemmeno il ricorso alle categorie protette sembra giustificare il superamento del limite del personale somministrato. “Vale solo per i contratti a tempo determinato” specifica il Responsabile Nidil e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza.

Che attacca l’azienda brianzola anche perché “invece di applicare il contratto collettivo nazionale della chimica, in quanto fabbricano cosmetici, applica quello, peggiore, della metalmeccanica settore artigiano – spiega – ottenendo così un ulteriore improprio risparmio sul costo del lavoro, risparmio pagato dalle tasche dei lavoratori che guadagnano meno di quanto guadagnerebbero con l’applicazione del giusto contratto collettivo nazionale”.

Le tematiche sul piatto della bilancia dei diritti dei lavoratori, insomma, sono tante. Ma è ancora presto per dire dove il peso penderà di più. “Con l’azienda sembra si stia aprendo finalmente una trattativa, l’incontro già fissato è stato rinviato a causa dell’emergenza sanitaria del coronavirus (clicca qui– afferma Ceccarelli – confidiamo che si arrivi all’assunzione stabile dei lavoratori precari”.

“Questo caso testimonia il vero limite della gran parte dell’imprenditoria italiana, che è saper competere, troppo spesso e volentieri, non sulla qualità del prodotto e sull’efficacia e efficienza dell’organizzazione del lavoro, ma, semplicemente, sul costo della manodopera – continua – è necessaria un’opera di redistribuzione della ricchezza, perché sperare in una crescita dell’economia attraverso la domanda interna, ferma da anni, quando milioni di operai guadagnano intorno ai 1000/1300 euro netti al mese, è davvero una pia illusione”.