Economia

Smart working: la nuova dimensione del lavoro che ha bisogno di essere regolamentata

Smart Working

Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, in Italia, senza alcuna programmazione, è stato completamente riorganizzato il mondo del lavoro, una rivoluzione senza precedenti nella storia del nostro Paese. Milioni di lavoratori hanno improvvisamente abbandonato i propri uffici per lavorare da casa. Lo smart working, secondo l’opinione di molti economisti e sociologi, è diventato un fenomeno di massa, destinato a perdurare anche al termine dell’emergenza sanitaria. Secondo Enzo Mesagna, Segretario della UST Cisl, e Luigi Pitocco, responsabile ufficio vertenze Cisl, è una valida forma di lavoro che necessita però di una contrattualizzione, indispensabile per stabilire delle regole che rispondano ai bisogni dell’azienda e allo stesso tempo alle necessità del dipendente. MBNews ne ha parlato con entrambi in un’intervista.

 

Lo smart working, visto dall’osservatorio speciale dell’ufficio tecnico-legale della Cisl, com’è attualmente?

“Nelle ultime settimane stiamo registrando un incremento di richieste di informazioni e di confronto, da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, che memori dell’esperienza durante la prima ondata della pandemia, cercano ora di capire come poter accedere nuovamente a questa modalità di lavoro da remoto. Le ragioni sono principalmente legate alla gestione familiare o alle problematiche connesse ai trasporti. Spesso dunque l’input non parte dall’azienda”, spiega Pitocco.

“Ad oggi però, fatta eccezione per la pubblica amministrazione, per la quale con gli ultimi decreti lo smart working è stato disciplinato in maniera più organica, nel privato non esiste sicuramente un diritto soggettivo: il lavoratore non può quindi pretendere di trasformare la propria prestazione lavorativa in smart working, non essendoci situazioni di questo tipo già disciplinate con contratti individuali. Pertanto per tutte le richieste di questo genere che ci stanno pervenendo, è necessario che si trovi una conciliazione con le esigenze dell’azienda. Quello che sta emergendo dalle domande presentate è che nella realtà della Brianza, dove le aziende hanno sovente pochi dipendenti e una gestione più tradizionale, sono diverse risposte negative”, conclude Pitocco.

Come funziona invece per le richieste di smart working in presenza di patologie a rischio?

“E’ un capitolo a parte quello legato alle richieste per ragioni di salute, di cui fanno parte anche quelle di molti insegnanti, che si sono rivolti a noi per i rischi connessi alla fragilità frutto di patologie o dell’età. Queste sono tutto sommato le situazioni più facili da gestire, perché è il medico competente dell’azienda o della scuola che valuta la richiesta del dipendente e nel caso la ritenga idonea, provvede a fare una vera e propria prescrizione che viene inviata all’azienda, la quale a quel punto deve adeguarsi”, spiega Pitocco.

“Dal nostro punto di vista la situazione, a breve, diventerà decisamente più impegnativa, le richieste di smart working aumenteranno anche per via della scuola. Sono già molti i bambini e i ragazzi costretti a casa, per la presenza magari di un caso Covid in classe. Ecco, in queste situazioni però, è doveroso sottolinearlo, non è detto che l’azienda accetti in automatico la richiesta del dipendente di lavorare in remoto. Esiste però il congedo parentale Covid-19, fruibile per quarantena scolastica dei figli (di età inferiore ai 14 anni), dai lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato. Può essere richiesto anche per contagio avvenuto durante l’attività sportiva svolta presso società ed enti preposti. Per poterne usufruire, è pero indispensabile essere in possesso della dichiarazione rilasciata dal dipartimento di prevenzione dell’Asst territoriale. Tali congedi possono essere richiesti fino al 31 dicembre 2020 e vengono pagati al 50%. Sono esclusi tuttavia, gli autonomi e gli iscritti alla gestione separata dell’INPS, oltre ai genitori lavoratori dipendenti già in smart working”, aggiunge Pitocco.

Ci sono lavoratori che sono rimasti in smart working dalla prima ondata?

“Abbiamo delle tipologie di impresa in cui le persone sono rimaste sempre in smart working dalla prima ondata e nello specifico alcune mansioni, penso ad esempio a chi si occupa di contabilità o amministrazione. Ovviamente nelle medesime aziende, ci sono altre figure che invece, non appena è stato possibile, sono tornate operative in presenza”, chiarisce Mesagna.

Quali sono gli aspetti dello smart working che andrebbero migliorati e normati?

“Il problema più grande dello smart working è proprio l’assenza di una regolamentazione. Dalle segnalazioni che ci arrivano, emerge chiaramente la mancanza di orari stabiliti, riunioni fissate agli orari più improbabili. E poi emerge la questione della privacy: le conference fatte in video hanno un’invasività notevole in quella che è la sfera familiare”, spiega Pitocco.

“La violazione della privacy emerge anche in relazione all’utilizzo, da parte di molti datori di lavoro, di programmi che controllano la permanenza del dipendente online, gli orari in cui rimane sconnesso, il numero di chiamate a cui ha risposto, di pratiche lavorate etc. Il punto, come sosteniamo da tempo come Cisl, è che non è tanto un problema di legge, bensì di mancanza di contrattualizzazione, ovvero un accordo collettivo che in qualche modo garantisca una serie di tutele. Proprio qualche giorno fa Il Sole 24 ore ha pubblicato un articolo in cui spiegava alle aziende che tutti questi strumenti di controllo sono a rischio di denuncia per violazione dello statuto”.

“Sinora, il nostro ufficio che si occupa di vertenze, è giusto chiarirlo, non ha ancora portato avanti alcuna azione legale legata allo smart working, per il momento ci siamo limitati a offrire consulenze e informazioni. E’ altresì possibile che se dovesse stabilizzarsi questa tipologia contrattuale, a quel punto da un lato diventerà ancor più impellente la necessità di stringere accordi collettivi e di conseguenza anche individuali, dall’altro potrebbe emergere una nuova tipologia di contenzioso”, conclude Pitocco.

“E’ doveroso sottolineare che quello che c’è stato sinora è stato più che altro lavoro a distanza sotto controllo. Il nostro obiettivo deve essere dunque quello di riportare il tema dello Smart Working dentro l’alveo della contrattazione, non solo a livello Nazionale, ma anche a livello aziendale, per poter così stabilire dei paletti all’interno dei quali sia possibile muoversi da un lato garantendo le necessità aziendali e dall’altro un’adeguata tutela dei lavoratori”, aggiunge Mesagna.

“A riguardo siamo già riusciti a portare a casa dei buoni risultati, ad esempio, mi viene in mente una società che si trova nelle immediate vicinanze del territorio brianzolo: la TechnoProbe di Cernusco Lombardone, un’azienda che si occupa della produzione di schede elettroniche. Ecco con loro siamo riusciti a contrattualizzare la funzione dello smart working, quindi mettendo nero su bianco tutte le condizioni affinché il lavoro possa essere svolto secondo delle norme definite”, conclude Mesagna. 

Qual è l’incidenza dello smart working nella popolazione maschile e femminile?

“Non abbiamo al momento numeri precisi sull’impatto dello smart working sul mondo femminile, rispetto a quello maschile, tuttavia è facilmente intuibile che attualmente a usufruirne in maggior misura sia la manodopera femminile, sia perché si applica principalmente in ambiti amministrativi, sia perché purtroppo ad oggi spetta ancora alle donne il fardello della conciliazione lavoro/vita familiare”, replica Mesagna.

“Non dobbiamo poi dimenticare che lo smart working non è applicabile a ogni ambito del mondo lavorativo e a tutto il personale dipendente. Penso ad esempio al comparto produttivo che difficilmente è conciliabile con questa nuova modalità lavorativa. Per costoro la conciliazione famiglia/lavoro può essere risolta tramite l’utilizzo di altre soluzioni, come i congedi familiari”, sottolinea Mesagna.

Cosa accadrà nei prossimi mesi? Che ne sarà dello smart working, se il contagio continuerà a crescere e aumenteranno di conseguenza le restrizioni?

“Oggi ci troviamo dinanzi a una nuova ondata della pandemia, i numeri stanno crescendo esponenzialmente, ma a differenza di marzo, ora il nostro Paese non può più permettersi un altro lockdown. Concordo con Mattarella, quando dice, tutti abbiamo la nostra parte di responsabilità, perché tutto rimanga aperto, tuttavia credo che sia altrettanto doveroso che tutti si adoperino affinché il mondo del lavoro sia sicuro. Non possiamo accettare che le aziende e le fabbriche si trasformino in luoghi a rischio di contagio” precisa Mesagna.

“E’ questa quindi la direzione che va perseguita a monte di tutto il discorso. Dopodiché è chiaro che nella situazione attuale, in piena recrudescenza pandemica, dobbiamo cercare di alleggerire il carico di persone che circolano nelle città e che entrano nelle aziende. Ed è proprio qui che entra in gioco lo smart working, uno strumento fondamentale e prezioso che ci consente di ridurre in maniera netta la presenza di persone in giro, ma lo ribadisco, è fondamentale che le persone che adottano questa nuova modalità lavorativa ottengano quelle risposte di tutela di cui abbiamo parlato poc’anzi”, conclude Mesagna.

Foto: Pixabay

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