Didattica a distanza. Un modello che causa ansie e disturbi. Ne parla un’esperta del Cab polidiagnostico

22 dicembre 2020 | 06:33
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Didattica a distanza. Un modello che causa ansie e disturbi. Ne parla un’esperta del Cab polidiagnostico

La dottoressa Raffaella Cerutti dal Cab polidiagnostico fa un po’ il punto della situazione sulla didattica a distanza. Quali i principali problemi e quali le soluzioni?

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria non poche sono state le cose che hanno modificato il nostro modus vivendi e, ad accusare maggiormente il colpo c’è lei: la prima garante dell’istruzione e dell’educazione, la scuola. Da quando infatti la didattica in presenza è stata sospesa, le scuole e non con poche difficoltà, si sono viste costrette a mettere in atto una vera e propria rivoluzione per avviare, così come richiesto dalla normativa, le attività di didattica a distanza, la cosiddetta DAD.

Sulla DAD sono ormai diverse le criticità emerse in questi mesi. Ci sono problemi organizzativi e ci sono problemi informatici, legati ad esempio alle connessioni a volte scarse oppure al fatto che non tutte le famiglie hanno a disposizione più di un device. Ci sono poi, o meglio soprattutto, seri problemi legati allo stress, a fattori psicologici e, spesso, alla concreta impossibilità di poter insegnare nel modo adeguato. È quest’ultimo il caso di quei bambini o ragazzi affetti da DSA, il Disturbo Specifico dell’Apprendimento.

In tal senso,noi di MBNews abbiamo chiesto il parere di unʼesperta: la dottoressa Raffaella Ceruti, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta che da tempo collabora con CAB polidiagnostico, dove opera un team accreditato da ATS per la certificazione DSA.

La dottoressa Cerutti pone subito l’accento su una specifica questione: “Per quanto concerne un DSA è fondamentale la diagnosi precoce, che solitamente viene compiuta tra la fine del II o l’inizio del III anno di scuola elementare”.In tal senso La DAD, già nel corso del precedente anno accademico, ha provocato due principali criticità. “Da una parte – spiega la dottoressa – il tempo passato in aula non è stato sufficientemente empirico per poter valutare il bambino. Per questo, nel caso di bambini che presentino già delle fragilità intrinseche, potrebbe essere necessario più tempo per arrivare ad un’eventuale diagnosi di DSA. Infatti, sottoporre questi bimbi ai test valutativi, seppur nell’intervallo d’età standard, ma basandosi sulle poche ore di insegnamento effettuate in presenza, potrebbe esitare a false condizioni di DSA. In questi casi – prosegue la dottoressa Ceruti – abbiamo deciso di procrastinare all’anno prossimo le certificazioni, almeno per i casi in cui presentiamo dei dubbi, per poi sottoporre nuovamente i bambini ai test valutativi, una volta rientrati in una condizione educativa normale. In attesa di rivalutare i casi risultati borderline, è utile infatti avviare un percorso di rinforzo delle competenze di lettoscrittura e calcolo (percorso che si può effettuare presso CAB). In questo modo eventuali difficoltà ascrivibili a fragilità soggettive (es. tempi più lunghi di acquisizione di competenze specifiche) rientreranno, escludendo così una diagnosi di DSA. Diversamente – puntualizza la dottoressa -, qualora dai nuovi test somministrati si dovessero riscontrare criticità statisticamente significative, si potrà redigere una certificazione per DSA per la scuola, con elencate tutte le strategie compensative/dispensative del caso”.

La seconda criticità, invece, ha un aspetto più pratico e per questo non meno importante: “La DAD – chiarisce la neuropsichiatra infantile – non risulta efficace ai fini didattici poiché i bambini non ricevono gli stimoli giusti”. Per meglio comprendere quello che la dottoressa Raffaella Ceruti cerca di spiegare, è necessario porsi una domanda, cos’è un disturbo specifico dell’apprendimento?

“Solitamente – spiega la Ceruti – sono legati a bambini con un quoziente intellettivo nella norma e più spesso medio alto, ma che non hanno una strategia di apprendimento efficace. Questo fa sì che spesso si sentano demotivati e che disinvestano sulla scuola. Non perché siano pigri o svogliati, ma più semplicemente perché si accorgono di far fatica e non riescono a verbalizzare questa loro difficoltà“.

Ecco dunque che in un regime di didattica a distanza il bambino viene letteralmente sovraesposto ad un insieme di stimoli e sollecitazioni che lo distraggono. L’insegnante non è lì al suo fianco né può adottare degli accorgimenti preventivi. La fatica e le difficoltà del bambino, davanti ad un computer, accrescono. “In queste circostanze – sottolinea la dottoressa Ceruti – è importante che il bambino riesca comunque a proseguire il proprio percorso terapeutico, magari rivolgendosi a specialisti”.

C’è inoltre da chiarire come La DAD abbia interrotto un processo fondamentale, soprattutto per i più piccoli: la socialità. “Si tratta di un elemento molto importante – sottolinea la dottoressa Ceruti – la cui interruzione ha causato nei bambini la perdita di stimoli. L’ho visto accadere soprattutto nei bambini delle elementari: bambini anche bravi, curiosi  e desiderosi di apprendere, ma quando sono stati esposti alla DAD si sono demotivati e svogliati  moltissimo, proprio perché il legame umano è fondamentale”. Un problema di non poco conto, insomma, soprattutto se si considera il fatto che formazione non significa solo mettere assieme nozioni e contenuti. La scuola è piuttosto un luogo dove si educa al sapere e gli studenti devono essere messi al centro di questo sistema, nell’ottica di un apprendimento di tipo emotivo.

Questo potrebbe essere vero, soprattutto se si considera che le scuole sono tra i luoghi più sicuri, tutelati e tutelanti viste le azioni con le quali vengono messe in atto le misure anti Covid. “Il problema – testimonia la Ceruti – sono piuttosto i trasporti, ossia il come raggiungere il plesso scolastico”.

Inoltre, così come spiega la dottoressa Ceruti, la particolare situazione sta creando un esponenziale incremento di disturbi d’ansia:  E se da una parte non si può necessariamente delineare una stretta correlazione causa effetto (virus – DAD – ansia) nei bambini più fragili, questo è sicuramente stato un fattore latentizzante. “Stare a casa – ribadisce la dottoressa Ceruti – per un ragazzino è deleterio. Perciò prima riaprono le scuole meglio è, perché altrimenti ci ritroveremo a fare i conti con disturbi d’ansia o d’ansia sociale.

I problemi che la DAD sta causando sono molteplici. Soprattutto in ambito famigliare e sociale. Tuttavia nel pensare ad una riapertura la parola cautela è la prima cosa che dovrebbe venire in mente. Piuttosto andrebbe adottato un vero ripensamento del sistema, soprattutto per consentire un rientro stabile e sicuro. Un modello, insomma, che dovrebbe essere subordinato a modalità concordate e condivise e che presuppongono la collaborazione di tutti gli attori chiamati in causa: i genitori, i dirigenti scolastici e gli enti politici. “In tal senso – conclude la dottoressa Ceruti – sarebbe utile fornire la possibilità ai bambini di  poter predisporre di supporti mirati tramite gli psicologi della scuola”.