Mirko Grassi, 33 anni, racconta il dramma dei ristoratori: “Basta divieti, ma non serve la protesta #IoApro”

14 gennaio 2021 | 10:45
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Mirko Grassi, 33 anni, racconta il dramma dei ristoratori: “Basta divieti, ma non serve la protesta #IoApro”

Per l’imprenditore monzese la disobbedienza del 15 gennaio non è la soluzione: “Bisogna usare la testa e far capire che i ristoranti sono sicuri”

E’ arrivato il momento del conto per i ristoranti. L’ultima portata dell’emergenza sanitaria è stata servita per la categoria dei ristoratori, un settore allo stremo che è pronto alla disobbedienza, alla sfida contro lo Stato, pur di sopravvivere.  E’ la vigilia della protesta riunita dall’hashtag #IoApro, un movimento che negli ultimi giorni ha raggiunto un seguito di centinaia di migliaia di ristoranti in tutta Italia che si dichiarano pronti a riaprire il 15 gennaio nonostante i contini rinnovi dei divieti imposti dai Dpcm. E’ il segnale che è stato raggiunto il limite: restare ancora chiusi o racimolare qualcosa con l’asporto per molti vuol dire morte certa, e allora tanto vale riaprire, rischiare, protestare, vedere come va.

Ma non è l’opinione di tutti ed è un giovane ristoratore monzese a voler intervenire per dire che disobbedire il 15 gennaio non è la strategia giusta da seguire. “Bisogna usare la testa, non fare la protesta se vogliamo sopravvivere. Perché lo Stato fa le multe, ti fa chiudere lo stesso e poi non si risolve nulla”, commenta Mirko Grassi che ha 33 anni e quasi metà li ha passati dietro ai fornelli a Monza. Prima, da quando ha 18 anni, come cuoco e poi mettendosi in proprio gestendo la ristorazione allo Sporting, poi il ristorante Met80 e ora, da un paio d’anni, la società di catering “Md Food & Services srl” con 8 dipendenti, più una quarantina di altri collaboratori che vengono coinvolti a seconda degli eventi seguiti.

Le difficoltà sono gravi, l’attività di Grassi è ferma da 11 mesi e “bisogna farci sentire, denunciare che siamo al limite e coinvolgere tutte le realtà del territorio, anche gli enti locali e i politici, perché vengano cambiate le regole e ci venga permesso di riaprire i ristoranti e tornare a lavorare”. Grassi spiega che è stato superato il punto del non ritorno e se non si torna a lavorare, per una realtà come la sua, c’è solo il fallimento. “Non sono certo l’unico. Per esempio l’altra mattina – racconta Mirko – ero in banca e, mentre attendevo il mio turno, si sono iniziate a sentire delle urla provenire da un ufficio. Si è sentito tutto: era il titolare di un ristorante, urlava perché era disperato, perché la banca gli aveva appena comunicato il ritiro della carta di credito e la richiesta di rientrare del fido. Ho capito subito come si sentiva quel ristoratore anche se non lo conoscevo perché anche a me hanno ritirato la carta di credito. Adesso per le banche i ristoratori sono diventati clienti non più affidabili: pochi mesi fa eravamo clienti con cui fare affari, ora dicono “no” a ogni richiesta e ci tagliano il credito. E così è la nostra fine”.

Ma per Mirko la strada della protesta del 15 gennaio e della disobbedienza anche contro regole che non sono per nulla condivise né considerate corrette non è quella giusta. “Bisogna tentare ancora di far capire la situazione di un settore importante come la ristorazione, portare i nostri rappresentati ai tavoli delle decisioni, e arrivare a dare regole chiare e possibilità di lavorare. Perché i ristoranti sono sicuri, si sono attrezzati per garantire le disposizioni anticovid, si applicano le distanze, il personale segue le regole, tutto è sanificato e dopo 11 mesi le chiusure non sono più la soluzione”.

E serve un vero sostegno alla categoria perché “finora gli interventi del governo non sono stati sufficienti: il mio fatturato è zero da 11 mesi e ricevere 25mila euro di contributo non cambia nulla quando, per esempio, solo d’affitto per i locali di lavoro si pagano 50 o 60 mila euro l’anno. E poi ci sono le bollette, i dipendenti e tutto il resto”. La richiesta di Mirko è la possibilità di poter riprendere l’attività secondo un piano di lungo periodo, regole chiare per lavorare in sicurezza, e non un continuo apri e chiudi senza prospettive. “Un’attività come la mia è sull’orlo del fallimento e ho solo rispettato le regole che mi sono state imposte. Lo Stato non può non capire questo e non fare nulla per cambiare”.