Chiusura scuole, parola ai docenti: “La comunicazione ha generato il caos.”

“Eravamo pronti tecnicamente ma non psicologicamente, soprattutto per gli studenti è stato un trauma. Non è il modo di fare.”
C’è una frase molto famosa e che non ha bisogno di presentazioni. “Tutti sono stati bambini una volta … ma pochi se lo ricordano”. Una frase che è più che mai attuale, in un epoca in cui in molti lamentano il fatto che i bambini siano stati dimenticati in tutte le scelte prese nel fronteggiare l’emergenza sanitaria protagonista delle nostre vite da oramai un anno. Gli stessi bambini e ragazzi che, da oggi, a seguito dell’ordinanza firmata nella tarda mattinata di giovedì 4 marzo dal Presidente Attilio Fontana, sono a casa in didattica a distanza.
“I dati sono in costante aumento con una forte presenza della variante inglese che coinvolge in particolare le scuole. È quindi necessaria una scelta decisa e rapida a protezione di ragazzi e famiglie”. Con questa nota stampa Fontana ha divulgato la notizia. Notizia che non è stata presa particolarmente bene, soprattutto dai genitori, che con un preavviso di poche ore – anche se il provvedimento di chiusure si annusava nell’aria già da qualche giorno – si sono trovati in difficoltà manifestando il loro dissenso soprattutto sui social.
Una chiusura prevista, ma arrivata come un fulmine a ciel sereno
Scelta giusta oppure no? Lo abbiamo chiesto a chi negli asili e nelle scuole ci lavora: docenti e dirigenti del territorio. Uniti, in particolare, su un fronte comune: la cattiva comunicazione. Ancora prima dell’ordinanza ufficiale, la notizia della nuova chiusura circolava ufficiosamente e questo – come confermano molte delle maestre con cui abbiamo parlato – ha creato solo panico nei genitori. “Siamo state subissate di messaggi di mamme preoccupate e che ci chiedevano conferma o meno delle notizie che circolavano”.
Tutti, infatti, si aspettavano la chiusura per lunedì. Invece, genitori e insegnati hanno dovuto accelerare i tempi. E tra personale docente e famiglie serpeggia il dubbio che la decisione rapida di chiudere sia probabilmente stata presa per bloccare l’esodo del fine settimana, ma anche per ragioni strettamente politiche.
“Nel pomeriggio di ieri dopo la notizia ho cercato di preparare i bimbi allo stacco di frequenza. Ho ancora davanti il loro visi mentre cercavo di interpretare le loro espressioni. Mi hanno detto di aver capito “per un po’ non ci possiamo vedere a scuola”. Ma poi la domanda: “maestra? Ma domani possiamo fare ancora questo gioco ?– ci racconta Doremia Motta, maestra alla scuola dell’Infanzia Fratelli Casanova di Capriano di Briosco – Inutile, la loro voglia e necessità di stare insieme è più forte di qualsiasi altra ragione. Per me è stata una stretta al cuore indicibile!”.
Pensiero condiviso dalle colleghe, Sonia Bosisio e Marta Sironi, che aggiungono un commento sulla questione vaccini: “occorre vaccinare tutti senza fare distinzioni tra insegnanti di scuole statali e insegnanti di scuole paritarie. Questo è assurdo! Il vaccino è l’unica soluzione per ritornare alla normalità. La scuola e la salute sono diritti sanciti dalla costituzione, non possiamo proprio rinunciarvi – affermano – se si ferma la scuola si ferma il mondo del lavoro”.
Comunicazione poco efficace
Non solo una comunicazione poco efficace ma anche confusionaria, come afferma Anna Podestà, proprietaria dell’asilo Green Dada e mamma di tre figli: “L’anno scorso i nidi sono stati i primi a chiudere, mentre ora sono gli unici aperti, come se dai 3 anni in su c’è il rischio di ammalarsi mentre sotto i tre anni no – commenta – tra l’altro, i nidi ospitano bimbi nella fascia di età 0 – 3 anni, compiuti in anno accademico: cioè i bimbi che compiono i tre anni entro giugno sono al nido e possono continuare in presenza mentre, paradossalmente, un bimbo magari della stessa età, iscritto all’Infanzia deve stare a casa. O tutti o nessuno”.
E aggiunge: “il problema è che se per per i bambini delle elementari si può parlare di didattica a distanza per i più piccoli è diverso. Per loro la scuola è esperienza, socialità.”
Tanta confusione anche sulla clausola di “apertura speciale” divulgato ieri dal Pirellone che recita: “Il ministero dell’Istruzione ha già dato indicazioni ai dirigenti scolastici affinché sia garantita la frequenza in presenza per gli studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”.
Un provvedimento forse poco chiaro tanto che il Comitato Educhiamo ha subito deciso di scrivere una lettere a Regione Lombardia chiedendo delle specifiche perché “riteniamo opportuno e necessario, nonchè doveroso, informare le famiglie che usufruiscono dei servizi scolastici di questa possibilità e procedere, insieme a loro in qualità di comunità educanti, in tal senso”.
“Ma la norma è chiara – sottolinea Angela Paladino, dirigente della scuola bilingue Yieschool di Vedano al Lambro – i figli appartenenti alle categorie indicate possono andare a scuola: ma attenzione! Andare a scuola non significa che saranno in aula con un’insegnante mentre il resto della classe è a casa perché questo significherebbe fare didattica mista e non è consentita – spiega – questi bambini e ragazzi possono usufruire dell’istituto scolastico come punto d’appoggio, sorvegliati, ma saranno comunque in dad come il resto dei compagni. Questa chiusura ce la aspettavamo tutti – conclude – eravamo pronti tecnicamente ma non psicologicamente, non lo si è mai. Voglio solo dire una cosa: le scuole hanno fatto di tutto per rendere sicuro l’ambiente, ma il comportamento delle famiglie e degli alunni all’interno degli Istituti deve essere coerente con quello fuori dalla scuola, altrimenti è uno sforzo inutile. Sicuramente il virus è variato così come varieranno le normative di sicurezza, ora non ci resta che augurarci di non dover aspettare troppo prima di poter riaprire.”