Monza, all’Adac lavoratori sempre in bilico: ecco la storia di Diana, una mamma single

Questa donna rischia di perdere il posto per colpa delle delocalizzazioni. Il 27 novembre porterà anche sua figlia alla manifestazione contro la manovra finanziaria. Per lo stipendio in Adac, ma anche per un futuro più giusto.
Rischiare di perdere il lavoro che le piace, far fatica a pagare l’affitto di casa e ad arrivare a fine mese, portare avanti una battaglia di giustizia sociale anche per garantire un futuro più giusto a sua figlia. C’è tutto questo, ma nella forza interiore delle proprie emozioni anche molto di più, nella storia di Diana Monika Layer, delegata Filcams CgilAdac Monza.
Questa donna di 44 anni, tedesca di nascita, ma da oltre 31 anni in Italia, è una delle vittime, sconosciute al grande pubblico, della vicenda che vede protagonista da mesi l’Automobile club tedesco. Che, per la sua sede italiana, situata a Monza in via Borgazzi, ha annunciato un taglio di personale di massimo 16 persone a causa di delocalizzazioni di funzioni operative e amministrative in altri Paesi europei.
Sugli esuberi del cosiddetto piano ANS 2.0, dopo lo sciopero dei lavoratori di inizio agosto e la decisione del Tribunale di Monza di rigettare il ricorso per comportamento antisindacale presentato contro l’Adac, che secondo la Cgil aveva sostituito i dipendenti in sciopero con quelli di altre sedi della società, le trattative sono ancora in corso. E la decisione definitiva, almeno fino al 31 dicembre, resterà sul filo del baratro.
TAGLI DOLOROSI
“Abbiamo usufruito della cassa integrazione da inizio anno fino a giugno, poi con il recente accordo tra le parti stiamo usufruendo delle 13 settimane dell’ammortizzatore sociale Fis (Fondo d’integrazione salariale) e della clausola di non licenziamento fino alla fine del 2021” spiega Diana, che lavora in Adac dal 2016, dove si occupa della gestione delle pratiche dopo i primi soccorsi agli automobilisti.
“Negli uffici di Monza, nella centrale operativa, siamo attualmente circa 45 dipendenti, per la maggior parte donne tra i 40 e i 45 anni, mentre fino ad un anno e mezzo fa, quando è cominciato questo progetto di ristrutturazione che comporta la delocalizzazione in Grecia e Spagna di alcune funzioni operative svolte in Italia e in Germania della parte amministrativa, eravamo 76” continua la mamma single.
Eppure nel 2021 i numeri dell’attività di Adac nella sua sede italiana di Monza, che in generale ha oltre 22 milioni di affiliati e fornisce assistenza stradale a tutti i tedeschi che vengono in vacanza nel nostro Paese, sono stati molto positivi. “Da gennaio ad ottobre abbiamo elaborato 20.500 casi e ricevuto oltre 70mila telefonate, anche perché questa estate c’è stato un exploit dei turisti provenienti dalla Germania” afferma la delegata Filcams Cgil Adac Monza.
FUTURO INCERTO
Per Diana, come per molti suoi colleghi, il presente è ricco di preoccupazioni. E il domani lo è ancora di più. “Nonostante si abbia un lavoro che piace ci si ritrova poveri, sia di possibilità economiche personali sia nei confronti dei nostri figli – spiega – io ho un contratto misto, cioè non full time per i 12 mesi dell’anno, sono monoreddito e vivo in affitto vicino a Peschiera Borromeo, quindi anche con spese per gli spostamenti con la macchina da e verso Monza. Ho una figlia di 12 anni e non ho nessun aiuto da parte di mio marito non perché non sia una brava persona, ma perché abbiamo stabilito di gestire nostra figlia a metà”.
“In Adac ho colleghi che attualmente percepiscono circa l’80% dello stipendio e quel 20% in meno decisamente si sente – continua – non possiamo pagare noi l’eccessivo costo del lavoro e la burocrazia in Italia che sono le vere ragioni che spingono una multinazionale come l’Automobile club tedesco a delocalizzare”.

Nonostante la situazione difficile, Diana, che ha un diploma di perito turistico, non prende in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia e tornare in Germania, dove vive ancora sua mamma. “Non è assolutamente tra le cose a cui sto pensando – afferma – la mia vita è qui dove mi sono costruita la mia famiglia e dove, nel caso dovessi perdere il lavoro in Adac, proverò a spendere le competenze formative e professionali in mio possesso”.
La scelta di restare significa anche continuare a lottare per difendere il proprio stipendio, ma anche perché la politica si assuma le proprie responsabilità e scenda in campo al fianco di chi lavora e fatica perfino ad arrivare a fine mese. Ecco perché anche Diana sarà in piazza sabato 27 novembre davanti all’Arco della Pace a Milano per la manifestazione regionale indetta da Cgil, Cisl e Uil nell’ambito della mobilitazione nazionale per modificare le misure previste nella bozza della manovra finanziaria.
“Porterò con me anche mia figlia perché è importante coinvolgere i giovani in queste battaglie che sono per il presente, ma anche per il futuro – sostiene la delegata Filcams Cgil Adac Monza – dobbiamo far sentire la nostra voce, la politica deve fare scelte di giustizia sociale per il mondo del lavoro e per le pensioni ed evitare di sperperare le risorse in azioni che non sono efficaci”.