“No Green Pass”, anche in Brianza i locali che non lo chiedono: “Scelta contro uno strumento divisivo”

18 febbraio 2022 | 10:53
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“No Green Pass”, anche in Brianza i locali che non lo chiedono: “Scelta contro uno strumento divisivo”

Ogni giorno decine di migliaia di italiani si scambiano informazioni su ristoranti che non chiedono il green pass in una chat di Telegram.

Dai bar ai ristoranti dai negozi, ad esclusione di quelli essenziali: il Green Pass è ormai necessario per fare quasi tutto. Dal 15 febbraio il documento che attesta l’avvenuta vaccinazione o la guarigione dal virus è obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro, pena la sospensione dello stipendio. Sul web impazzano le chat critiche sull’utilizzo esteso di questo strumento. Il gruppo Telegram “Esercenti no green pass“, attivo da agosto, conta ad oggi oltre 30mila iscritti: tra i materiali condivisi, anche una mappa virtuale dell’Italia dove sono localizzate le attività suddivise per colore: blu quelle dove non c’è controllo del titolare, rosse con la croce dove invece è obbligatorio esibire il pass, nere quelle che hanno dovuto abbassare la saracinesca. Sullo sfondo rabbia e frustrazione per non “chiudere bottega”. In Brianza sono una decina le attività tra Monza, Lissone e Seveso che compaiono nella mappa.

“PUNITO PERCHE’ MI SONO SCHIERATO”

A Seregno il laboratorio alimentare “Cibo Vivo” è aperto dal novembre 2019, pochi mesi prima dello scoppio della pandemia: “Ho sempre tenuto aperta l’attività – racconta il titolare Francesco Setti – Dopo la fase due ho organizzato i primi eventi quando pensavo ci fosse bisogno di ritornare a respirare, ad incontrarsi, eventi che sono scemati durante l’estate perché in molti sono andati via dalla Brianza. Ho ripreso da poco ora con incontri e degustazioni di vini, salumi e formaggi”.

Generico febbraio 2022

Come negozio di alimentari, il titolare del negozio di via Giusti non è tenuto a chiedere il green pass ai clienti avendo cibi essenziali per allergici e intolleranti: “Ma se avessi un ristorante non andrei a chiederlo, per una questione di privacy. Ritengo siano richieste governative al limite della legalità. Questo strumento ha diviso le persone e questo rende difficile il commercio specialmente se uno decide di schierarsi. Un sacco di persone hanno smesso di venire in negozio e sono costretto a fare orari di lavoro improponibili”.

E sulle prospettive future aggiunge: “Ero partito pessimista, durante la prima fase uno avevo immaginato che l’emergenza sarebbe durata un paio di anni. Tanti concorrenti nel frattempo hanno chiuso, chi perché è andato in pensione, chi perché è stato sfiancato dalla fase uno. Sono rimasto quasi senza concorrenza sul territorio e questo mi permette di sopravvivere in qualche modo”.