L’imprenditore in fuga con la famiglia dall’Ucraina: il miracolo di Gianmarco Failla

L’Ucraina per lui ormai era diventata la sua vita. Viveva a Kiev da 15 anni, lì aveva tutto, famiglia, casa e aveva fondato 7 anni fa un colosso dell’e-commerce. “Aiutiamo l’Ucraina, ma non con le armi.”
Ore 5.30 di mattina un forte boato risveglia la città di Kiev. Fra i quasi tre milioni di abitanti c’è anche Gianmarco Failla, 42 anni, italiano originario di Palermo. Viveva in quella città con la sua famiglia, poi la fuga. Lo abbiamo incontrato ieri, 10 marzo, quando era di passaggio ad Arcore e ci ha raccontato il suo lungo viaggio per scappare dalla guerra. Un’odissea che fino a pochi giorni fa mai avrebbe immaginato di dover intraprendere.
GIANMARCO FAILLA
L’Ucraina per lui ormai era diventata la sua vita. Dopo una gioventù passata in giro per il mondo, grazie alla sua carica di presidente per Aegee dove ha realizzato progetti di integrazione culturale finanziati dalla comunità Europea, è approdato in Ucraina proprio per via di uno scambio culturale e lì è stato amore per la città di Kiev. E poco tempo dopo fu amore per la seconda volta quando conobbe anche sua moglie. E lì ha vissuto per 15 anni.
A Kiev aveva tutto, famiglia, casa e la sua azienda che si era costruito con intenso lavoro, intuizione e anche un po’ di genialità. Un mix di ingredienti che in 7 anni l’hanno portato ad essere con agoradiscount.com il secondo sito di e-commerce del Paese, un colosso del commercio online con un catalogo di 4.500 prodotti con 150-200 vendite al giorno. Nelle sue parole si percepisce subito la passione per il suo lavoro, ma soprattutto l’amicizia e l’affetto verso i suoi dipendenti, 18 in totale più 5 free lance, di cui molti ancora là, che in pochi giorni si sono trovati da programmatori ed esperti IT a soldati in prima linea con k47 in mano. Prima di allora non avevano mai visto un’arma.
IL VIAGGIO INFINITO
“Anche quando si erano avvertite le prime tensioni e l’ambasciata mi aveva contatto per invitarmi a lasciare Kiev non mi ero preoccupato più di tanto, di tensioni negli anni ce ne sono state diverse, ma nessuno si aspettava la guerra – racconta Failla -. Così ho continuato la mia vita normale: pianificavo investimenti, nuove assunzioni, questo fino a mercoledì. Solo giovedì mattina ho capito cosa stava succedendo e pensare che noi dovevamo andare in vacanza venerdì a Palermo e avevamo già i biglietti”.
Il primo missile sull’aeroporto militare Zhuliany, a soli 5 km dalla casa della famiglia Failla ha cambiato, stravolto il loro mondo. “Appena ho aperto i media in pochi minuti ho capito cosa stava succedendo. Dissi a mia moglie di preparare le valigie per sicurezza e sono sceso in strada per valutare la situazione e già lì ho visto la coda ai supermercati. Allarmato ho iniziato a telefonare ai colleghi, e alle parole del mio braccio destro “ci stanno attaccando” ho detto a tutti i dipendenti di restare a casa e sono corso in azienda per sistemare le ultime cose, togliere la luce e chiudere il magazzino, ma nella fretta mi sono dimenticato le chiavi!”. Quindi magazzino aperto? “Il mio viaggio è stato un miracolo mi sono successi fatti veramente strani, tra cui la fortuna di ritrovare a Budaspest un mio dipendente, anche lui fuggito, che ha recuperato le chiavi in azienda se le è portate appresso e me le ha riconsegnate”.

Un viaggio rocambolesco con un’auto tenuta insieme per miracolo. “Era anni che mi dicevo che avrei dovuto comprarmi un mezzo nuovo, ma ho preferito dare la priorità al business: erano mesi e mesi che rimandavo l’acquisto, così ci siamo trovati a partire con una vecchia e scassata Mitsubishi Lancer comprata 12 anni fa, che di spazio ne ha ben poco. La scelta più difficile è stata lasciare il cane, proprio non ci stava – ci confessa con le lacrime agli occhi – Ho valutato anche l’ipotesi di partire con due auto, usare anche quella di mia moglie, ma già circolavano notizie della mancanza di benzina, così ho portato Jordan in un villino di mia proprietà vicino a Kiev, ho fatto le scorte di cibo per lui e ho chiesto a un vicino di accudirlo. Fino a ieri ho avuto notizie che stava bene, ma temo per il futuro, quando il cibo inizierà a scarseggiare”.
E mentre gli occhi dell’imprenditore si fanno rossi, il racconto del suo rocambolesco viaggio in cinque in auto con un bambino di due anni e uno di 11 è solo all’inizio. Il timore che li ha accompagnati fino alla frontiera è che la suocera potesse essere fermata alla frontiera perchè sprovvista dei giusti documenti. Ma determinato come non mai per mettere il prima possibile in salvo la sua famiglia, perchè oramai c’era sempre di più la certezza che la situazione sarebbe solo peggiorata nelle ore successive (e così è stato!), Failla ha sbrigato velocemente le ultime faccende, caricato le valigie, cambiato i soldi e alle 3 del pomeriggio ha puntato l’auto verso Vinnycja a 50 km dalla capitale, per poi raggiungere il confine con la Moldavia. “Subito durante questo primo tragitto ci siamo resi conto che le cose stavano sempre più precipitando, non trovavamo posti per dormire, così non ci siamo fermati a Vinnycja e abbiamo deciso di tirare dritto verso il confine dove mi sono trovato davanti una coda di 5 chilometri che non avanzava mai. Dalle 4 di notte alle 9 del mattino avevamo percorso solo 20 metri, così lì presi un’altra decisone importante, correndo anche il rischio di restare senza benzina perchè quasi tutte le stazioni di servizio ne erano ormai sprovviste: puntare l’auto verso Ivano-Frankivs’k nell’Ovest del Paese a 300 chilometri di distanza. Da lì partono diverse vie per raggiungere il confine e poi in città avrei potuto recuperare quei documenti che ci servivano per attraversare il confine”.
Giunti nella nuova città però le cose per loro non sono andate meglio: hotel ancora una volta presi d’assalto. Dopo lunghe ricerche, nella campagna circostante hanno trovato un piccolo motel dove si sono rifocillati e riposati un poco, ma sempre con i rumori della guerra nelle orecchie. Gli aerei non hanno mai smesso di volare sopra di loro e solo il giorno prima avevano bombardato l’aeroporto militare. Venerdì e sabato notte sono rimasti lì e durante il giorno Failla si è dato da fare per recuperare i documenti mancanti. Così domenica mattina sono risaliti in auto e sui Carpazzi hanno puntato verso il confine con la Romania. “Quando siamo giunti a Solotvino, pensavo che l’incubo fosse finito e invece è stato solo l’inizio di uno nuovo: abbiamo aspettato 23 ore per passare il confine. Lì ho visto la vera miseria umana. Fino a quel momento viaggiando in auto non avevo notato il flusso di persone scappare a piedi, ma lì ho visto un fiume di mamme e bambini camminare sul ciglio della strada, alcuni veramente piccoli. Era solo l’inizio di questo esodo. Queste donne se ne stavano lì in piedi al freddo anche di notte, ma per fortuna c’era anche tanta gente del paese che le aiutava. I bambini mi hanno strappato il cuore, ti chiedevano solo un biscotto, è un’immagine che non potrò mai cancellare dalla mia mente. Ho passato anch’io la notte ad aiutare come potevo, comprando e distribuendo cibo. Alla mattina finalmente siamo giunti in Romania e lì ho trovato un popolo dal grande cuore, a ogni nostra sosta c’è stata gente pronta ad aiutarci“.
L’ARRIVO A BUDAPEST
Ma la destinazione della famiglia Failla era Budapest, così dopo 6 ore al nuovo confine sono giunti in Ungheria. Ritrovato un caro amico italiano solo lì si sono sentiti veramente salvi. In città la famiglia è rimasta 5 giorni, dove Gianmarco ha anche ritrovato la ragioniera che era fuggita in auto con il figlio e il magazziniere, che gli ha riconsegnato le chiavi. “Gli altri dipendenti al momento sono ancora a Kiev e sto cercando di aiutarli come posso, gli ho donato il capitale che c’era sul conto in banca” – spiega l’imprenditore. Al momento l’azienda è chiusa, uffici e magazzino sono ancora in piedi, Failla li controlla dal cellulare con le telecamere, il sito è ancora online ma è fermo.
L’ABBRACCIO DI AMICI E PARENTI ITALIANI
Ultima tratta fatta martedì Budapest-Arcore, dove Failla si è fermato da una cara amica conosciuta un anno fa a Kiev durante una fiera. Letizia Landrini, questo il nome dell’imprenditrice di Villasanta, che da quando è scoppiata la guerra si è subito mossa per sapere come stava e gli ha offerto il suo aiuto. Solo parole belle quelle pronunciate da Letizia nei confronti dell’uomo che la stava aiutando nel suo progetto di business in Ucraina.
Totale chilometri percorsi fino al 9 marzo, 2.600. A questi vanno poi aggiunti anche quelli dell’ultimo passaggio verso Genova e poi in traghetto fino a Palermo, dove Failla potrà riabbracciare sua sorella e suo padre.
L’APPELLO
Incontrato solo per poche ore, si è capito subito che dietro quest’imponente uomo c’è grinta e determinazione. La guerra l’ha sicuramente messo alla prova facendo crescere in lui tanta rabbia e dolore che però lui ha già deciso come incanalare: “Voglio costruire qualcosa per aiutare il popolo ucraino, forse una fondazione”. E prima di salutarci Failla fa un ultimo appello: “Qualsiasi ucraino che è fuori dai confini e che lo può fare, ha il dovere di aiutare la sua patria, ma non con le armi, il mio invito è farlo attraverso assistenza e aiuti. Non credo alle armi, credo nella diplomazia. Cerchiamo di spingere l’Europa e l’America a fare questo”.