
Al “Paese Ritrovato” di Monza, Fondazione Roche e Cooperativa La Meridiana hanno organizzato un momento di confronto sull’impatto sociale e sanitario delle malattie neurodegenerative e delle demenze, sempre più in aumento.
L’affanno, ma anche la cura, l’attenzione, la dignità. Sono le parole più usate dai relatori dell’evento “La presa in cura delle fragilità – Malattie neurodegenerative e demenze, impatto sociale e sanitario” che si è tenuto giovedì scoso al “Paese Ritrovato” di Monza, per iniziativa di Fondazione Roche e Cooperativa La Meridiana. Un momento di riflessione dedicato alla cura delle fragilità, in un luogo particolare, il “Paese Ritrovato”, il primo “villaggio” in Italia dedicato alle persone con Alzheimer e demenza, gestito dalla Cooperativa La Meridiana. “Quello che voi fate è importantissimo – ha detto in un videomessaggio la Ministra per la Disabilità Alessandra Locatelli – .Ringrazio di cuore chi opera ogni giorno per garantire a tutti una vita più dignitosa.Noi continueremo a sostenere iniziative come questa, che mettono al centro la persona”.
La cura anche nella sua dimensione affettiva
“Curare significa affannarsi, essere travolti da un’esperienza che per certi versi tormenta – ha sottolineato il Cardinale Gianfranco Ravasi in un videomessaggio – La cura non è solo da un punto di vista medico, ma coinvolge anche la dimensione antropologica e affettiva: è molto importante chinarsi, avvicinarsi all’altro, anche quando è faticoso”. “Le statistiche e la sociologia indicano con chiarezza come dovrà cambiare la presa in carico delle fragilità, intesa tanto come ‘cure’ quanto come ‘care’. E quindi non solo pura preparazione professionale, ma anche una proposta qualificata di atteggiamenti psicologici verso le persone fragili: dolcezza, attenzione, pazienza. Non solo virtù personali e volontaristiche, bensì scelte terapeutiche” ha affermato Maria Pia Garavaglia presidente della Fondazione Roche.
La scommessa del “Paese Ritrovato”
Roberto Mauri, presidente della Cooperativa La Meridiana, ha ricordato la “scommessa” del Paese Ritrovato, che compie 5 anni. Oltre ad un’adeguata assistenza medica, i malati hanno a disposizione tutta una serie di cure non farmacologiche, iniziative culturali, ludiche, espressive.“ Volevamo trovare un luogo per persone non così compromesse da andare in Rsa ma che non possono stare a casa da sole. Ci stiamo riuscendo. Anche grazie alla generosità dei privati: il 70 per cento degli 11 milioni spesi ci è stata donata, sono risorse insostituibili. La soddisfazione maggiore è il sorriso delle persone che sono qui: è un sorriso che allarga il cuore”.
L’Alzheimer, una malattia sempre più diffusa
Le malattie come Alzheimer e demenza saranno sempre più diffuse in futuro. Si stima che nell’arco della vita una persona su tre sia destinata a sviluppare una malattia neurologica. L’Alzheimer in Italia oggi colpisce 600 mila persone. L’ncidenza passerà dai 204.584 nuovi casi all’anno del 2020 ai 288.788 del 2040. Lo ha sottolineato il professor Lorenzo Mantovani direttore del Centro dipartimentale di studio sulla sanità pubblica dell’Università Bicocca di Milano: “L’Alzheimer è crescente. L’Italia è un Paese che invecchia. Per le demenze, ci sono già due Paesi al mondo che hanno un forte carico di questa malattia. Sono Italia e Giappone, le due popolazioni al mondo più longeve. La nostra è una storia di successo, certo, perchè prima non avevamo il problema di queste malattie, dato che pochissimi invecchiavano. La nostra aspettativa di vita sta progredendo. Dunque anche queste malattie aumenteranno col tempo. E oltre una certa soglia di disabilità mentale esistono pochissime terapie. Per questo, è molto importante investire nella ricerca”
La cura: andare oltre gli stereotipi
Ad entrare nel dettaglio, raccontando la concretezza della cura, ci hanno pensato Marco Fumagalli, educatore, e la dottoressa Mariella Zanelli, impegnati nel progetto del “Paese Ritrovato”. “Sulla demenza esiste un linguaggio stereotipato, falsi miti, etichette – ha detto la dottoressa Zanelli – A questa malattia spesso si associano le parole aggressività, pazzia, incapacità di essere autonomi. Noi abbiamo cercato un linguaggio nuovo, cercando di superare il modello biomedico tradizionale per andare verso un modello di cura che metta al centro davvero la persona, le sue abitudini, la sua famiglia, i suoi hobby. E’ uno sforzo quotidiano. Noi vogliamo andare oltre. Oltre ostacoli ed etichette che non permettono alla persona con demenza di poter essere coinvolta. I malati solitamente sono definiti incapaci, non autosufficienti, restano poco protagonisti. Il nostro sforzo è quello di avere a che fare tutti i giorni con persone in grado di scegliere. Cerchiamo di restituire loro la possibilità di una scelta: come mi vesto, cosa mangio, cosa faccio. Per autodeterminarsi e avere una vita anche dopo la diagnosi”.
La scelta di come trascorrere il proprio tempo, le relazioni con gli altri
Al Paese Ritrovato, i malati vivono in appartamenti e hanno la possibilità di scegliere come trascorrere il loro tempo. “Liberato dallo stress, l’individuo ha un margine di recupero. Ha piacere nell’affrontare anche attività cognitive come un corso di tedesco, che noi proponiamo. Può cucinare. E avere relazioni con gli altri. Qui nascono anche amori, qui le persone si innamorano. Lo sfondo è ovviamente quello del villaggio, che sostiene la coesione sociale, stimola la cognitività e anche il movimento”. “Gli spazi del Paese vengono scelti dalla persona. C’è la privacy, la microcomunità dell’appartamento, la macrocomunità del villaggio, lo spazio della città – ha sottolineato Marco Fumagalli – Il villaggio non è chiuso ma permeabile con la città. La coesione sociale è un aspetto terapeutico. E anche il movimento: la persona ha tante possibilità di movimento,che è spontaneo e non controllato. L’obiettivo finale è quello di fornire una buona qualità di vita, vogliamo che le persone stiano bene e siano serene” . L’assessore al welfare e salute del comune di Monza Egidio Riva, chiudendo l’incontro, ha sottolineato come il “Paese Ritrovato” sia un’esperienza da studiare e prendere come punto di riferimento, perchè mostra come abbinare al trattamento farmacologico un ricco programma di terapie non farmacologiche sia fondamentale per preservare l’autonomia delle persone curate e dunque migliorarne la qualità della vita.