Scuola politica Alisei, l’emergenza climatica spiegata dal fisico CNR Antonello Pasini

L’incontro, nell’ambito della nona edizione della Scuola di Formazione Politica Alisei, aperta a tutti con il supporto di Cgil Monza e Brianza, ha visto come ospite speciale Antonello Pasini, fisico del clima e primo ricercatore CNR che ha tenuto una lezione sulle strategie per affrontare il cambiamento climatico e sulla situazione attuale della crisi ambientale.
Un appuntamento speciale quello di venerdì 21 aprile per la nona edizione della Scuola di Formazione Politica Alisei, destinata gratuitamente, con il supporto di Cgil Monza e Brianza, a ragazze e ragazzi tra i 16 e 21 anni ma aperta a tutti e intitolata “Così va il mondo. Scenari internazionali tra crisi climatica e conflitti”. Ospite venerdì Antonello Pasini, fisico del clima e primo ricercatore CNR che ha tenuto una lezione sulle strategie per affrontare il cambiamento climatico e sulla situazione attuale della crisi ambientale.
L’incontro è stato pensato dagli organizzatori come un plus oltre alle otto lezioni a cadenza settimanale, di due ore e mezza ciascuna, già in programma, che hanno trattato e tratteranno grandi temi internazionali. Dai conflitti in corso a complesse questioni geopolitiche fino ad approfondimenti specifici sui grandi players che oggi si impongono nelle dinamiche internazionali, come la Cina.
“Oggi affrontiamo un altro grande tema, quello dei cambiamenti climatici, con una delle personalità più autorevoli nel panorama nazionale in fatto di ambiente e ricerca sulla crisi ambientale – ha ricordato Giorgio Garofalo, presidente dell’Associazione Alisei, prima dell’inizio della lezione. “Di solito la scuola si tiene il giovedì ma abbiamo deciso di aggiungere questo appuntamento perchè è un argomento che ci sta molto a cuore e ha un’importanza particolare nel contesto di questa nona edizione. Pensiamo a quanto l’emergenza ambientale si intrecci con il tema caldo delle migrazioni”.
L’obbiettivo, dare un quadro generale dei cambiamenti climatici ma anche focalizzarsi su quali siano le strategie per affrontarli al meglio. Come impatta il cambiamento ambientale in Italia, e fuori dall’Italia? Come possiamo, noi come Paese, affrontare la crisi in atto e tentare di frenare l’aumento delle temperature? Queste alcune delle domande alle quali Pasini ha cercato di rispondere durante l’incontro.
“Fino alla fine degli anni 70 la climatologia è rimasta una scienza puramente osservativa – ha spiegato il fisico. “Poi c’è stato un salto qualitativo. Quello che facciamo oggi, semplificando molto, è mettere insieme tutte le varie equazioni che descrivono gli elementi e i fenomeni che agiscono sul clima dentro un calcolatore. Nel calcolatore inseriamo i dati di quelli che sono gli influssi esterni, per esempio del sole, dei vulcani, della deforestazione e variabili importanti come il tempo. Così creiamo dei modelli che ci aiutano a capire la situazione presente ma anche, con una certa accuratezza, passata e futura. In laboratorio, oggi, grazie alle attuali tecnologie, possiamo poi fare esperimenti impossibili da fare in natura”.
E ha aggiunto: “Per esempio, che cosa sarebbe successo se le forzanti antropiche, ovvero l’andamento dei gas serra, della deforestazione, dell’agricoltura ecc. ecc. fossero rimaste fisse dal 1850 ai nostri giorni? I modelli ci dicono che il riscaldamento globale recente, dagli anni 60 a oggi, non ci sarebbe stato. È un indizio molto forte che la resposabilità della recente crisi climatica va ascritta alle azioni umane. A Parigi, nel 2015, ci si era messsi d’accordo per ridurre un po’ le emissioni, un accordo molto importante perché si diceva, in parole povere, guardate che se vogliamo evitare guai peggiori la seconda metà di questo secolo deve essere a emissioni di carbonio zero. Un messaggio molto forte verso i politici e gli economisti. Ma la guerra in Ucraina ha rimescolato di nuovo le carte. Anziché investire di più nelle rinnovabili molti paesi sono tornati a investire in carbone e gas. Questo fa pensare che, se le cose continueranno così, per fine secolo arriveremo addirittura a un aumento di tre gradi. Sarebbe un vero disastro”.
La situazione in Italia
“Dal 1920 a oggi la temperatura media della superfice del pianeta è aumentata di circa un grado – ha commentato Pasini. “In italia però dal 1920 a oggi la temperatura è aumentata poco più del doppio dell’aumento a livello globale. Come mai? Una prima ragione è di carattere eminentemente fisico. Quando vai a fare la media su tutto il globo, due terzi del globo sono fatti di acqua e l’acqua ha una capacità termica, ossia di assorbimento del acalore, maggiore dei suoli. Questo vuol dire che quando arriva dell’energia i suoli si riscaldano più rapidamento dell’acqua. Ma questo fattore non basta a farci capire perché l’Italia si riscalda più del doppio. Bisogna tenere conto anche del fenomeno degli anticicloni africani che mentre una volta rimanevano fermi sul deserto del Sahara oggi estremizzano il clima del Mediterraneo e dunque anche il nostro portando a ondate di calore”.

“Mentre in passato il flusso d’aria era quasi sempre da ovest a est, adesso spesso va da sud a nord o da nord a sud. Siamo quindi in Italia in una specie di pungiball climatico, presi a pugni una volta da sud con gli anticicloni africani che portano siccità e grande caldo e una volta da nord, con precipitazioni localmente violente specie nel centro-sud”.
“Pensiamo alla situazione di crisi idrica, in particolare, della pianura Padana – ha proseguito Pasini. “Nevica meno e comunque a quote più alte. Le risorse idriche del bacino del Po, d’altra parte, dipendono più dalla neve che non dalla pioggia. Sull’arco alpino nevica quando arrivano correnti dai quadranti meridionali, che impattano sulla barriera alpina. Il problema è che adesso le correnti da sud sono più calde di quanto erano fino a qualche decennio fa. Se una volta in determinate condizioni, ad esempio, nevicava a 1500 metri adesso nevica a 1800. A 1500 metri ora al posto delle nevicate c’è la pioggia. Parliamo di piogge violente, che vanno a impattare su un suolo secco, scivolando per lo più in superfice e arrivando rapidamente in Adriatico. Perdendo 300 metri di neve, ci siamo persi una parte importante delle risorse idriche per la primavera e l’estate perché fondendosi lentamente quella neve avrebbe rilasciato acqua in maniera lenta, graduale”.
Città e campagne: come affrontare l’emergenza?
“A differenza di quanto avviene in campagna, in una città fortemente antropizzata, quindi con molto cemento e asfalto, i deflussi superficiali d’acqua poi diventano il 55%. In questa situazione le strade possono diventare fiumi in piena che travolgono qualsiasi cosa – ha ricordato Pasini nella seconda parte dell’incontro. “Noi dobbiamo fare in modo che il nostrio terreno sia pronto a ricevere quest’acqua in più. Nelle città è importante mettere più verde possibile, anche il singolo albero, o le rotonde verdi, fanno la differenza“.
“Poi ci vuole una cultura del rischio, come si fa in Giappone con i terremoti, insegnando nelle scuole cosa fare nel momento d’emergenza, non facendosi prendere dal panico. Bisogna anche diminuire l’esposizione dei nostri beni e delle nostre vite. L’abusivismo edilizio è un esempio lampante di esposizione critica, che ancora oggi in Italia continua a causare morti”.
“Il rischio di avere danni gravi dipende dalla pericolosità degli eventi estremi ma anche dalla vulnerabilità del territorio, dall’esposizione nostra e dei nostri beni. Per diminuire il rischio dobbiamo diminuire il valore di questi tre fattori. Ora, la pericolosità degli eventi estremi non riusciremo a diminuirla nei prossimi ammini. Riusciremo, al massimo, a frenare l’aumento delle temperature scongiurando scenari climatici peggiori. Per quanto riguarda la vulnerabilità del territorio, invece, possiamo fare di più, nel breve-medio periodo, cercando ad esempio di migliorare le nostre città. Ma è sull’esposizione che si gioca una battaglia importante, non costruendo più in zone a rischio e tutelando maggiormente i cittadini”.
E ha concluso: “In Italia abbiamo una Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici, una cosa però molto concettuale e teorica. Attualmente si sta discutendo pubblicamente un Piano Nazionale di Adattamento che fornisca dettagli più operativi, però sempre a livello generale. Quello di cui abbiamo bisogno sono tanti piani per le varie realtà comunali, non solo per affrontare le emergenze ma anche per adeguarsi a livello strutturale”.