Da Arcore a Capo Nord: l’incredibile viaggio in bicicletta dell’arcorese Daniele Brambilla

4050 km, 5 stati e 34 giorni di pedalate, insieme a paesaggi mozzafiato e un’immersione pressoché totale nella natura: questo il riassunto in breve della fantastica esperienza vissuta dal Daniele Brambilla, presidente del Volley Casati Arcore in sella alla sua bicicletta.
Arcore. Ci sono esperienze e imprese non da tutti, che solo in pochi hanno il coraggio di fare: per fatica, coraggio, tensione, carattere e mentalità. Ci sono esperienze e imprese che regalano emozioni indescrivibili, momenti di vita indelebili e ineguagliabili, che solo vivendole puoi comprenderle e apprezzarle appieno; e che solo tramite racconti, testimonianze e fotografie si possono provare a spiegare a chi non le ha vissute. Spesso, a regalare grandissime soddisfazioni ci pensa la natura, con paesaggi mozzafiato o fenomeni atmosferici ai limiti della comprensione umana. Spesso, questi, sono la vera forza motrice che permette all’uomo di superare i propri limiti e poter capire, e capirsi, molto più di quanto non si possa apprendere nella frenetica vita quotidiana.
Quella vissuta dall’arcorese Daniele Brambilla, presidente del Volley Casati Arcore, in bicicletta, per più di un mese, è stata un’esperienza unica, fantastica e indimenticabile. Immerso perlopiù in un ambiente naturale e selvaggio, Daniele ha vissuto “un viaggio sia fisico che interiore”. Da Arcore, passando per ben 5 stati differenti, assistendo a fenomeni naturali unici e a paesaggi mozzafiato, quel tragitto che l’ha portato a Capo Nord non se lo dimenticherà mai e, in una lunga intervista esclusiva concessa a MBNews, ha provato a rivivere e condividere tutti quei momenti vissuti.
L’intervista
Com’è nata l’idea di raggiungere Capo Nord?
Mi è sempre piaciuto andare in bicicletta: è una passione che nasce tantissimi anni fa e che porterò per sempre con me. Diversamente da prima, essendo in pensione da 3 anni, mi diletto anche a percorrere distanze più lunghe. Quello verso Capo Nord, però, non è stato il primo lungo tragitto che ho percorso in sella a una bici, avevo già 2 esperienze alle spalle: la prima da Arcore all’Etna e la seconda da Arcore verso Santiago de Compostela. Sarò sincero, quello di raggiungere Capo Nord in bicicletta è sempre stato il mio sogno e dopo quelle due esperienze non mi restava che provare anche questa. Logicamente, non sarebbe stata una passeggiata, e lo sapevo, ma l’idea di poterci arrivare era così intensa che alla fine ho scelto di provare.
Come descriveresti questa esperienza?
È stata pazzesca. Sono partito dal Palaunimec di Arcore il 12 giugno e, prima di arrivare a Capo Nord il 15 luglio, ho passato diversi paesi: Svizzera, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia. Di tutti questi, la più ardua di tutte è la Svezia, perché non finisce veramente mai. Già dal principio sapevo che sarebbe stata la parte più lunga da percorrere tra tutte quelle che avevo in programma, ma quando sei lì, a viverla, è diverso: ci sei tu e c’è la natura; di insediamenti umani man mano che ti avvicini al circolo polare ce ne sono sempre meno e, nel caso, sono comunque piccolissimi. Da metà Svezia in su non incontravo nessuno, ero letteralmente l’unico che percorreva quelle strade e quei sentieri per decine e decine di chilometri. Una cosa abbastanza surreale se si pensa a com’è andare in bicicletta qui, in Italia. È un mondo completamente differente.
Come ti sei attrezzato?
Complessivamente la bicicletta, da corsa, pesava alla partenza 38 kg. Innanzitutto, avevo una tenda come emergenza per accamparmi, perché non sapevo se avrei trovato da dormire ogni giorno: nel nord Europa hanno degli orari strani: già alle 16 tutti i negozi chiudono, e pure i ristoranti lo fanno molto presto; inoltre, trovare da dormire è veramente difficile, perché di insediamenti umani ce ne sono veramente pochi. Oltre alla tenda, avevo 2 borse, con vestiti invernali, e tutto quello che serviva per affrontare un clima rigido. Nel telaio della bicicletta, avevo un’altra borsa, dove contenevo quasi tutto il resto. Cibo e acqua? Il primo è stato un problema mentre percorrevo il tragitto, perché non essendoci nulla non era facile reperirlo, e quindi mi limitavo il più delle volte a consumare solo barrette energetiche o cracker fino a sera; mentre l’acqua: fino alla Svezia non è stato un problema, ma una volta giunto lì, quando mi trovavo soprattutto in luoghi sperduti con pochissime case sparse qua e là, bussavo alle porte per chiedere di riempirmi le 4 borracce che mi ero portato dietro. Sono stati tutti molto gentili e ospitali.
Quanto tempo ci hai impiegato? Ti eri prefissato un obiettivo?
Il percorso consisteva di ben 4050 km. Non mi ero prefissato un limite di tempo entro il quale potercela fare, anche perché di esperienze del genere non ne avevo mai vissute prima. In totale ci ho messo 34 giorni. Quotidianamente percorrevo circa 120 chilometri di media. Probabilmente a rallentare il tutto è stato il fatto che la maggior parte dei percorsi erano sterrati e di strade asfaltate ce n’erano veramente poche. Per tornare indietro? Mi è bastato prendere un paio di aerei e in 2 giorni sono rientrato ad Arcore: stanco, stanchissimo, ma molto soddisfatto.
C’è stato qualche imprevisto?
Il vero imprevisto è stato il maltempo. Per 5 giorni di fila mi sono trovato davvero in condizioni pessime, al limite dell’estremo, in quanto pioveva senza praticamente smettere e, oltre a quello, la temperatura era sempre bassissima, intorno ai 9 gradi. Cibandomi, come ho detto prima, prevalentemente di barrette energetiche, a lungo andare lo stomaco mi si è rivoltato e per un paio di giorni avevo davvero pensato di tornare indietro. Passati quei giorni, tutto è andato migliorando. Anzi, arrivato in Norvegia, dove mi aspettavo le temperature più rigide, mi sono ritrovato a pedalare in un clima più mite e favorevole. La bicicletta?Fortunatamente non ha mai avuto problemi, anche perché, avendo percorso 4000 km da solo, se avessi riscontrato grossi guai meccanici non sarei riuscito ad andare avanti.
C’è qualcosa che hai vissuto durante il viaggio che ti ha colpito particolarmente?
Più di una. Il sole di mezzanotte sicuramente, perché, com’è noto c’è sempre la luce, non va mai via, ma nonostante questo non ha mai avuto forte influenza sul mio fisico, perché comunque arrivavo sempre stremato e già alle 21 mi addormentavo. La cosa, però, che mi ha colpito di più, ha avuto luogo in Svezia e riguardava la prospettiva che avevo guardando all’orizzonte: quando è nuvoloso le nuvole erano sempre molto basse e sembrava proprio che toccassero terra. Mi aspettavo sempre di entrarci con la bicicletta, come se fosse nebbia, ma era appunto solo prospettiva. È stata un’esperienza straordinaria perché certe cose non te le aspetti.
Che consigli daresti a qualcuno che vorrebbe provare a fare questa esperienza?
Di farlo senza alcun dubbio, ma al contempo è una cosa che ti devi proprio sentire dentro: ci deve essere una grande volontà alla base. E soprattutto un buon allenamento, perché 4000 km sono pur sempre tantissimi e raramente una persona qualsiasi li fa pedalando spesse volte nella propria vita. È faticoso, oggettivamente, fare 120 km al giorno; a tratti è massacrante, soprattutto con tutto il peso che ci si deve portare dietro. Un’altra componente chiave, anzi fondamentale, che si deve avere è l’onestà di mettere da parte l’orgoglio, perché l’imprevisto può capitare, che sia fisico o meccanico. A quel punto bisogna avere la lucidità di tornare indietro senza sensi di colpa. Sicuramente, e voglio sottolinearlo, tutte le cose che vedi, e che vivi, a livello personale ti danno uno stimolo in più a non arrenderti. Anche ora, le emozioni che ho provato sono difficili da descrivere. Perché sono intense. Mi sento come se fossi cambiato anche interiormente; come se la mia mentalità fosse cambiata drasticamente rispetto a prima. Rimanendo tutto il giorno nei boschi, nella natura, hai modo di pensare e riflettere tantissimo. È un viaggio sia fisico che interiore: forse più interiore che fisico, sarò sincero. Quando torni a casa tante cose le vedi sotto un altro aspetto. È un’esperienza unica che consiglio a chiunque.
Che emozioni hai provato all’arrivo?
Bellissime, come quelle che ho provato lungo tutto il tragitto svedese e norvegese. Devo ammettere che di per sé Capo Nord ormai è diventato puramente un punto turistico: sembra il mercato di Saronno a certe ore del giorno e la presenza di così tante persone in una zona immersa nella natura come quella è fastidiosa. Infatti, per godermi appieno anche l’arrivo e il momento che attendevo da più di un mese, ho scelto di percorrere gli ultimi 30 km mettendoci un giorno in più: sono dunque partito alle 3 e mezza di mattina e arrivato con tutta tranquillità intorno alle 6. Essendo sempre chiaro per via del sole di mezzanotte, non ho avuto problemi né a pedalare, né a godermi quel paesaggio stupendo in cui, in quel momento, c’ero solo io.
Come ti sei allenato?
Sono uscito più spesso a pedalare, anche in periodi più freddi e ostili, se così si può dire, seppur non si possano paragonare al clima, ambiente e ostacoli che ci sono qui in Brianza, o più in generale in Italia, con quelli del nord Europa. Come dicevo, ho intensificato le uscite, soprattutto quelle invernali, verso febbraio, e percorrevo distanze più lunghe del solito. Devo dire: niente di estremo, ma è comunque indubbiamente servito per potercela fare.
Al rientro come sei stato accolto?
Con una grandissima festa. Non me l’aspettavo per niente: c’erano tutte le ragazze e i miei collaboratori della Casati Arcore, che mi hanno accolto come se fossi tornato quasi vincitore dalle Olimpiadi. È stata anche questa una sensazione unica che farà parte dei ricordi che mi porterò sempre dietro legati a questo magnifico viaggio. In generale mi hanno sempre tutti sostenuto durante quei lunghissimi 34 giorni, con messaggi di affetto, vicinanza e motivazione. Senza questi non so se ce l’avrei fatta. E ringrazio di cuore tutti loro per esserci sempre stati.