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Fatal Error, a Monza la mostra che indaga il rapporto tra uomo e cambiamenti climatici

29 agosto 2023 | 16:17
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Fatal Error, a Monza la mostra che indaga il rapporto tra uomo e cambiamenti climatici

All’interno di Fatal Error, fotografia e creatività si intrecciano e si distinguono in una serie di opere uniche, dal sapore artigianale.

Monza. Indagare il rapporto tra Uomo e Natura, a fronte dei cambiamenti climatici e dell’impatto che il primo sta avendo sull’ambiente. È questo il senso profondo di “Fatal Error”, la mostra artistica che si terrà dal 31 agosto al 20 settembre all’interno del Mimumo, il Micro Museo casa della luna rossa Monza.

COME È STRUTTURATA LA MOSTRA FATAL ERROR?

Fatal error

Il progetto artistico è stato ideato dal fotografo professionista Stefano Michelin, titolare di TREDICI/78 Studio, assieme a Gaia Brioschi, truccatrice professionista e collaboratrice dello studio. Le opere inizialmente presentate al Micro Museo saranno due. Nel corso del tempo, il progetto si evolverà arricchendosi di nuove opere, le quali verranno via via messe in mostra.

Ispirato dal lavoro di Francesca Woodman, Fatal error (termine tecnico informatico per indicare un danno irrimediabile all’interno di un processo) è un perfetto connubio che pone in essere alcuni costrutti in contrapposizione: foto paesaggistiche, quelle realizzate durante lasiccità che nel 2022 ha causato la secca di fiumi e laghi, contrapposte a foto realizzate in studio. Foto in bianco e nero, contrapposte a foto a colori. La presenza umana, contrapposta agli effetti dell’azione umana. La luce naturale, contrapposta a quella artificiale.

Fatal error - mostra fotografica Stefano Michelin

“L’obiettivo – spiega Stefano Michelin – è stato quello di creare opere che racchiudessero più storie, come una sorta di racconto a strati, dando quindi forma a qualcosa che superasse il concetto di fotografia statica”.

All’interno di Fatal Error, fotografia e creatività si intrecciano e si distinguono in una serie di opere uniche, dal sapore artigianale.

Fatal error - mostra fotografica Stefano Michelin

UOMO E NATURA IN FATAL ERROR

Fatal error  - mostra fotografica Stefano Michelin

Al centro dell’indagine, la natura. Ma anche la figura femminile, la quale appare disumanizzata nel ruolo di un cyborg; una sorta di madre natura asettica e priva di vita, che denuncia il malessere della natura o meglio, il ruolo di sudditanza che l’uomo le ha dato (senza pensare che prima o poi la natura avrebbe chiesto il conto ndr).

Più che un vero e proprio messaggio ambientalista, quella di Stefano è una presa di coscienza:“L’essere umano – spiega Michelin – ha un’attività catalitica nei confronti della natura e in questo momento sta accelerando dei processi, che se non fermati o invertiti saranno irreversibili, col rischio di portare la specie umana all’estinzione”.

Nella riflessione di Stefano Michelin c’è anche una grande contraddizione: l’uomo, dal punto di vista evolutivo, è un fallimento che tende a distruggere l’habitat in cui vive per interessi economici o per la ricerca di un benessere edonistico. “Contestualmente – sottolinea – l’uomo ha scoperto e creato anche grandi cose, come la musica, l’arte, la matematica e tutto ciò che ne consegue”.

VEDIAMO IL VIDEO DEL TRAILER DEL PROGETTO FATAL ERROR

La domanda vera e propria è: a quanto e a cosa l’uomo è disposto a rinunciare per salvaguardare l’ambiente? Un argomento davvero complesso quanto vasto; un’equazione forse irrisolvibile, la cui incognita rischia diessere un “Fatal Error.”

INTERVISTA A STEFANO MICHELIN E A GAIA BRIOSCHI SUL PROGETTO FATAL ERROR

Stefano, come nasce l’idea del tuo progetto e cosa ti ha ispirato?

“Ad influenzare la mia visione sono stati gli studi universitari in biologia ed in particolare il testo dello scienziato James Lovelock dal titolo “Ipotesi Gaia”. Poi, c’è il lavoro di Francesca Woodman.

Mentre invece il progetto nasce in due momenti distinti. Inizialmente ho scattato le foto del Po in secca e ho lasciato sedimentare quanto avevo realizzato, in cerca di un senso più ampio e profondo. A distanza di qualche tempo, sono poi incappato in un vecchio film di fantascienza dove una donna cyborg interagiva con delle foto, maneggiandole e giocandoci. Da qui il richiamo alla Woodman fino a quando Fatal Error ha preso forma e sostanza grazie alle visioni della mia collaboratrice Gaia Brioschi”.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

“Fatal Error indaga principalmente il rapporto che c’è tra uomo e natura. Un rapporto spesso travisato, molto delicato ed esclusivo, nel quale l’uomo ha un ruolo di catalizzatore nei confronti dell’ambiente. L’uomo ha sicuramente un impatto molto forte, ma dal mio punto di vista l’impatto c’è perché l’uomo segue il suo stato di natura: non è contro natura, fa semplicemente il suo corso perché è una specie esigente, che inquina e consuma risorse”.

Fatal Error, l’errore fatale dell’uomo nei confronti dell’ambiente?

“Fatal Error è uno dei messaggi informatici che possono comparire in certe fasi, quando un programma crasha e l‘errore non è rimediabile. Fatal Error è quindi un errore fatale che sta commettendo l’uomo, in quanto specie singolare che sta crashando con l’ambiente circostante”

Cosa significa fotografia per te?

“È un mezzo espressivo. Non un fine, ma un un mezzo per racontare ed esprime dei concetti.”

Fatal Error è un progetto che si sviluppa all’interno del tuo studio. Come hai coniugato la fotografia reportagistica con quella più tipicamente da studio? È un connubio che funziona?

“Non so dire se possa funzionare o se possa piacere sempre. Quello che ho cercato in Fatal Error è che il risultato finale fosse un progetto a più strati, capace di mettere in contrapposizione ambiente naturale e ambiente da studio. Del resto, se ci si pensa bene, anche la fotografia reportagistica non significa strettamente documentare quello che avviene, ma dare una propria interpretazione dei fatti. Scegliere il punto di ripresa, un momento particolare, una luce e un tempo di posa, sono tutti elementi che concorrono a raccontare i fatti in una modalità piuttosto che in un’altra”.

Gaia, hai realizzato e ideato la struttura delle immagini. Cosa ti ha ispirato e come hai definito il progetto?

“Ho tratto ispirazione da diversi fattori, tra cui la storia e il messaggio che c’è dietro, ossia il rapporto tra uomo e natura. Nel primo quadro ho quindi voluto rappresentare la natura morta e priva di carattere. Nel secondo quadro ho invece messo al centro l’essere umano. Il buco che è stato intagliato appositamente al centro delle tele, crea lo spazio utile ad ospitare il lavoro fotografico realizzato. Man mano che il progetto andrà avanti, verranno messi a fuoco sempre più particolari e dettagli riguardanti la storia del progetto. In sostanza, ogni quadro rappresenterà un particolare di tutta la storia che c’è dietro”.

La figura femminile è un elemento preminente all’interno del progetto. Una sorta di madre natura che denuncia il malessere dell’ambiente. Quanta importanza ha avuto il trucco per comunicare il messaggio e cosa ti ha ispirata?

“Il trucco è stato di fondamentale importanza per poter dare vita al nostro personaggio: una donna cyborg priva di vita e di sentimenti. Il trucco ha ricreato quindi un qualcosa che non fosse umano. Mi sono ispirata ovviamente all’idea di Stefano e dopo diverse ricerche di immagini che ho fatto, sono arrivata a realizzare il look del soggetto chiave: un cyborg che di umano ha solo le sembianze, ma che, per l’appunto, è privo di vita e di sentimenti” (un po’ come l’uomo nei confronti dell’ambiente ndr).